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di Cristina Mazzantini

Per il troppo calcio ci si può ammalare di cuore e non solo.Il pericolo maggiore è per le donne a basso rischio di fratture ossee. Alcuni studi hanno dimostrato che supplementi di calcio possono portare a un aumento di rischio di infarti e ictus. In particolare, in uno studio norvegese solleva il dubbio che un moderato effetto protettivo nei confronti delle fratture non valga il rischio di un aumento del pericolo di problemi cardiovascolari

Si è sempre ritenuto che il calcio sia indispensabile per la nostra salute, specialmente nelle donne in là con gli anni. E se invece questo minerale fosse un nemico del cuore del gentil sesso? In apparenza è una domanda assurda. Purtroppo non è così. Infatti, se da una parte è noto che supplementi di calcio e vitamina D aiutano le donne di una certa età a prevenire le fratture ossee, meno conosciuto, anche alla classe medica, è il fatto che tale beneficio rischia di essere minore del rischio di infarto e di ictus connesso. Ricordiamo poi che è proprio la Norvegia il Paese con il maggiore rischio di fratture dell’anca nel mondo, a causa dell’insufficiente assunzione di calcio e di vitamina D con gli alimenti. Un adeguato utilizzo di supplementi aiuta a mitigare gli effetti di queste carenze e a prevenire osteoporosi e fratture. Alcuni studi, però, hanno dimostrato che assumere supplementi di calcio può portare anche a un aumento di rischio di infarti e ictus. In uno studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica «Osteoporosis International», la dottoressa Gunhild Hagen dell’Università Norvegese della Scienza e della Tecnologia (NTNU), principale autrice, solleva il dubbio che spesso un moderato effetto protettivo nei confronti delle fratture non valga il rischio di un aumento del pericolo di problemi cardiovascolari, soprattutto per le donne a basso rischio di fratture ossee. Alcuni ricercatori della NTNU e dell’università di Oslo hanno utilizzato un avanzato modello analitico per valutare l’effetto totale sulla salute che deriva dall’assunzione di calcio e di vitamina D assieme, rispetto alla non-assunzione, basandosi su un gruppo di donne in buona salute di 65 anni con un indice di massa corporea pari a 24. Gli autori dello studio, in un articolo su Aftenposten, uno dei maggiori quotidiani norvegesi, spiegano che l’analisi ha mostrato che se 100.000 donne di 65 anni prendono 1 g di calcio al giorno, tutti i giorni, si prevengono 5.890 fratture dell’anca e 3.820 altre fratture. Per contro, potrebbero essere causati 5.917 infarti cardiaci e 4.373 casi di ictus. Quindi, nel caso di donne di quell’età, il rischio è maggiore dei benefici. In sintesi, data la difficoltà di giungere a conclusioni certe, pur in presenza di ottime motivazioni, gli studiosi norvegesi suggeriscono di indirizzarsi verso altri tipi di cure per la prevenzione dell’osteoporosi, soprattutto in assenza di motivazioni specifiche importanti. Quindi l’ipotesi che vi sia uno stretto rapporto tra un surplus di calcio, abbinato alla vitamina D, e l’aumento di malattie cardiovascolari dev’essere approfondito con nuove indagini. A tale riguardo, per un commento autorevole abbiamo interpellato il dottor Ovidio Brignoli, vice-presidente della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG). Dottor Brignoli, qual è la sua valutazione dello studio norvegese? «Direi che è molto interessante, nonostante non sia una novità in assoluto perché rientra in un filone di ricerche scientifiche consolidate da tempo. È da considerare, semmai, come un’ulteriore e necessaria conferma. Infatti l’uso di integratori di calcio per prevenire l’osteoporosi continua a essere un tema assai dibattuto per quanto riguarda sia l’efficacia sia la sicurezza. In un editoriale, pubblicato nel 2014 su «Nature Reviews Endocrinology», Ian R. Reid della Facoltà di Scienze Mediche e della Salute dell’Università di Auckland (New Zealand) si sofferma, in particolare, sulla correlazione tra supplementi di calcio e rischio cardiovascolare. Recenti studi clinici, meta-analisi e studi osservazionali, hanno evidenziato che l’uso di integratori di calcio può aumentare il rischio di infarto del miocardio del 21% e del 20% per l’ictus. Per quanto riguarda la loro sicurezza, esistono almeno altre preoccupazioni», precisa sempre il nostro esperto. Che prosegue: «Lo studio Women’s Health Initiative (WHI) che ha coinvolto oltre 36.000 donne in post-menopausa ha dimostrato come l’uso di integratori di calcio, in combinazione con la vitamina D, aumenti il rischio di calcoli renali del 17%, causando più calcoli rispetto al numero di fratture prevenute. Effetti avversi gastrointestinali sono stati riconosciuti come una spiacevole complicazione dell’uso di integratori di calcio, prolungato negli anni. Inoltre uno studio del 2012 ha riportato un rischio due volte maggiore di ricovero in ospedale con una situazione di emergenza gastrointestinale acuta in un gruppo di pazienti randomizzati a ricevere supplementi di calcio. Ancora una volta, tali integratori hanno causato più ricoveri ospedalieri rispetto alle fratture prevenute». Dunque esistono alcuni studi precedenti. Ma qual è l’insegnamento che si può ricavare da quello norvegese?

