di Alberto Ferrari
“Cominciò con una fitta al braccio destro. Poi ci furono la perdita dell’equilibrio, il vortice negli occhi, e infine la cosa più dura da tollerare: il venir meno di quel senso di invulnerabilità, quell’aspettativa di eternità che non l’aveva mai abbandonato lungo tutto l’arco della sua non breve vita”
“Ma mentre si infilava in ascensore, dopo aver controllato per l’ultima volta il nodo alla cravatta, provò una piccola, dolorosa fitta in fondo al cuore. Una puntura di spillo, niente di più. Nel momento del trionfo, da quali mai oscuri recessi del passato affiorava questo incompatibile senso di sconfitta?”
Così finisce Romanzo
criminale, con il dottor Scialoja colpito da un infarto del miocardio dopo essere diventato il nuovo capo dei servizi segreti italiani, quelli ufficiosi e deviati che resistono ai cambi di vertice della politica e delle istituzioni perché il loro potere si fonda sul ricatto.
Ironia della sorte, Scialoja si scopre vulnerabile quando è appena subentrato nel ruolo di capo occulto e ha ereditato i diari del Vecchio, ovvero l’accesso ai dossier che il suo predecessore, il Vecchio per l’appunto, ha messo insieme per manovrare la storia d’Italia. Con questi dossier confezionati ad arte chiunque nel nostro Paese diventava (o diventa?) persona ricattabile e riconducibile a un ruolo di connivente. Scialoja come tutti gli altri. Siamo negli anni bui in cui si sono consumate le stragi di Stato e di mafia, ovvero fra la fine dei Settanta e i primi anni Novanta. Prima di sceglierselo come sostituto, il Vecchio fa sperimentare a Scialoja cosa vuol dire finire sull’orlo del baratro, quasi a temprarne la resistenza psichica in vista del nuovo incarico. Per colpa del fango contenuto in un dossier, Scialoja verrà sospeso dalla polizia e costretto a una vita da reietto. Scialoja la carriera l’aveva spesa per dare la caccia alla banda della Magliana, la stessa banda di cui si era servito il Vecchio, in ottemperanza al suo ruolo di gran manovratore occulto, per commissionare i peggiori affari sporchi, dagli assassinii, politici e non, agli attentati e alle stragi di Stato.
Dall’inferno dell’alcolismo e della povertà Scialoja verrà prelevato e ripulito dal Vecchio e collocato nel ruolo di comando. Così, all’indomani della morte del Dandi, l’ultimo capo della banda della Magliana, decimata dalla storia e dalle vicende giudiziarie, e dopo che con Patrizia, la donna del Dandi, è ormai “acqua passata”, Scialoja sta per diventare il nuovo re di Roma. Ma il diavolo o chi per lui sembra volerci mettere lo zampino con quella fitta al cuore in ascensore. Proprio come aveva fatto in precedenza con il Vecchio, in una delle tante sere in cui costui s’era rintanato nel suo studio per giocare, come un bambino solitario con i soldatini, con i pezzi prediletti della sua collezione artistica, per meglio predisporsi alle solite malefatte di despota capriccioso. Sul Vecchio sembra aleggiare lo spettro di un’infanzia povera di soddisfazioni, che l’adulto cercherà di riscattare con quei giocattoli pregiati, gli unici in grado di dare un po’ di quiete alla sua psiche malata. Il Vecchio prima di Scialoja proverà l’infinita miseria umana al cospetto della malattia come anticamera della morte. Colpito da un infarto del miocardio anche lui. Ecco il magistrale resoconto dell’infarto del Vecchio: “Cominciò con una fitta la braccio destro. Poi ci furono la perdita dell’equilibrio, il vortice negli occhi, e infine la cosa più dura da tollerare: il venir meno di quel senso di invulnerabilità, quell’aspettativa di eternità che non l’aveva mai abbandonato lungo tutto l’arco della sua non breve vita. Il vecchio fu fortunato: la segretaria s’era affacciata per dargli la buonanotte. Lo vide cianotico e rantolante, una mano sull’automa Scacchista e l’altra su piazza del Popolo del Piranesi, e mezz’ora dopo il dirigente dell’Unità di rianimazione lo dichiarò fuori pericolo. In definitiva, una cosa leggera. Non c’era nemmeno stato bisogno di defibrillare”.
di Alberto Ferrari