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di Riccardo Segato
Dei ricercatori canadesi hanno scoperto che a introdurre nella dieta di ogni giorno il consumo di fibre d’avena, si protegge il cuore e le arterie dalle conseguenze dell’aterosclerosi. In particolare, sono i β-glucani che si trovano in questo cereale, di cui l’Europa è la maggior produttrice, che abbassano i livelli di colesterolo e di altri valori lipidici presenti nel sangue dopo sole tre settimane dall’assunzione. La scoperta è stata fatta ponendo sotto osservazione quasi 4 mila pazienti con più di 50 anni d’età e leggermente in sovrappeso

La scoperta risale a più di cinquant’anni fa. Il primo studio che ha preso in esame le proprietà dei β-glucani contenuti nelle fibre di avena e in altri alimenti, dimostrando che abbassano i livelli di colesterolo nel sangue, risale al 1963. Da allora la ricerca si è affinata. Il ruolo che le fibre di β-glucani hanno sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari è stato comunemente riconosciuto e adottato nelle linee guida sanitarie di vari Paesi. A ricordarcelo è il dottor Vladimir Vuksan, direttore del “Centro Fattori di Rischio Modificabili” del “Saint Michael Hospital” di Toronto, Canada, coautore di un meta-analisi che è entrata nello specifico delle proprietà dei β-glucani dell’avena per dimostrarne l’effetto positivo su tre specifici marcatori del rischio cardiovascolare: il colesterolo LDL (quello “cattivo”), il colesterolo non-HDL (la differenza fra colesterolo totale e quello” buono”, HDL) e l’apolipoproteina B (ApoB, il cui compito è trasportare il colesterolo nel sangue). ‹‹Che il consumo di fibre d’avena giuochi un ruolo primario nelle diete che hanno per scopo di migliorare i livelli di colesterolo – ci ha spiegato il dottor Vuksan, intervistato in merito allo studio surriferito, apparso sul “British Journal of Nutrition” nel mese di ottobre 2016 – è ampiamente condiviso, al punto che è presente nelle raccomandazioni delle agenzie per la Salute di più Paesi, come il Canada, gli Stati Uniti, l’Europa, la Malesia e la Nuova Zelanda. Per questo il motivo, gli studi che abbiamo incluso nella nostra meta-analisi sono stati condotti in differenti aree geografiche, fra le quali il Canada, gli Stati Uniti, il Messico, molti Paesi europei, l’Australia e la Nuova Zelanda, alcuni Stati asiatici e altri del Medio Oriente››. Alla domanda se aveva un senso spingersi così in là geograficamente parlando, mettendo sullo stesso spiano nazioni in cui il consumo di fibre d’avena è, probabilmente, differente per tradizione alimentare, la risposta è stata che ‹‹se è vero che il consumo di avena può variare a seconda della zona geografica, i dati presi in esame dalla nostra meta-analisi sono largamente generalizzabili››. In effetti, Vuksan e colleghi hanno dedicato le loro attenzioni agli studi nei quali il consumo di fibre d’avena è stato posto in relazione agli effetti misurabili sul colesterolo, a patto che fosse presente il gruppo di controllo la cui dieta ne escludesse il consumo. Per questa ragione, l’estensione geografica della ricerca non ha creato problemi, giacché, al lato pratico, a fini della ricerca, contava solo il consumo d’avena contro il non-consumo, e gli effetti che i due differenti regimi alimentari hanno avuto sui marcatori del rischio cardiovascolare. In base a questi criteri sono stati selezionati oltre cinquanta studi (58), che complessivamente hanno arruolato quasi quattro mila soggetti (3.974). Da questi dati è emerso che, alla media dose di 3,5 g/d di β-glucani (l’equivalente di una tazza d’aveva a colazione e a pranzo e qualche biscotto salato al giorno, vedi box), il colesterolo LDL si è abbassato significativamente del 4,2%, di 4,8 il colesterolo non-HDL e del 2,3 i valori di ApoB.

Di che cosa parliamo quando parliamo di questi parametri di rischio cardiovascolare? ‹‹Allo stato delle nostre conoscenze – si legge a introduzione dello studio citato – l’obiettivo primario della riduzione dei fattori di rischio per le malattie cardiache e vascolari è mantenere entro valori prestabiliti il colesterolo LDL come primo obiettivo, seguìto dal controllo di colesterolo non-HDL e ApoB come seconda opzione››. Una seconda scelta, quella di concentrare il focus della prevenzione contro il colesterolo non-HDL e le ApoB, che diviene primaria se il colesterolo LDL sembra non destare problemi, per il fatto che non sconfina oltre i livelli di guardia. Il colesterolo LDL resta un parametro molto importante per la valutazione del rischio cardiovascolare. Ai suoi valori si associa la probabilità teorica di subire una malattia correlata all’aterosclerosi: l’intasamento delle arterie a causa della formazione delle placche di colesterolo. Le malattie più note, secondarie all’aterosclerosi, sono l’infarto del miocardico, l’ictus cerebrale e le patologie renali, che nell’insieme rappresentano la principale causa di morte nel mondo industrializzato. Il perché queste malattie si verificano (cioè la loro eziopatogenesi) è oggetto di intense attività di ricerca.

