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di Anna Pellizzone
Turbamenti emotivi, rabbia e sforzo fisico possono innescare il primo infarto. I fattori scatenanti sono associati a un aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa,che insieme comportano una diminuzione del flusso del sangue. Se questo accade nei vasi vicini al cuore,il flusso sanguigno può essere ridotto drasticamente,o addirittura interrotto, e può portare a un attacco cardiaco

“Mi si stringe il cuore”, “mi sono presa a cuore”, “mi ha spezzato il cuore”, “ho il cuore in gola”. E poi ancora: “accorato”, “batticuore”, “coraggio”. Al contrario di quanto credevano erroneamente gli antichi egizi, il cuore non è la sede delle emozioni, ma – secondo lo studio canadese che proviamo a raccontarvi di seguito – emozionarsi, arrabbiarsi e fare sforzo fisico sono attività che possono avere un impatto sul muscolo cardiaco.

Più precisamente, i traumi emotivi, la rabbia e lo sforzo fisico possono innescare il primo infarto acuto del miocardio di un soggetto. Attenzione, però. A scanso di equivoci, prima di entrare nei dettagli della ricerca specifichiamo subito fin da queste prime righe che il ruolo positivo giocato da una corretta e costante attività fisica nella prevenzione delle malattie cardiovascolari non è in discussione. Su questo, con buona pace dei più pigri, torneremo dopo.

Che alcuni eventi stressanti potessero innescare degli attacchi cardiaci era già stato dimostrato da alcuni studi, ma, come ci ha spiegato Andrew Smyth – ricercatore post-doc sia presso il Population Health Research Institute della McMaster University a Hamilton, in Canada, sia presso l’HRB Clinical Research Facility della National University of Ireland a Galway, in Irlanda – quello di cui stiamo parlando è ‹‹il primo studio che ha una visione globale sulla questione››. La novità è che, oltre a verificare il rapporto di causa-effetto tra paura, turbamenti emotivi e sforzo fisico, la ricerca ha provato a indagare se tale rapporto varia a seconda della regione del globo da cui provengono i partecipanti.

‹‹Lo studio ha coinvolto una popolazione di circa 12.500 persone, provenienti da oltre 50 Paesi di tutto il mondo reclutati dagli ospedali in seguito al loro primo attacco di cuore (infarto acuto del miocardio) e identificati attraverso l’ammissione in ospedale (reparto di cardiologia o unità coronarica); dopo aver dato il proprio consenso, i partecipanti hanno completato un questionario standardizzato strutturato››. Il che significa con delle domande prestabilite e uguali per tutti. Tra queste, anche se avessero esercitato “attività fisica intensa” o se fossero andati incontro a “turbamenti emotivi” o a particolari “arrabbiature” nei 60 minuti precedenti l’infarto, lasciandoli quindi liberi di interpretare il significato di questi termini, senza chiedere loro valutazioni in termini di intensità, caratteristiche o esempi.

Non necessariamente il lasciare spazio a una certa discrezionalità va a minare la solidità di una ricerca. In questo caso, infatti, la metodologia è uno dei punti di forza dell’indagine, che si inserisce in un più ampio progetto di portata globale. Si chiama INTERHEART e, come ci ha spiegato Andrew Smyth, si tratta di “un caso studio che ha coinvolto migliaia di persone da oltre 260 centri ospedalieri in oltre 50 Paesi”. Inoltre, per ogni persona inclusa in INTERHEART che avesse avuto un attacco cardiaco, è stato coinvolto un controllo, un soggetto sano di confronto, indispensabile per qualunque ricerca, e uniforme per età e genere al soggetto infartato.

Ma rimaniamo un attimo sui metodi, perché c’è un altro aspetto della ricerca che stiamo raccontando che è degno di nota. Nello studio sull’eventuale ruolo delle emozioni e dell’attività fisica nella determinazione dell’infarto, i ricercatori hanno utilizzato un approccio noto come case-crossover. Seguendo questo metodo, i ricercatori hanno confrontato i dati connessi ai partecipanti in un certo momento (l’ora precedente al primo infarto), con i dati degli stessi partecipanti in altro momento (la stessa ora, ma del giorno precedente a quello dell’infarto). Il case crossover prevede che lo stesso soggetto svolga il ruolo sia di campione studio, sia di controllo, eliminando quindi la necessità di correggere i dati per fattori come l’età, il genere o la presenza di diabete.

