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di Angela Nanni
L’addome è la parte del corpo in cui si concentra il grasso più pericoloso per la salute del cuore. Lo conferma da ultimo uno studio pubblicato sulla rivista “Journal of the American College of Cardiology”. I ricercatori hanno analizzatola relazione fra volume e densità del grasso addominale e rischio cardiovascolare. L’osservazione ha coperto un periodo di 6 anni

Uno studio pubblicato sulla rivista “Journal of The American College of Cardiology” rileva, ancora una volta, come il grasso più pericoloso per la salute cardiovascolare sia quello che si accumula dentro l’addome: dovendo scegliere, quindi, meglio le maniglie dell’amore (tessuto adiposo sottocutaneo) che la “pancetta” (tessuto adiposo in genere di tipo viscerale), anche se l’ideale, per la salute, è cercare di rimanere sempre normopeso. Il grasso viscerale, anche chiamato intraddominale, è quello che, depositandosi nella cavità addominale, va a riempire tutti gli spazi disponibili fra gli organi che vi sono alloggiati. Questi accumuli, oltre a minare la salute cardiovascolare, costituiscono un importante fattore di rischio per lo sviluppo di diabete di tipo2, determinano l’insorgenza di complicanze nel metabolismo e spianano la strada alla formazione dell’aterosclerosi. Il grasso viscerale, inoltre, è in grado di rilasciare sostanze ad azione infiammatoria come le citochine in misura maggiore alle cellule adipose dislocate negli altri distretti, per questo motivo è molto importante monitorarlo e tenere sotto stretto controllo la circonferenza ombelicale, poiché, giova ripeterlo, è soprattutto il grasso addominale, più che il sovrappeso, il nemico per la salute cardiovascolare ed epatica. È meglio essere in sovrappeso e avere un buon fitness cardiorespiratorio che avere un girovita elevato.

Nel lavoro di ricerca citato gli autori hanno studiato i dati relativi a 1106 persone che avevano preso parte al Framingham hearth study: a inizio ricerca l’età media dei partecipanti si attestava intorno ai 45 anni. Tutti i partecipanti allo studio si sono sottoposti a una tomografia computerizzata (TAC) addominale allinizio e alla fine dello studio con lo scopo di valutare i cambiamenti nella qualità e nella quantità del tessuto adiposo nel corso dei 6 anni di follow up. I ricercatori, analizzando i risultati dell’esame strumentale, hanno potuto notare un aumento dei fattori di rischio cardiovascolare all’aumentare del grasso viscerale, molto superiore a quello che si sarebbe potuto stimare misurando semplicemente la circonferenza vita o l’indice di massa corporea. Durante i 6 anni dello studio è stato rilevato un aumento del grasso dei partecipanti di circa 600 cm3  per il sottocutaneo e di 703 cm3 per il viscerale, così come il peso dei partecipanti è aumentato di quasi 2 kg e mezzo. In media, dunque, c’è stato un aumento della quantità di grasso sia profondo sia superficiale a livello dell’addome. Più il grasso si è accumulato negli strati profondi dell’addome, maggiore si è rivelato il rischio di insorgenza di nuovi fattori di rischio cardiovascolare al termine del follow up, indipendentemente dai fattori di rischio non modificabili, come l’età, il sesso, l’essere o meno in menopausa (e il seguire o meno una terapia ormonale sostitutiva) per le donne, e dai fattori modificabili, come l’attività fisica svolta, il vizio del fumo, il consumo di alcol. L’aumento dell’accumulo di adipe nell’addome, tra i visceri, ha implicato così tutta una serie di conseguenze, quali un aumento dei valori pressori, dei livelli di trigliceridi circolanti, di glucosio e una diminuzione di colesterolo HDL, il cosiddetto colesterolo buono, considerato un indicatore molto attendibile del rischio cardio e cerebrovascolare.

L’idea di quanto grave possa essere l’accumulo di grasso dentro l’addome può essere data solo dalla tomografia computerizzata o la risonanza magnetica nucleare. La sola misura dell’indice di massa corporea (BMI), infatti, serve solo a classificare le persone come sottopeso, normopeso e obese, ma non fornisce alcuna informazione sulla distribuzione del grasso poiché è una misura che si ottiene dividendo il peso in kg per il quadrato dell’altezza. «Allo stesso modo la misura della circonferenza vita è poco indicativa. ‹‹Se il consiglio finora è stato di mantenere il giro vita sotto gli 88 cm nelle donne e sotto i 102 negli uomini in previsione di un buono stato di salute – commenta il dottor Francesco Spannella, specializzando in Geriatria presso la Clinica di Medicina Interna e Geriatria, Centro di Riferimento Regione Marche Ipertensione Arteriosa e Malattie Cardiovascolari con sede ad Ancona – recentemente le misure sono da rivedere al ribasso. Tant’è che, nelle ultime linee guida della European Society of Cardiology in merito alla prevenzione cardiovascolare, tali valori target sono stati portati a 80 cm per le donne e a 94 cm per gli uomini».