«I messaggi sono essenzialmente due. Innanzitutto servono ulteriori studi scientifici che coinvolgano grandi gruppi di persone per chiarire meglio se la somministrazione di calcio, da solo o con la vitamina D, sia più benefica che dannosa. Per intenderci, è necessario valutare se i benefici legati alle fratture ossee (solo in Italia abbiamo circa 5 milioni di soggetti con osteoporosi, anche severa) siano di gran lunga maggiori ai rischi cardiovascolari che i pazienti corrono. Seconda cosa, è fondamentale che i medici usino la massima cautela nel prescrivere gli integratori di calcio per la prevenzione delle fratture ossee, specialmente nelle donne anziane (dove la malattia cardiaca è molto elevata). Perciò ritengo opportuno che, come primo approccio, sia eseguita un’accurata valutazione del rischio cardiovascolare della paziente, utilizzando tutti gli strumenti a nostra disposizione. In pratica, è necessario considerare caso per caso. E ancora, come suggeriscono le conclusioni dello studio norvegese, è bene sottolineare che alle donne colpite da osteoporosi (anche grave) e con elevato rischio di malattie cardiache si può offrire tutta una gamma di terapie, senza necessariamente la somministrazione di calcio». È vero che il medico di famiglia ha un ruolo fondamentale nella cura del paziente anziano? «Direi proprio di sì. È importante sottolineare che noi medici di medicina generale, rispetto agli specialisti, abbiamo un vantaggio enorme, dovuto alla continuità temporale del rapporto con il paziente. Siamo infatti la prima persona o l’ultima (come dir si voglia) a cui un anziano, da solo o accompagnato, si rivolge per un problema di salute. Perciò dovremmo avere l’assoluta responsabilità in relazione ai trattamenti o alle scelte terapeutiche da prescrivere», sostiene ancora il dottor Brignoli. Che ribadisce: «Noi siamo probabilmente gli unici ad avere una visione complessiva circa l’effettivo stato di salute del singolo soggetto, anziano o meno. Tengo a sottolineare che il compito principale del medico di medicina generale, che ha in carico il paziente da sempre, è quello di aiutarlo a scegliere la terapia più opportuna e, magari, adeguarla alle proprie esigenze. Può accadere, ma è un evento raro, che ci sia anche qualcun altro, per esempio un cardiologo o un oncologo, che abbia in qualche modo il quadro completo dei farmaci assunti dal paziente. Normalmente, però, la figura centrale è il medico di medicina generale, perché conosce molto bene il malato, magari da più di 10-15-20 anni, e che da sempre riveste il ruolo di consigliere, di guida o, meglio ancora, di accompagnatore esperto. Questo è un dato di fatto, certamente, che nessuno può mettere in dubbio». In conclusione, dottor Brignoli, quali sono le regole “d’oro” per vivere a lungo in salute? «Direi che sono essenzialmente quattro. È necessario mantenersi in forma a tutte le età, facendo regolarmente attività fisica proporzionata. Bisogna controllare il peso con un’alimentazione il più possibile varia, equilibrata e moderata. Per questo suggerisco quella Mediterranea. È bene sicuramente sottolineare che il fumo fa male a qualsiasi età, soprattutto nei giovani. È consigliabile, soprattutto in età avanzata, di mantenere la testa sempre in movimento o, meglio, il cervello impegnato in attività varie: dalla visione di un buon film alla lettura di un romanzo, dal seguire un corso di ballo al frequentare gli amici, con cui, magari, uscire a cena. E altro ancora. In pratica, è necessario, a qualunque età, praticare attività che possano farci sentire bene e stare sereni».

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