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di Alberto Ferrari
Dal racconto del proprio vissuto il paziente impara a comprendere le emozioni causate dalla malattia e aiuta il medico a conoscere aspetti importanti del suo stato di salute, specie nelle fasi cruciali. La riprova che raccontarsi non è un mero esercizio di stile  anche in altri settori è ben spiegato nel libro che andiamo a recensire. È un libro in cui si entra nello specifico delle tecniche narrative applicate al mondo aziendale, dal quale apprendiamo quanto grande sia l’importanza della narrazione per lo sviluppo individuale e d’impresa

Esistono molti modi per raccontarsela, uno di questi può essere una tentazione per il dirigente d’azienda che sta attraversando un momento di difficoltà. Se i risultati del management non sono più all’altezza della aspettative, se i collaboratori sembrano scontenti o magari si lamentano di essere vessati da chi li comanda. In questi casi può essere utile la figura di un professionista capace di dare nuova linfa vitale alla forma mentale di chi ha mansioni di guida e controllo, affinché si produca meglio e di più, e possibilmente in un clima più sereno e collegiale. E quanto ci è sembrato di inferire dalla lettura del libro intitolato, “guarda caso”, Raccontarsela la cui autrice, Alessandra Cosso, è specializzata nel lavoro di affiancamento e sostegno al ruolo per manager e altre alte cariche professionali. Nelle compagini organizzative, che poi sono le aziende, oggi sempre di più il counselor, viene assoldato pro tempore affinché proponga le sue competenze in loco. Ma le tecniche narrative giungono nei territori aziendali anche il altro modo, magari attraverso seminari aventi per oggetto programmi di studio descritti con una terminologia piuttosto ineffabile. Un esempio a caso, scovato in rete, che presuppone una full-immersion di due giorni: “Imparare a capire come progettare e realizzare contenuti interessanti per chi li propone e per chi li riceve e a declinarli in codici narrativi efficaci per costruire storie fatte di parole e immagini che funzionano – online e offline, di persona, all’interno di un sito web e nei social media. Dall’informazione alla comunicazione alla narrazione; un’unica storia, tante informazioni che lavorano insieme per costruire un mondo in cui sia piacevole restare”.

Ma, tornando alle attività del counselor narrativo, nella sua metodologia necessariamente stringata nei tempi e nell’approccio, c’è pur sempre il racconto. La persona viene invitata a raccontarsi, non necessariamente per la via autobiografica. Si può benissimo parlare di sé attraverso le narrazioni altrui, siano queste fiabe oppure racconti e romanzi letterari o altro ancora. In questi casi l’attenzione del counselor sarà molto più attenta a leggere tra le righe, al linguaggio figurato, alla scelta degli aggettivi e, più in generale, allo stile chi è stato sollecitato a raccontarsi così. Comunque sia, dalla “narrazione copionale”, non si scappa. Con questo termine s’intende l’elaborazione del proprio vissuto raccontata come una trama narrativa, con tanto di personaggi che entrano ed escono di scena, venendo in contatto con la voce narrante, la quale, a seconda delle circostanze, assume tratti del carattere dei tipi narrativi che calcano le scene drammatiche dalla notte dei tempi: si può essere Salvatore come il Principe azzurro di Cenerentola, Persecutore come Mangiafuoco di Pinocchio, e Vittima come Josef K. del Processo di Kafka. Inoltrandosi nel proprio romanzo dalla struttura narrativa sorprendentemente fiabesca nell’accezione che ci ha consegnato lo studioso russo Vladimir J. Propp, l’antesignano dello strutturalismo delle fiabe, succede di imbattersi in un altro Io per molti versi sconosciuto, o conosciuto solo superficialmente. Si scopre così che gli atteggiamenti più ricorrenti, messi in atto quasi istintivamente nei momenti di crisi individuale, altro non sono che una reazione, costruita con la nostra immaginazione, a ciò che ci ha turbato quando eravamo solo degli esserini indifesi. Quello che l’Analisi Transazionale sostiene è che la nostra vicenda umana e professionale è iscritta nel nostro “copione di vita”, fissatosi ai tempi dell’infanzia.

A conti fatti, la narrazione copionale o stoytelling altro non è che una maniera molto alla mano per migliorare le performance in azienda, discorsive e non, attraverso una riappropriazione dei nodi cruciali del vissuto dell’individuo e di quello della compagine organizzativa di cui egli fa parte. Bisogna andare indietro nel tempo per scoprire che il grande fiume della esistenza può essere riprodotto in una storia nella quale specchiarsi è più facile e, per certi versi, anche piacevole. Il manager invitato a confrontarsi con il proprio operato all’interno dell’azienda deve primariamente porsi le seguenti domande: chi sono, chi sono i miei compagni di avventura, dove stiamo andando. Domande che forse ciascuno di noi dovrebbe porsi a prescindere, per capire il perché delle cose e della strada che si sta percorrendo nel consorzio umano. Se tanti sono i modi per raccontarsela, quello dello scavo interiore sembra l’unico destinato a mietere frutti a ogni stagione del vivere.

E in medicina? La medicina narrativa è ormai una felice realtà. Con medicina narrativa s’intende il racconto di ciò che ci angustia in caso di malattia. È una narrazione che da individuale si fa collettiva nel momento in cui i pazienti, opportunamente sollecitati, si raccontano in proprio e attraverso la testimonianza dei loro parenti e degli amici più stretti, nonché dello staff medico durante le conversazioni e le presentazioni dei casi clinici.

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