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di Riccardo Segato

La pericardite è una malattia che provoca l’infiammazione della membrana che riveste il cuore. Si tratta di un’infezione che può alterare il ritmo e il funzionamento del muscolo cardiaco fino a mettere a rischio la vita del paziente, ma ciò accade solo nei casi estremi, che sono piuttosto rari. Più spesso la pericardite va in remissione completa grazie a semplici terapie. Le forme virali sono le più frequenti

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Il sintomo principale è anche il più subdolo. Un trafittivo e lanciante al centro del petto, proprio ad altezza del cuore, a causa della quale chi l’avverte è costretto a ripiegarsi su se stesso. Ma è quando il dolore s’irradia alle spalle e alle braccia, e poi scende lungo la schiena e l’addome, che si comincia ragionevolmente a pensare al peggio, giacché anche il meno esperto in medicina è convinto che sta per avere un infarto, con buona pace degli elementi di fatto che, fino a quel momento, avevano escluso ogni ipotesi di malattia cardiovascolare.

Per fortuna le cose non sempre sono quello che sembrano. Nel caso in questione, la felice evenienza dà segni manifesti al Pronto Soccorso, dove il paziente che lamenta il dolore al petto è stato portato d’urgenza. Gli esami ematici e l’elettrocardiogramma hanno stabilito che il suo non è un infarto, ma un attacco di pericardite, malattia dalla quale, com’è ovvio, si dovrà curare, ma che non lo ha mai posto in serio pericolo di vita.

Il pericardio è una membrana di due strati che riveste e protegge il cuore. Fra questi due strati è presente un piccola quantità di liquido che serve a evitare l’attrito con il muscolo cardiaco. La pericardite si verifica quando i due strati di tessuto s’infiammano e il liquido non è in grado di lubrificare a dovere le parti in contatto. Il dolore toracico si genera a causa di questo attrito.

La pericardite si distingue in acuta e cronica. Nel primo caso, la manifestazione dolorifica si manifesta all’improvviso ma ha una durata limitata. Quando invece si cronicizza, significa che la pericardite sta avendo uno sviluppo più lento e richiede più tempo per la remissione. Sia acuta che cronica la pericardite ha, di solito, origine idiopatica, il che significa che non si sa con esattezza quale sia la causa che l’ha provocata.

Oltre alle infezioni virali e batteriche, a scatenare la pericardite possono subentrare malattie conclamate, dall’infarto ai tumori, dall’insufficienza renale alla tubercolosi, al virus dell’HIV/AIDS. Oppure la causa è da porre in relazione a interventi chirurgici nel distretto del cuore, o ancora, all’effetto di alcuni farmaci specifici usati per curare le convulsioni, ai farmaci anticoagulanti e ai farmaci specifici per tenere sotto controllo le aritmie: tutte evenienze, queste ultime, che però sono meno frequenti.

Ma come si distingue l’origine della pericardite fra le varie possibili e, successivamente, la cura più adatta? “Certi segni clinici di pericardite – ci spiega Cristina Cavalletti, specialista in cardiologia e ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Università La Sapienza di Roma – come il dolore toracico diffuso, la presenza all’auscultazione di sfregamenti pericardici, le alterazioni dell’elettrocardiogramma e dell’ecocardiogramma, la presenza di febbre e l’elevazione di alcuni parametri ematologici, primi fra tutti la VES (velocità di eritrosedimentazione) e la PCR (proteina C-reattiva), orientano decisamente verso un’origine infettiva/infiammatoria”.

Sono questi gli indici generici che spingono il medico alla diagnosi di pericardite di tipo infettivo/infiammatorio. Tali indici, tuttavia, non dicono nulla su quale sia l’agente, virale o batterico, responsabile. Più precisamente, sappiamo che non esiste un particolare “virus della pericardite”, ma molti virus diversi che possono essere alla base della patologia. “D’altro canto, anche la terapia che si porrà in atto è generica – ci spiega la professoressa Cavalletti – basata su agenti antinfiammatori di vario tipo, che risultano efficaci indipendentemente da quale sia il particolare virus attivo nel singolo paziente (adenovirus, enterovirus, citomegalovirus…). Dunque l’identificazione del virus non ha alcuna utilità pratica”.

