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di Cristina Sampiero

Mai come negli ultimi anni l’alimentazione è stata influenzata dalle mode. Sugli scaffali del supermercato è diventato quasi impossibile trovare confezioni prive dell’urlo: “senza”. Ma quel “senza” è davvero più sano? No, non tutti i prodotti “senza” sono effettivamente più sani eppure molti tendono ad acquistare un prodotto speciale pur non avendo un effettivo problema di salute

Prodotti senza glutine, senza zucchero, senza lattosio, senza lievito, senza olio di palma e via dicendo. Nei supermercati è diventato quasi impossibile trovare confezioni prive dell’urlo: “senza”. Questi prodotti costano di più del loro reale valore perché, in capo al profitto, il mercato ha distorto le logiche di prevenzione e benessere. Il punto è: su quali necessità ci basiamo per acquistare prodotti “senza”? Abbiamo davvero bisogno di quel “senza”?
Ragioniamo sui prodotti senza glutine e sui prodotti senza lattosio. Il glutine è una proteina contenuta in alcuni cereali: frumento, avena, orzo, segale, kamut, farro. È invece assente in riso, mais, miglio, sorgo, grano saraceno, quinoa e amaranto. Questa proteina in effetti rappresenta un problema per le persone affette da celiachia, patologia che può comparire ma solo in alcuni individui geneticamente predisposti, i quali devono assolutamente eliminare il glutine dalla loro dieta. La celiachia è una condizione infiammatoria permanente che colpisce circa l’1% della popolazione; questa percentuale è stabile da anni mentre il consumo degli alimenti privi di glutine è in crescita anche se, oggi, non esiste ragione scientifica diversa dalla celiachia o dall’ipersensibilità al glutine che ne giustifichi la sua eliminazione. Scegliere alimenti senza glutine in assenza di una diagnosi certa è sconsigliato: può aumentare il rischio di obesità e patologie cardiovascolari e può sottrarre nutrienti nobili alla dieta, poiché spesso i cibi senza glutine sono più grassi rispetto agli equivalenti con glutine.
Lasciamo perdere le mode senza senso: gli alimenti per celiaci sono prodotti speciali per persone con un problema specifico, non per tutti. Capiamoci, il pane senza glutine ha mediamente una concentrazione di grassi doppia rispetto a quello tradizionale e un contenuto di proteine due o tre volte inferiore. Lo stesso dicasi per i biscotti, che hanno più grassi e meno proteine rispetto a quelli normali; la pasta ha meno proteine di quella classica. Per questi semplici motivi usare prodotti per celiaci senza esserlo può portare a un impoverimento dietetico e a un aumento di peso, rischi accettabili se si è celiaci, ma ingiustificati negli altri casi. Il consumo di glutine non è correlato a un aumento del rischio per le malattie cardiovascolari, mentre il consumo di alimenti gluten-free può esserlo, anche solo per la sottrazione alla dieta di fibre, efficaci agenti di prevenzione cardiovascolare.
Per il lattosio, zucchero del latte, il discorso è diverso. L’intolleranza al lattosio è piuttosto diffusa: ne soffre, infatti, circa il 30% della popolazione. Oltre che nel latte materno lo troviamo nel latte di mucca, capra, pecora e nei loro derivati. È presente come additivo in alcuni insaccati come il prosciutto cotto e come eccipiente in molti farmaci. Mozzarella, panna, latte, burro, gelato e formaggi freschi per alcuni sono gioie, mentre per altri sono dolori. I disturbi (gonfiore, flatulenza, dolori addominali, diarrea) sono dovuti al deficit dell’enzima lattasi, necessario per digerire il lattosio. In sua assenza la flora batterica intestinale fa fermentare il lattosio indigerito e genera disturbi. Lo yogurt, invece, è prodotto con latte fermentato, in cui il lattosio risulta predigerito, e per questo non dà disturbi. Essere intolleranti al lattosio è diverso dall’essere allergici al latte: la maggior parte degli intolleranti riesce ad assumere piccole quantità di lattosio senza alcun disturbo anche se ha difficoltà a digerire questo zucchero. Negli allergici al latte una reazione del sistema immunitario può scatenare un grave shock anafilattico anche con una piccola quantità di alimento. Per assecondare la crescente richiesta di prodotti senza lattosio il mercato si è adattato ed è semplice reperire cibi che vengono prodotti come gli altri ma aggiungendo l’enzima lattasi per scindere il lattosio nei suoi componenti: glucosio e galattosio.
Tornado al punto, si evince che il mercato ha stregato il consumatore (abituandolo a identificare come “malefica” o “benefica” una certa sostanza) e, a seconda dell’effetto desiderato, la pubblicizza sulla confezione; ecco perché al “senza” si contrappone il “con” e troviamo cibi che dichiarano di contenere Omega-3, antiossidanti, vitamine, selenio, ferro e così via. Se da un lato è vero che è aumentata l’attenzione, dall’altro lato è vero che l’industria deve guadagnare e quindi trovano sempre più spazio i prodotti speciali “senza”, “con”, “bio” o “veg” che siano. I prodotti “speciali” diventano così la normalità e, se tutti fanno cose “speciali”, nessuno è migliore. Inoltre, togliere o aggiungere qualcosa a un prodotto significa manipolarlo e denaturarlo aumentandone sempre il costo finale anche se questo non corrisponde necessariamente a un miglioramento della qualità, anzi.
Meglio farci furbi e ridare valore alle cose importanti, necessarie e naturali: quelle semplici. Oggi vince la trasparenza; se siamo attenti (e finalmente si vede un sacco di gente che legge le etichette), svegli e informati è facile riconoscere l’autenticità di un’azienda e la sua storia e questo ci rende capaci di distinguere il reale valore di un prodotto e ci fa capire se ne abbiamo davvero bisogno: questa è prevenzione seria.

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