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di Alberto Ferrari

Fiore all’occhiello dalla sanità infantile europea, l’Olanda ha messo a punto un’indagine epidemiologica per l’emersione dei casi di ipercolesterolemia infantile, il cui punto di partenza è stato un questionario ad hoc, fatto circolare fra le famiglie, e la creazione di numerosi presidi territoriali per l’effettuazione degli esami ematici e genetici. In questo modo, già il 75% della popolazione olandese, affetta da questa sindrome, risulta scrutinata, mentre in altri Paesi, fra cui l’Italia, siamo ancora a un misero 1%

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Lo stile di vita dei genitori c’entra fino a un certo punto. Stiamo parlando delle forme di ipercolesterolemia familiare nei bambini. Come si sia nutrita la mamma durante la gravidanza, se abbia ecceduto in cibi ricchi di grassi saturi, bevuto troppe bevande zuccherate e gassate, fumato col pancione e durante l’allattamento sono tutti fattori peggiorativi per la salute cardiovascolare del figlio. Non c’è alcun dubbio. Tuttavia, sebbene l’eccesso di colesterolo e trigliceridi nella catena alimentare che s’instaura fra genitori e figli sia un dato di fatto da non sottovalutare, esso al momento non ha valore di prova scientifica, mentre l’ereditarietà sì. È l’ereditarietà che fa la differenza, che colpisce nel segno, nel senso che la presenza dello stesso gene mutante che provoca l’ipercolesterolemia familiare (FH) è il fattore discriminante che la malattia sta per manifestarsi, o si è già manifestata, nel figlio. Ed è una bomba a orologeria che prima o poi può esplodere facendo danni seri. Generalizzando, i bambini affetti da FH sono sottoposti alle stesse complicazioni cardiovascolari che minacciano l’esistenza degli adulti con valori lipidici troppo alti: infarto del miocardio, ictus cerebrale e malattie delle arterie degli arti inferiori.

“Attualmente, la diagnosi d’ipercolesterolemia in età pediatrica è un dato decisamente sottostimato – riferisce il dottor Sergio D’Addato, esperto di malattie di alterazione del metabolismo lipidico dell’Università di Bologna e dellʼospedale Sant’Orsola – invece sarebbe importante arrivare quanto prima a una diagnosi, per intervenire tempestivamente”. Per chi pensa che basti che il bambino sia obeso per far scattare il campanello d’allarme e con esso i primi controlli, bisogna dire che non è sempre così. Sicuramente un bimbo obeso ha bisogno di essere messo a un regime nutrizionale corretto e, di norma, che gli vengano fatte i primi dosaggi ematici per escludere le forme severe di ipercolesterolemia e non solo quelle. Infatti, “il grosso problema per la malattie del metabolismo lipidico – aggiunge D’Addato – è che sono asintomatiche. I bambini che ne sono affetti sono totalmente asintomatici, a meno che non siano molto gravi”. Sappiamo che esistono due tipologie di soggetti affetti da FH. I più frequenti sono i casi eterozigoti, bambini il cui colesterolo totale s’assesta intorno ai 300–500 mm/dl. Le stime parlano di un 1:500/250, cioè un bambino ogni 500/250 è malato di FH nella variante eterozigote. Poi ci sono i casi omozigoti, il cui colesterolo totale arriva fino a 800-1000 mm/dl. La seconda è una malattia molto rara (1:1.000.000) ma più facile da diagnosticare, essendo l’unica ad avere alcune manifestazioni sintomatiche. “Nei soggetti omozigoti – ci spiega D’Addato – si presentano evidenze oculari e cutanee di ipercolesterolemia, come gli xantomi, che sono accumuli di colesterolo a livello cutaneo, ovvero macchie giallastre riscontrabili a livello degli arti, delle mani, dei gomiti e delle ginocchia”. Inoltre l’arco corneale: “un arco biancastro presente nell’iride”. Infine gli xantelasmi, “altri accumuli di grasso, giallastri, a ridosso delle palpebre”.

Il problema per un genitore è presto detto. Come posso sospettare che mio figlio sia affetto da una ipercolesterolemia familiare? Se sei cittadino olandese tutto si semplifica. La risposta viene da sé. Infatti, nei Paesi Bassi, è stato fatto uno studio esemplare che ha permesso l’emersione della ipercolesterolemia familiare (FH) sul 75% della popolazione di FH, mentre nella maggior parte degli altri Paesi europei la questione è ancora negletta, visto che questo tipo di malattia è stata finora valutata con diagnosi genetica sull’1% della popolazione di FH. Fanno eccezione Norvegia, Islanda e Svizzera che si son messi a ruota del Paese dei tulipani e… delle biciclette. In Olanda, ci si è basati su un questionario per i genitori, una check-list che ha aiutato i medici a fare una diagnosi. “Un questionario – precisa D’Addato – con delle voci, a ciascuna delle quali è stato attribuito un punteggio. Per chi supera un certo punteggio complessivo, scatta la diagnosi di certezza oppure di probabilità di FH, a seconda del valore raggiunto”. Generalizzando, possiamo dire che il questionario tiene conto dei livelli di colesterolo, indaga se nella famiglia vi sono casi di bambini con colesterolo alto, va a studiare l’andamento delle malattie cardiovascolari nei parenti di primo grado e, soprattutto, se queste malattie sono state precoci. “Ma fondamentale nel questionario olandese – aggiunge D’Addato – è l’indagine genetica volta a verificare se è presente il gene della FH”.

