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di Alberto Ferrari

Il romanzo di Philip K. Dick è ambientato in un futuro carico di preveggenza, in cui il protagonista è un detective della squadra narcotici che s’infiltra fra gli sballati per scoprire chi ha messo sul mercato una droga misteriosa che sta seminando morte cerebrale e follia a Los Angeles. “Un oscuro scrutare” è stato giustamente paragonato al canto del cigno di una generazione inconsapevole del danno fatale che si stava procurando a causa del consumo di droga

Ametà degli anni Sessanta, la droga scorre a fiumi fra i figli dei fiori della California, fra i professori e gli studenti beatnik della Columbia University di New York e in altri focolai di ribellione USA intenti a combatte il “Sistema”. Si sperimenta soprattutto l’LSD e qualche altra preparato sintetico, messi a punto in laboratori artigianali gestiti da consumatori-spacciatori, ancora lontani dal diventare i professionisti del crimine che si contenderanno il business del narcotraffico di lì a qualche anno. Queste sostanze sono in grado di modificare la percezione psichica come non si era mai visto prima, e per questo motivo fanno proseliti fra gli intellettuali, desiderosi di sollecitare una creatività artistica in linea con il desiderio di ribellione contro lo status quo borghese e guerrafondaio che ha appena generato il conflitto del Vietnam. Per la generazione di scrittori, musicisti o, più semplicemente, di giovani ribelli e, perché no, un po’ spostati che sta facendo queste esperienza di “altrove” psichico, l’assunzione di droga non è priva di effetti collaterali. Solo che al momento i diretti interessati non hanno coscienza o quasi degli effetti di rigetto. La conoscenza del danno cerebrale, delle conseguenze cardiache e vascolari di droghe “pesanti” come l’LSD sono praticamente ignorate dai più. O, quanto meno, non traspaiono con la stessa evidenza dei benefici. Come sempre nella vita sarà l’esperienza diretta a segnare la via. Di lì a qualche anno, quando le persone cominciano a morire come mosche, in tanti iniziano a porsi il problema. Peccato che il campanello d’allarme scatti quando è ormai troppo tardi. Molti fra i diretti interessati sono drogati incalliti, difficilmente disintossicabili sia nel fisico sia a livello mentale. Così i giovani che non muoiono di overdose o per qualche altro accidente legato al consumo brutale, se ne vanno poco più che trentenni per infarto, per ictus o sono vittime di qualche disturbo cerebrale permanente. Quelli che scampano all’incirca fino ai cinquanta come Philips J. Dick, il noto scrittore di fantascienza e tossicomane, dalla cui penna è uscito, fra gli altri, il romanzo che ha fatto da sceneggiatura al celebre “Blade Runner”, film del 1982, fanno una vita d’inferno dentro e fuori i centri di disintossicazione, consumati da allucinazioni e stati di incoscienza che stravolgono totalmente il loro rapporto con il mondo. E poi, alla fine, ci restano secchi a causa di un ictus cerebrale, proprio come è capitato all’autore della “Svastica sul sole”, altro celebre romanzo di Dick, di cui di questi tempi è in lavorazione un adattamento televisivo a opera di Ridley Scott, il regista che aveva già firmato “Blade Runner”.

È impressionante l’elenco di amici da cui Dick si congeda, dopo aver promesso loro amore perenne, alla fine del suo romanzo “Un oscuro scrutare”, forse la sua opera più emblematica per questo tema degli effetti mortali connessi all’abuso di droga. È impressionante perché la quindicina di amici menzionati o sono morti, o sono affetti da disturbi permanenti al pancreas, al cervello o a qualche altro organo vitale.

Il romanzo è stato ripubblicato di recente da Fanucci, l’editore italiano che si è preso in carico la traduzione dell’opera completa dello scrittore nato a Chicago, Illinois.

“Un oscuro scrutare” è ambientato in un futuro carico di preveggenza, in cui l’alter ego di Dick veste i panni di Bob Arctor, un detective della squadra narcotici che s’infiltra fra gli sballati per scoprire chi ha messo sul mercato la sostanza M, una droga misteriosa che sta seminando morte e follia a Los Angeles. Per questo romanzo si è giustamente parlato di canto del cigno di una generazione.

Bob Arctor si serve di una tuta “disindividuante” in grado di celare la sua vera identità ai colleghi, per evitare che qualche spione che fa il doppio gioco lo smascheri agli occhi degli spacciatori. Inoltre, attraverso delle telecamere, è in grado di osservare il se stesso infiltrato fra i tossici, scoprendosi un drogato incallito dedito ai comportamenti più strambi, cosa che gli farà perdere di vista il controllo di sé. Arctor non sa più se sta recitando solo una parte o se invece è stato assorbito totalmente dal mondo meschino della dipendenza.

Alla fine della sua personale discesa agli inferi, il protagonista scoprirà la verità su quanto sta accadendo. Si tratta di una verità ricorrente nell’opera di questo scrittore nemico giurato del “Sistema”. E cioè che a spargere il seme malefico è proprio il “Sistema”. A inondare il mondo degli sballati della sostanza M sono quelli che, approfittando delle occasioni garantite loro dal “Potere” e dalla “Legge” che dovrebbero servire, muovono le fila da consumati burattinai perfino nel mondo che è loro antagonista.

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