Insomma, la pericardite è una condizione patologica che, nella maggioranza dei casi, si cura con la somministrazione di un farmaco antinfiammatorio e con un antipiretico, al pari di un’infezione alle vie respiratore o, ancor più banalmente, alla stregua di uno stato influenzale. Ciò che può variare sono le dosi e il tempo di somministrazione dei suddetti farmaci. Accade così che già al Pronto Soccorso, dopo la diagnosi di pericardite e la somministrazione dei primi farmaci, il dolore crescente scompare poco dopo, lasciando quasi incredulo il paziente, che all’improvviso si sente rinato, come se quel dolore fosse stato più il frutto di uno stato allucinatorio che non una condizione reale appena trascorsa.

“Solitamente le pericarditi virali si manifestano come complicanze di un’infezione virale sistemica: il caso più frequente è l’influenza stagionale – ci conferma il dottor Massimiliano Grillo, cardiologo presso il Policlinico di Monza – e come tale è difficile da prevenire, ma si può ridurre l’incidenza con la vaccinazione. Viceversa, le pericarditi di origine batterica si possono prevenire utilizzando una adeguata terapia antibiotica per trattare l’infezione principale”.

Per le altre possibili e molto più rare cause di pericardite, come la tubercolosi, alcuni tumori, ed eventi traumatici o chirurgici, vale quanto segue: “Si tratta di situazioni di solito facilmente escludibili sulla base di test diagnostici specifici o semplicemente dalla storia clinica del paziente – precisa la professoressa Cavalletti, che aggiunge – Gli unici casi in cui può rendersi necessario l’intervento chirurgico sono la pericardite costrittiva e il rischio di tamponamento cardiaco. La prima è una condizione che non si manifesta praticamente mai nelle forme virali, mentre è relativamente frequente nelle forme tubercolari o in alcune altre forme batteriche: consiste in una particolare reazione infiammatoria del pericardio, che si ispessisce e si indurisce, così da ostacolare il normale movimento del cuore che è contenuto al suo interno. È evidente che in tal caso si rende necessario un intervento atto a liberare il cuore stesso dalla cotenna che lo costringe, vale a dire l’asportazione completa del pericardio (pericardiectomia). Appena un po’ meno raro nelle forme virali è il profilarsi di un rischio di tamponamento cardiaco: sappiamo che una delle conseguenze della pericardite è il ‘versamento pericardico’, cioè l’aumento della quota di liquido compreso tra i due foglietti del pericardio, che di norma esiste in quantità minima e agisce come un lubrificante che consente il movimento ottimale del cuore all’interno, grazie al libero scorrimento dei due foglietti l’uno contro l’altro. Quando il pericardio si infiamma, come in qualsiasi processo infiammatorio, la quantità di liquido aumenta, e costituisce il cosiddetto ‘versamento pericardico’ che è uno dei cardini della diagnosi di pericardite: all’ecocardiogramma si vedrà comparire tutto attorno al cuore uno spazio riempito di liquido che allontana tra loro i due foglietti del pericardio. In casi rarissimi può accadere che la quantità di liquido sia tanto abbondante da rischiare di ostacolare la distensione dei ventricoli durante la diastole, impedendo il normale riempimento del cuore: in termini medici, si parla di ‘tamponamento cardiaco’. Qualora il controllo ecocardiografico mostri una situazione del genere, il quadro clinico cambia drammaticamente, configurando una condizione di emergenza: la soluzione è un intervento chirurgico (pericardiocentesi) che consiste nell’inserire tra i due foglietti pericardici un tubo per drenare all’esterno il liquido. Si tratta di una procedura tecnicamente semplice e salva-vita”.

Nella letteratura medica sull’argomento ci siamo imbattuti nel caso di una persona che si è ammalata di pericardite di ritorno di un safari in Africa, in cui forse le condizioni igieniche sfavorevoli, lo stress psicofisico legato ai duri ritmi di percorrenza in jeep nella savana, al pernottamento in tenda e ad altri disagi dettati dalle circostanze, possono aver favorito lo scatenarsi dei sintomi. Come se vi fosse stata una relazione di tipo causale fra l’affaticamento fisico, le condizioni climatiche non ottimali e la possibilità di incorrere in un’infezione virale che è andata a interessare il pericardio di quella sfortunata turista, una donna. “Vorrei chiarire che la pericardite non è una malattia esotica o tropicale – afferma la professoressa Cavalletti – È certamente possibile che situazioni particolarmente stressanti, la fatica fisica, le variazioni di fuso orario e di clima e, perché no, il contatto con ceppi virali differenti da quelli comuni nel Paese d’origine, possano agire favorendo una manifestazione particolarmente virulenta di una infezione che, diversamente, decorrerebbe in modo più benigno. Tuttavia, non si tratta dell’influenza diretta del clima o dell’ambiente esotico. La paziente in questione non è certo l’unica ad aver portato dall’Africa un così antipatico ‘souvenir’, ma problemi del tutto analoghi possono manifestarsi anche in chi trascorre le vacanze a Cesenatico o a Cortina, o magari non si è mai mosso da Roma o Milano”.