Un tempo, in ambito clinico, l’attenzione si focalizzava soprattutto sui valori di colesterolo totale, mentre oggi viene data maggiore importanza al colesterolo LDL e al suo rapporto con la frazione HDL. Diverse meta-analisi condotte su studi che valutano il ruolo delle statine nei pazienti con patologia coronarica hanno dimostrato che i livelli di colesterolo non-HDL sono più associati alle patologie cardiovascolari rispetto a quelli di colesterolo LDL. Inoltre, a riguardo delle ApoB, sappiamo che sono proteine che servono da legante per i recettori delle LDL situati in numerose cellule dell’organismo. In pratica, l’ApoB è il passpartout che favorisce l’ingresso del colesterolo nella cellula.

Colesterolo LDL, non-HDL e ApoB sono parametri clinici che, se anche considerati nel loro insieme, rappresentano soltanto alcuni dei tanti fattori predisponenti alle malattie cardiovascolari. A complicare il quadro clinico si aggiungono l’ipertensione, il diabete mellito, il fumo di sigaretta, l’obesità, la familiarità per tali patologie e l’inattività fisica. Alcuni elementi di rischio risultano modificabili (tabagismo, ipertensione, diabete mellito, alimentazione scorretta, sedentarietà), mentre altri non lo sono (età, sesso, familiarità e fattori genetici).

Insieme all’orzo, l’avena è dunque la più importante fonte di β-glucani, una fibra solubile che aiuta a ridurre il colesterolo. I β-glucani hanno effetti positivi anche sul senso di sazietà e possiedono una spiccata attività prebiotica, cioè favoriscono la selezione e la crescita nell’intestino della flora batterica, che previene l’incidenza di varie patologie del colon-retto. Inoltre, i β-glucani rallentano l’assorbimento dei carboidrati e, in questo modo, riducono gli aumenti di glicemia (e insulina) che si osservano dopo pranzo. Il che può essere particolarmente utile per le persone che soffrono di iperglicemia e di diabete, ma si tratta comunque di un meccanismo utile in senso salutistico per tutti. Gli effetti positivi dei β-glucani legati al consumo di alimenti che li contengono riguardano anche la capacità di ottimizzare il senso di sazietà, spingendo le persone a mangiare di meno, a prescindere.

Un’altra caratteristica dell’indagine canadese è stata quella che i pazienti, uomini donne, avevano tutti un’età di poco superiore ai cinquant’anni ed erano in leggero sovrappeso. Non crediamo che si tratti due dati, l’uno anagrafico e l’altro antropometrico, casuali. ‹‹Sulla base degli studi che hanno soddisfatto i criteri di inclusione – conferma il dottor Vuksan – è risultato che i pazienti arruolati avevano circa 50 anni ed erano leggermente in sovrappeso. Ma non siamo stati noi ad avere selezionato i pazienti sulla scorta di questi criteri. La nostra ricerca si è basata su una metodologia retrospettiva, che ci ha permesso di applicare una revisione sistematica dei dati provenienti da fonti già pubblicate. In un secondo tempo, questi dati li abbiamo combinati statisticamente per ottenere un effetto di stima più preciso. I nostri criteri d’inclusione sono stati che, negli studi, il trattamento a base di β-glucani ricavati da fonti di avena avesse una durata superiore a 3 settimane e che le valutazioni dovessero riguardare le variazioni dei valori di colesterolo LDL, di colesterolo non-HDL e/o di ApoB››.

Non ci è sfuggito che l’atout a favore dell’avena e dei suoi derivati provenga da un gruppo di ricercatori appartenenti a un Paese, il Canada, fra i maggiori produttori a livello mondiale di questi cereali. Per la precisione, attualmente il Canada è il terzo produttore mondiale. Il primo è l’Europa dei 27 Paesi (del dopo Brexit), il secondo la Russia confederata. Ma anziché sollevare inopportune questioni di conflitto d’interesse – sarebbe come avanzare dubbi sugli studi italiani che prendono in esame le proprietà dell’olio d’oliva extra-vergine, solo perché il nostro Paese è fra i primi produttori mondiali di questo prodotto – abbiamo voluto approfittare del nostro interlocutore per chiedergli di quale avena stiamo parlando, se quella che i contadini canadesi coltivano, in tutto o in parte, con metodi biologici, oppure se l’intera produzione deriva da processi di agricoltura industriale, dando per scontato che la qualità dei due prodotti è molto differente e che come tale è differente l’impatto che l’avena ha sulla salute delle arterie. ‹‹Le variazioni nel contenuto dei nutrienti sono in gran parte attribuibili al genotipo, alle pratiche agronomiche e ai metodi di lavorazione, ragion per cui l’agricoltura intensiva o la rotazione biologica giocano probabilmente un ruolo non secondario nella qualità del prodotto, ma questo tipo di considerazioni vanno oltre gli scopi della nostra ricerca››. Queste considerazioni, magari, potrebbero suggerire l’argomento di un prossimo studio: una focalizzazione sull’impatto che la qualità dell’avena, a seconda di come viene coltivata, avrebbe sulla salute delle nostre arterie.

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