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Il digiuno intermittente funziona? Fa dimagrire e raggiungere una condizione di benessere psicofisico permanente, come promettono le molte applicazioni che fanno capolino come funghi allucinogeni su Internet, grazie al corredo di corpi scolpiti secondo un’idea di marketing piuttosto marcata? Una risposta a questa domanda è rintracciabile  tra le conclusioni di uno studio apparso di recente (fine 2022) su «Obesity Facts – The European Journal of Obesity». Prima di dire sì o no, vale la pena ricordare che l’articolo ha sottoposto a revisione sistematica gli studi apparsi a stampa nel periodo novembre 2018-marzo 2021 per identificare gli ultimi dati basati sulle evidenze allo scopo di sintetizzarli nelle linee guida europee di Medical Nutrition Therapy (MNT) per il trattamento dell’obesità negli adulti. Secondo questo lavoro che ha analizzato 56 studi in totale, la dieta mediterranea, le diete vegetariane, gli approcci dietetici che mirano a contrastare l’ipertensione, le diete a basso contenuto di carboidrati hanno tutte associato il miglioramento della salute metabolica con o senza variazioni del peso corporeo. Mentre il digiuno intermittente non dà nessuna prova di vantaggio significativo. Anzi, è connesso a un calo energetico permanente. Quest’ultimo non è proprio una condizione ottimale. Causato da un apporto inadeguato di nutrienti, è tipico nei bambini denutriti, negli anziani vittime di depressione e in tutti coloro che si espongono a digiuni prolungati o ad anoressia.
Gli esiti di interesse dello studio di revisione erano la variazione/mantenimento del peso, il cambiamento del girovita, il rapporto fra massa magra e massa grassa, il controllo sulla fame nervosa, le voglie, la salute mentale e anche la malnutrizione. Più nel dettaglio, si sono presi in considerazione i dati sul controllo cardiometabolico (emoglobina glicata e glicemia, pressione sanguigna e lipidi nel sangue), sull’incidenza di prediabete, diabete e malattie cardiovascolari (ipertensione, infarto del miocardio, malattie cardio coronariche, ictus e altri eventi avversi cardiovascolari). Stando alle metanalisi disponibili, si evincerebbe che gli approcci di digiuno controllato possono avere un qualche vantaggio rispetto alla perdita incontrollata del fabbisogno energetico, ma il calo di peso e la distribuzione di massa magra e grassa non sono gli stessi per tutti i pazienti.
Studi su adulti con un BMI >27 kg/m2 sembrano dare credito all’idea che il digiuno, intermittente o a giorni alterni, sia associato a maggiori variazioni di peso, maggiori cambiamenti in adiposità e benefici potenzialmente maggiori per quanto riguarda i lipidi, sebbene le prove per quest’ultimi siano meno conclusive. In tre studi pubblicati nel periodo considerato, oltre ad avvalorare la continua restrizione energetica, non c’è stata validazione per la perdita di peso e la migliorata composizione corporea negli adulti con BMI >27 kg/m2 con o senza comorbilità.
Come sappiamo, l’obesità influisce negativamente sulla salute sia fisica che psicologica. Basti pensare che gli individui affetti da obesità sperimentano lo stigma del sovrappeso e una discriminazione continua, tanto a scuola che in famiglia che al lavoro, la quale cosa contribuisce a una ridotta qualità della vita e a un aumento della morbilità e della mortalità, indipendentemente dal BMI o indice di massa corporea, che se oltre ≥30 configura la complessione dell’obeso (fra 25-30 quella del sovrappeso). A proposito di BMI, sebbene il BMI sia un indice comunemente usato per lo screening dell’obesità, si tratta di una misura delle dimensioni, non della salute, per la qual cosa è meglio una combinazione dei dati antropometrici: ovvero che il BMI venga considerato insieme al girovita (WC= waist circumference). Negli individui più anziani, l’evenienza dell’obesità sarcopenica, a causa di un calo fisiologico della massa magra, dovrebbe essere considerata e combinata in base a questi due parametri. Infatti, è stato dimostrato che la misurazione di BMI e WC sono entrambi utili per rilevare un aumento del rischio di obesità sarcopenica.
D’intesa con l’ultimo sondaggio tra i dietisti europei – ci ricorda lo studio dal quale abbiamo preso le mosse – il 40% di questi professionisti non include la WC nella valutazione clinica. La combinazione di BMI e WC è invece cruciale in quanto non tutti gli individui con corpi massicci soffrono di obesità e, per contro, l’obesità può essere diagnosticabile in soggetti con corpi di aspetto magro.
Qualsiasi attività che promuova linee guida per il trattamento o la prevenzione dell’obesità – ricorda lo studio nelle sue conclusioni – dovrebbe sempre essere inserita nel contesto di ridurre lo stigma dell’obesità e dovrebbe accogliere l’opportunità di educare gli operatori sanitari e il pubblico sull’impatto della distorsione del peso e dello stigma sui risultati sanitari e sociali per gli individui e la popolazione.

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