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Per l’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro, l’alcol fa parte delle sostanze di classe 1. Si tratta dei prodotti sicuramente cancerogeni, fra i quali tutti sanno riconoscere il fumo di sigaretta ma meno il vino e le altre bevande a esso equiparabili per la presenza di una sostanza che si chiama etanolo. È l’etanolo che porta l’alcol a essere cancerogeno. Il consumo abituale di alcol è responsabile dei tumori fra i più diffusi, come il cancro al seno nelle donne, il tumore della prostata negli uomini, al colon retto in entrambi i sessi. Rispetto al rischio di cancro, per l’alcol non è mai una questione di modica quantità. Casomai, la modica quantità può rallentare l’evenienza. Gli esperti, tuttavia, hanno fissato come modica quantità giornaliera due porzioni alcoliche per l’uomo e una per la donna. Vino, birra o superalcolici non fa differenza, purché i centilitri ivi contenuti siano quelli giusti, da dose standard. La modica quantità di alcol dà i suoi frutti ma solo rispetto alle malattie cardiovascolari. Per il rischio oncologico è già veleno.

Mentre per i giovani fino ai 24 anni l’alcol è sconsigliato tout court, a causa degli effetti che ha sullo sviluppo cerebrale. Che i giovani che bevono bevano più del dovuto, è cosa nota. In tempi di lockdown, l’Osservatorio Nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità ha registrato in Italia un incremento del 446% nei consumi nella fascia da 18 a 24 anni. Il maggior consumo di alcol ha dato segni preoccupanti anche fra i minorenni, ha dichiarato Emanuele Scafato che dell’Osservatorio è direttore. In base al caveat di Scafato, l’assenza di un enzima (deidrogenasi) nell’organismo dei più giovani, con il compito di assorbire l’impatto dei fumi dell’alcol sul cervello, fa sì che quest’ultimo risulti più esposto a pericoli. Senza questo enzima, il troppo alcol spinge la parte laterale del cervello in iperproduzione, causando dei deficit cognitivi. Per i contraccolpi alla parte frontale, invece, è lo sviluppo della personalità a pagarne le conseguenze, creando dei giovani impulsivi e depressi, che faticano a prendere decisioni seguendo dei processi logici. Infine, quando tocca all’ippocampo, vengono danneggiate le capacità mnemoniche. 

Il quadro appena dipinto ha suggerito agli enti preposti della Comunità europea di correre ai ripari. Limitatamente all’alcol per ora “nì”, se non per limitarne il consumo. Nel nuovo piano si parla di screening precoce, di un accesso più ampio alle cure innovative e di una presa in carico del paziente che prosegua anche dopo la fase clinica, accanto a una tassazione maggiore dei prodotti che impattano negativamente sulla salute. Infine, c’è la volontà di intervenire sulle etichette. Etichette più mirate per accrescere la consapevolezza nel consumatore.  Il modello di riferimento è quello adottato contro il tabagismo. Sui pacchetti di sigarette è scritto a chiare lettere quali sono gli effetti nefasti che il fumo provoca sulla salute. Ebbene, verranno etichettati con rispetto per gli allerta scientifici tutti i prodotti a rischio ad eccezione del vino. Per il vino non vi saranno etichette allarmistiche. Niente etichette che equiparino l’etanolo ivi contenuto alle altre sostanze tossiche di classe 1 perché il vino fa parte dello stile di vita europeo. È quanto ha dichiarato il vicepresidente della Commissione UE Margaritis Schinas il 3 febbraio scorso, intervenendo alla presentazione del piano europeo di lotta contro il cancro che prenderà consistenza a partire dal 2023, per il quale i paesi membri avranno, fra tutti, 4 miliardi di euro di finanziamento da spendere. Ne ha dato notizia, tra gli altri, il Corriere della sera, edizione del 4 febbraio 2021. Non si nega che l’assunto della Schinas non sia vero. La vite, com’è noto, ha origine spontanee solo in Grecia e in Italia, i paesi culla della civiltà mediterranea ed europea. Diffondendo la loro cultura, prima i greci, poi gli etruschi e infine i romani hanno diffuso anche la vite e il vino. Tutto vero, ma da qui a derogare dal problema delle etichette troppo esplicite, ha più il sapore della salvaguardia economica del prodotto che non della tutela dell’identità culturale di una comunità. Forse che la salute viene dopo la cultura? Comunque la si pensi, è bene che il problema venga posto in termini corretti. Diciamo che quando si tratta di far convivere interessi divergenti ma tutti legittimi il compito del decisore politico e, di riflesso, del legislatore, non è mai facile. Tuttavia, pur nel massimo rispetto nel lavoro altrui, il vino no mentre gli altri alcolici cosa? Sì? Per il vino solamente etichette in deroga, mentre per birra e superalcolici etichette con dichiarazioni dirette dei danni causati dall’etanolo? Non crediamo che simili distinguo siano accettabili. Beninteso, da un punto di vista della salute e se ragioniamo nel rispetto di quella logica che solo il consumo smodato di alcol è in grado di compromettere nei cervelli devastati dall’alcol. Di tutto l’alcol, compreso il vino. In vino veritas, hic!

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