Ma perché il grasso tende ad accumularsi dentro l’addome? La “pancetta” è un classico soprattutto maschile dopo una certa età. Purtroppo, con il trascorrere degli anni, il metabolismo tende a rallentare e anche la capacità di bruciare i grassi. Per le donne il problema pancia comincia a diventare importante con la menopausa, quando il fisiologico calo dei livelli di estrogeni circolanti, fino a quel momento protettivi, fa ingrassare, accumulando tessuto adiposo viscerale a livello addominale. L’accumulo di adipe sull’addome è favorito anche da una scorretta alimentazione, ipercalorica rispetto al normale dispendio energetico, e ricca di alimenti raffinati quali cracker e patatine, bevande zuccherate, dolci e carne rossa. Per limitare il grasso addominale, invece, bisognerebbe aumentare il consumo di frutta, verdura, cereali integrali, utilizzare come unico condimento l’olio extra vergine di oliva e consumare molto pesce. A favorire l’accumulo di grasso a livello addominale interviene anche la predisposizione genetica, cattive abitudini di vita come una scorretta igiene del sonno o concentrare nel pasto serale la maggior parte dell’introito calorico quotidiano. Chi non dorme un numero adeguato di ore per notte assiste a un progressivo deregolamento del proprio metabolismo che non riesce più a bruciare come dovrebbe il grasso in eccesso.

E se fosse una questione di allenamento? «Per riu- scire a far calare la pancia, curare solo l’alimentazione non basta – commenta il dottor Spannella – bisogna dedicarsi con costanza anche all’attività fisica, che andrebbe considerato il primo “farmaco” da assumere per una buona salute del nostro corpo. Non occorre attività fisica di elevata intensità: le evidenze scientifiche dicono di eseguire almeno 150 minuti a settimana di attività fisica aerobica come per esempio la camminata a passo veloce 30 minuti al giorno per 5 giorni a settimana, alfine di una buona prevenzione cardiovascolare. Impegnarsi in questo senso, con un corretto stile di vita, richiede una grossa motivazione e tanta forza di volontà, ma risulta indispensabile se si vuole mantenere in buona salute le nostre arterie, evitando demenza, ictus e infarti, per una longevità attiva anche nell’età più avanzata»

Sulla necessità di dover praticare sport per mantenersi in forma, rimanere normopeso e ridurre il rischio cardiovascolare si esprime anche il dottor Rodolfo Malberti, specialista in Ortopedia e Traumatologia e Medicina dello Sport: «La sedentarietà è una vera malattia della nostra società: il tempo per dedicarsi all’attività fisica è decisamente ridotto; i ritmi di vita sono serrati davvero per tutti e anche per le casalinghe, che fra burocrazie, scadenze e accudimento della casa arrivano a sera senza neppure accorgersene, e per i pensionati. La mia esperienza come medico mi permette di affermare che attualmente la richiesta diretta e specifica da parte dei pazienti, sportivi e non, è di dimagrire e di tonificare la muscolatura e di aumentare il benessere psico-fisico, per questo l’ideale sarebbe riuscire a ritagliare almeno un’ora al giorno da dedicare al proprio fisico, oltre a riservare del tempo per coltivare i propri hobby. Fanno ormai parte del vocabolario di ognuno di noi termini come sindrome metabolica, ipertensione, diabete, gotta e malattie cardiovascolari: ognuna di queste patologie può essere efficacemente contrastata curando sicuramente l’alimentazione, ma anche svolgendo attività fisica. Quando parlo di attività fisica da svolgere quotidianamente penso a una popolazione eterogenea, di media età, non a campioni o a gente che la svolge a livello agonistico. Personalmente ritengo che l’attività fisica presso una piscina sia l’espressione più idonea dell’approccio all’esercizio fisico, perché è una modalità di esercizio che non ha particolari controindicazioni e può vantare innumerevoli vantaggi, come la possibilità di muoversi con minor carico sulle articolazioni, sfruttando il galleggiamento e permettendo soprattutto agli arti inferiori e alla colonna di non gravare, appunto, sulle articolazioni più soggette al carico gravitario (come quelle delle ginocchia). La resistenza che l’acqua oppone al nostro corpo può essere da 5 a 12 volte maggiore rispetto a quella offerta dall’aria, a secondo della velocità del movimento svolto, inteso come esercizio, e dalla resistenza opposta con eventuali attrezzature che aumentano la superficie corporea. Strumenti come palmari, bracciali o manubri si possono usare per aumentare l’attrito con l’acqua e rendere più dispendioso in termini di sforzo e consumo calorico l’esercizio fisico svolto. I vantaggi oltre che sul consumo calorico che passa dalle circa 8 calorie per minuto di quando si fa jogging su terra alle 12 calorie per minuto in caso di corsa in acqua, sono evidenti anche a livello cardiovascolare, polmonare e muscolare. Le varie combinazioni di lavoro sia in vasca che a bordo vasca permettono di conseguire nel tempo un incremento della qualità muscolare, intesa come massa magra, un miglioramento del quadro cardio-vascolare oltre che psicologico il tutto corroborato da una riduzione della massa grassa».

(Per approfondimenti:www.rodolfomalberti.com).

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