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L’albero della vita è intricato, un garbuglio che David Quammen ha provato a dipanare per noi. Quammen è un noto scrittore e divulgatore scientifico. È l’autore di “Spillover”, il libro che da inizio pandemia in tanti conoscono perché parla di Covid con una preveggenza che nemmeno la Pizia avrebbe saputo fare di meglio. In “Spillover” Quammen ha anticipato di parecchi anni che un giorno un virus avrebbe fatto il salto di specie, dall’animale all’uomo, e sarebbe andato ad aggredire il sistema immunitario di quest’ultimo causando danni seri e, quello che è peggio, diffondendosi in ogni angolo del pianeta. Inoltre, Quammen ha scritto che il primo focolaio sarebbe esploso nei wet market della Cina, noti per il commercio che vi si fa di animali selvatici. Nel caso del Covid, sono stati tirati in ballo due animali, della cui carne è sicuro si facesse compravendita più o meno legalmente a Wuhan. Si tratta del pipistrello e del pangolino. Non è chiaro se c’entrano entrambi simultaneamente oppure se vi è stato una sorta di trasmutazione del virus dal primo al secondo e da quest’ultimo all’uomo. Wuhan è la città della Cina in cui il primo focolaio di Covid si è verificato, fra la fine del 2019 e l’inizio del 2020. Da allora, le autorità cinesi hanno proibito in tutto il Paese la vendita di qualsiasi animale selvatico. Speriamo bene.
Se questi sono i crediti che Quammen s’è guadagnato in campo scientifico e divulgativo, il nuovo libro è apparso nelle librerie con tutte le carte in regola per diventare un nuovo best seller. Senonché stavolta Quammen si è scelto un tema di non facile divulgazione che, forse, ne frenerà un poco le vendite.
Che cos’è cambiato dell’albero della vita che Darwin aveva immaginato per primo quando ha provato a capire come la vita si è sviluppata nel corso delle varie ere geologiche? Di questo tratta “L’albero intricato” di David Quammen. Fin dal titolo si capisce che il reportage di oltre 150 di scienza inquadra un percorso tutt’altro che semplice.
La biologia moderna inizia dall’“Origine della specie”. Stiamo parlando del libro in cui Charles Darwin, nel 1859, ha ipotizzato che la vita sulla terra fosse governata da tre grandi leggi: ereditarietà, mutazione e selezione naturale. La selezione naturale è «il giro di manovella» alla macchina della vita, ciò che stabilisce la sopravvivenza delle specie più forti e meglio attrezzate, ma anche ciò che provoca le mutazioni all’interno di una stessa specie. Ogni specie che sopravvive lo fa adattandosi all’ambiente. Ecco perché, a seconda delle latitudini latamente intese, ogni specie sviluppa differenze peculiari. Che si tratti del colore della pelle degli esseri umani o del piumaggio dei pappagalli non fa differenza da questo punto di vista, siamo pur sempre al cospetto di adattamenti entrati nell’asse ereditario, ovvero nella genetica evolutiva che governa il processo riproduttivo di ogni singola specie.
In cosa Darwin si è sbagliato a riguardo delle leggi del determinismo biologico? A distanza di oltre un secolo, dopo la scoperta del DNA e, successivamente, del genoma, gli scienziati hanno capito che l’origine della vita è più semplice e più complessa di come l’aveva immaginata l’illustre predecessore. Più semplice perché pongono all’origine della vita dei batteri unicellulari o, per meglio dire, delle molecole primordiali in grado riprodursi senza la minima traccia di filogenetica e, quello che più conta, destinate a colonizzare ogni tipo di creatura vivente. Ragione per cui i tratti comuni fra specie differenti, fra noi e le lucertole, per esempio, sono in subordine alla presenza di queste molecole che, a un certo punto della linea evolutiva, sono entrate in contratto con le specie, quantunque separatamente. Più complessa perché dalla codificazione di questa proliferazione molecolare si diramano linee evolutive dalle fronde ben più intricate di quelle dell’alberello striminzito che Darwin abbozzò. Anzi, a ben vedere, a causa dei continui spostamenti “orizzontali” di questi microrganismi molecolari all’interno di specie differenti, possiamo dire che le fusioni fra le specie sono più frequenti di quanto non s’ipotizzasse prima, allorché si pensava che i cambiamenti potessero verificarsi soltanto lungo la via evolutiva diretta.
Alla base del pensiero moderno che ha raccolto e sviluppato le intuizioni di Darwin nella rappresentazione dell’albero della vita, Quammen cita fra gli altri uno scienziato statunitense, Carl Woese. Woese è colui che ipotizza per primo un terzo regno, che va oltre i due della dicotomia procariote (gli organismi unicellulari come le amebe) e ed eucariote (gli organismi pluricellulari complessi, come le piante, gli animali e i funghi) in cui nel frattempo era sfociato il pensiero di Darwin. Woese ipotizza che all’origine della vita vi fosse il regno degli archei. Secondo una definizione apparsa sulla stampa divulgativa quando s’è trattato di dare conto del terzo regno di Woese, s’è parlato di «un composto di cellule ancestrali che aborrono l’ossigeno, digeriscono anidride carbonica e producono metano».
Stante la tripartizione immaginata da Woese, nessun albero della vita è in realtà più ipotizzabile, per quanto intricato ce lo possiamo figuare. E questo perché, parafrasando Quammen, la storia della vita, semplicemente, non assomiglia più a un albero. Non di meno gli alberi sono importanti per la sopravvivenza dell’intero pianeta. Da essi dipende il controllo dell’anidride carbonica che produciamo attraverso la combustione dei fossili. Ma questo, per quanto urgente, è un altro problema, a cui tuttavia dobbiamo rimediare presto, se non vogliano aprire nuovi scenari altrettanto catastrofici di quello che Quammen, parlando di Covid anzitempo, ci aveva già anticipato.

David Quammen, “L’albero intricato”, Adelphi, Milano 2020, € 24,70.

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