Ma perché tra tutti gli stimoli con cui ci troviamo a che fare nell’arco della nostra giornata i ricercatori hanno scelto di esaminare proprio la rabbia, il turbamento emotivo e l’attività fisica? ‹‹Abbiamo selezionato questi fattori di innesco (triggers) perché sono misurabili e comprensibili per un maggior numero di partecipanti, un aspetto importante soprattutto vista l’ampiezza e la variabilità delle regioni e delle etnie coinvolte nello studio››. Altri fattori avrebbero potuto mettere in difficoltà gli intervistati o avrebbero potuto influenzarne le risposte sulla base di pregiudizi di natura sociale. Tra questi il consumo di alcol, cocaina, caffè, marijuana, le emozioni positive, i pranzi pesanti, l’attività sessuale, l’esposizione al traffico o le infezioni respiratorie. Solo per citarne alcuni, tutti descritti in un articolo pubblicato su ‹‹The Lancet›› nel 2011.

E perché i 60 minuti che precedono l’infarto sono importanti? L’intervallo di tempo che gli scienziati hanno scelto è di 1 ora, perché precedenti indagini hanno dimostrato che la possibilità che questi episodi o fattori inneschino un attacco di cuore è più alta quanto più si è vicini al momento dell’evento e che al contrario diminuisce per intervalli di tempo più lunghi. Insomma, anche se la ricerca spesso porta a scoprire cose inaspettate e distanti dai disegni iniziali, leggi serendipità, quasi niente nella progettazione degli studi è lasciata al caso.

Nel caso specifico, la risposta alla domanda di ricerca è forte e chiara: l’attività fisica, la rabbia o i turbamenti emotivi possono innescare il primo infarto del miocardio in una persona in qualunque parte del mondo. ‹‹Non abbiamo trovato differenze significative tra i partecipanti con diversi fattori di rischio cardiovascolare, tra i diversi gruppi di età, tra maschi e femmine, tra persone con diversi livelli di attività fisica o di stress. L’esposizione a rabbia o shock emotivi o sforzo fisico sono risultati associati a un ulteriore aumento del rischio››.

Ma per capirne di più, il dott. Smyth ci ha dato qualche altro dettaglio: ‹‹Questi fattori scatenanti sono stati associati a un aumento della frequenza cardiaca e a un aumento della pressione del sangue (che di solito comporta un cambiamento nel diametro dei vasi), che insieme comportano una diminuzione del flusso del sangue. Se questo accade nei vasi vicini al cuore, il flusso sanguigno può essere ridotto drasticamente, o addirittura interrotto, portando quindi a un attacco cardiaco››.

Cosa possiamo quindi fare per abbassare il nostro rischio di infarto legato a questi “triggers”? ‹‹Il nostro suggerimento – ha spiegato oltre il ricercatore – è che le persone riducano al minimo la loro esposizione a paura e turbamenti emotivi o sforzo fisico, quando possibile, cercando di identificare delle strategie per ridurre al minimo entrambe. Per esempio non è possibile prevedere gli eventi della vita che possono provocare shock emotivi, come un lutto o la rottura di una relazione, ma altre cose, sì, come per esempio lo stress da lavoro››. Si può limitare la durata di esposizione allo stress, limitando così anche la risposta fisiologica.

‹‹Per quanto riguarda l’attività fisica – consiglia Smyth – raccomandiamo che le persone evitino gli sforzi estremi che esulano dalla loro routine››. Ma attenzione: ‹‹questo parametro varia per ciascuno. Per esempio chi è molto attivo e corre 4-5 volte alla settimana può non considerare 6 km di corsa come uno sforzo estremo, ma chi non svolge regolare attività fisica deve considerarla un’attività molto importante. E a chi vuole aumentare l’intensità, la frequenza o la durata dell’allenamento consigliamo che questo sia fatto in modo graduale››. Questo però non significa che chi alla corsa preferisce il divano possa sentirsi esonerato dal fare un po’ di moto: ‹‹continuiamo a promuovere gli effetti positivi di una regolare attività fisica sul sistema cardiovascolare. Il nostro messaggio è quello di sottolineare l’importanza di minimizzare lo sforzo fisico estremo, che può portare a un maggiore rischio››.

Insomma, che appartenga a un uomo o a una donna, che sia di un fumatore o di un salutista, che risieda in un americano o in un asiatico, il cuore preferisce la tranquillità e un allenamento regolare e senza strattoni. E se tutto quello che abbiamo letto si riferisce al primo infarto, per capire l’effetto di rabbia, shock emotivi e sforzo fisico improvviso su persone che già precedentemente hanno avuto attacchi cardiaci servono altri studi. La ricerca continua…

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