Più possibilista circa l’influenza sulla pericardite del clima e dell’ambiente è il dottor Grillo. Alla domanda se vi possono essere delle relazioni fra le condizioni climatiche e ambientali non ottimali, tipiche di un dato contesto, e la possibilità di andare incontro a infezioni virali che vadano a interessare il pericardio, la sua risposta è stata affermativa. A suo parere, “alcune infezioni, prevalentemente virali, sono endemiche in alcune regioni dell’Africa e del Sud-Est asiatico: le persone che non vivono in quelle regioni non hanno un sistema immunitario adeguatamente sviluppato per gli agenti patogeni del luogo; quando vi si recano, per vacanza, lavoro o altro, contraggono le infezioni con più facilità rispetto alla popolazione indigena”.

Forse alla nostra paziente preme sapere se, adesso che ha risolto i suoi problemi di pericardite, può ritornare a fare safari e altre vacanze impegnative da un punto di vista fisico, oppure se deve optare per mete più rilassanti, giacché nella letteratura sull’argomento si legge anche che la pericardite è una malattia destinata a ripresentarsi nel 15-30 % dei casi. “Direi di sì, non c’è ragione di vietare proprio il safari o la vacanza d’avventura – sostiene la professoressa Cavalletti – Le recidive si spiegano, nella maggior parte dei casi, con una guarigione ‘imperfetta’, cioè con la permanenza nell’organismo del paziente del virus in una forma inattiva; in situazioni di riduzione delle difese la malattia può ripresentarsi. Però si è visto che, per evitare che ciò accada, è soprattutto importante assicurarsi della completa guarigione subito dopo la fase acuta, proseguendo in dosaggi e per tempi adeguati la terapia, e non sospendendola al primo regredire dei sintomi. Qualora non si fosse seguito un atteggiamento del genere o, nonostante questo, il virus non fosse stato del tutto debellato, esso potrebbe ‘risvegliarsi’ in conseguenza di una qualsiasi situazione di stress”. In altre parole, la condizione di benessere che può manifestarsi già al Pronto Soccorso dopo la somministrazione dei primi farmaci non deve essere scambiata in nessun modo per una guarigione completa o, peggio, per un invito a sospendere le cure. È fondamentale che la terapia sia iniziata il più presto possibile e che sia condotta ai dosaggi adeguati per tutto il tempo necessario, e che il paziente sia mantenuto a riposo.

“Non è il tipo di ambiente/vacanza a determinare la recidiva, ma il tipo di pericardite; – è il parere del dottor Grillo – molto più recidivanti sono le pericarditi che si manifestano a causa delle malattie autoimmuni” (ovvero quelle malattie che nascono a causa di un’alterazione del sistema immunitario e che sviluppano risposte anomale, dirette contro componenti dell̓organismo umano, in grado di determinare un’alterazione funzionale o anatomica del distretto colpito) – che aggiunge – “Posto che, una volta che il paziente ha contratto la pericardite di origine virale, i virus possono permanere allinterno dell’organismo e, in situazioni di ridotte difese immunitarie, l’infezione può anche recidivare, sono molto più frequenti le recidive delle pericarditi su base immunitaria (per esempio, nei pazienti affetti da malattia reumatica o in seguito ad interventi chirurgici sul cuore)”.

“Dobbiamo sottolineare che, nella grande maggioranza dei casi, la pericardite acuta, soprattutto se curata tempestivamente e per tutto il tempo necessario, è una malattia a decorso del tutto benigno – precisa la professoressa Cavalletti – che consente una guarigione completa e senza esiti. I cardini della terapia sono semplicissimi: riposo e antinfiammatori, magari ‘banali’, come l’acido acetilsalicilico (Aspirina), l’Indometacina, l’Ibuprofene, o, in casi selezionati, anche ‘eroici’, come la colchicina o i cortisonici”. “Tuttavia – ci ricorda il dottor Grillo – per quanto la diagnosi sia semplice, necessita di competenza tecnica e di strumenti adeguati”. In altre parole, di fronte al sospetto fondato di pericardite, non è il caso di perder tempo in cure fai-da-te, ma è indispensabile accertare la diagnosi e iniziare la terapia più appropriata.

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