“L’eccellenza olandese è frutto di un lavoro iniziato negli anni ’90 – ci racconta il Professor Maurizio Averna, membro della Società europea di aterosclerosi, l’ente che ha fatto da garante scientifico allo studio – che sì è avvalso di un investimento cospicuo del ministero della sanità di quel Paese. Grazie ai soldi stanziati dal governo, l’Olanda si è dotata di una rete di centri periferici, composti da medici e infermieri, che, coordinati dal gruppo universitario del professor J. Kastelein, ha condotto un’indagine sistematica e capillare che ha permesso l’identificazione dei tre quarti degli FH, basandosi non solo sui valori di colesterolo plasmatico, ma effettuando l’identificazione genetica della mutazione responsabile. La stima del 75% (pari a 33.330 individui) è basata sul dato di prevalenza della FH (1.500) su una popolazione di circa 16 milioni e rappresenta la percentuale di FH identificati da un punto di vista clinico e genetico”.

E l’Italia? Con quel dato striminzito di stima dell’1%, dato per altro in comune con Paesi del calibro di Stati Uniti, Francia, Canada, Australia, Giappone, tanto per citarne qualcuno del raggruppamento, tutti Paesi in cui l’assistenza medica non è certo misconosciuta? “Il dato dell’1% si riferisce ai pazienti FH identificati con la sola indagine genetica – precisa il professor Averna – Quelli identificati con diagnosi solo clinica nel nostro Paese sono di più, ma una porzione pur sempre piccola rispetto ai 123 mila attesi, avendo come riferimento la stima di 1:500 pazienti”. Se, tuttavia, dovessimo prendere per modello la nuova stima calcolata su 1:250, ecco che, in Italia (ma anche altrove) il numero complessivo di questi pazienti, affetti da ipercolesterolemia familiare diagnosticata su base genetica, raddoppierebbe. Ma, anche così, siamo alla classica goccia di acqua nel mare dell’indifferenza. “Bisognerebbe aumentare la conoscenza della ipercolesterolemia familiare, che è la più frequente delle malattie genetiche”, afferma il professor Averna. La Società italiana per lo studio dell’aterosclerosi, di cui Averna è Presidente, ha creato una rete di quaranta centri clinici, presenti sul territorio nazionale, nei quali l’indagine genetica è assicurata. “Da quando la rete è stata attivata, sono state effettuate più di 1000 nuove diagnosi”. Va da sé che pediatri, medici di famiglia e cardiologi sono gli operatori della salute da cui ci si aspetta il contributo maggiore contro questa malattia, a cominciare dall’identificazione dei pazienti. Un contributo importante è atteso dai genitori, se opportunamente informati. Ma, tornando al nostro quesito, quando un genitore deve sospettare che il figlio sia affetto da una ipercolesterolemia familiare? Se si tratta di un padre o di una madre con valori di colesterolo superiori a 300 mg/dl, il sospetto diventa verosimile. Infatti, in questi casi, è logico supporre che il figliolo corra lo stesso pericolo di avere valori lipidici così alti, con il rischio più che concreto che la malattia abbia una base genetica. “Peggio ancora – aggiunge D’Addato – se entrambi i genitori sono affetti da forme di ipercolesterolemie severe (FH). In questo caso, è certo che il figlio sia FH eterozigote e inoltre ci si potrebbe trovare in presenza di un bambino con FH omozigote, la più grave delle forme”.

Si diceva di partire dai pediatri, dai medici di base e dai cardiologi, che sono gli operatori della salute impegnati in prima linea contro le malattie cardio-metaboliche di padri e figli. “Un ruolo fondamentale potrebbero averlo i pediatri – secondo D’Addato – partendo da una semplice domanda per i genitori. I pediatri di base dovrebbero interpellare i genitori dei bambini per conoscere qual è il loro stato di salute cardiovascolare, magari richiedendo un esame del sangue recente per il controllo del profilo lipidico”.

Cosa fanno invece i pediatri? “Personalmente a tutti i miei assistiti d’età compresa fra i 6 e gli 8 anni – ci racconta un pediatra di base che esercita a Roma, il dottor Luca Bernardini Betti – faccio fare un prelievo per tutte le analisi generali a cui aggiungo di prassi colesterolo totale, HDL e LDL e trigliceridi. Talvolta capita che i valori siano elevati, per cui metto a dieta il bambino togliendo grassi, latticini e carne rossa. Indi faccio eseguire un’ecografia epatica (per il pericolo di una steatosi epatica non alcolica) e invio il bambino presso un centro pediatrico specializzato in malattie del metabolismo, giacché spesso, in questi casi, almeno uno dei genitori è affetto da una ipercolesterolemia. Ritengo sia molto importante una diagnosi precoce, proprio per contenere il danno cardiovascolare nelle arterie e nel fegato”. La meticolosità del pediatra romano, tuttavia, non ci risulta essere la regola. Un suo collega che abbiamo interpellato, e che preferisce rispondere conservando l’anonimato, riferisce che fa eseguire esami ai bambini quando lo ritiene opportuno a livello anamnestico, ma non prescrive nessun controllo per i genitori, quantunque sia arciconvinto che questo tipo di indagini sull’ereditarietà della FH sarebbe utile anche a livello clinico, per curare in maniera ottimale il bambino, e non un dato utile solo per le indagini di tipo epidemiologico. Non è che questo secondo pediatra non sia meticoloso. Lo è però a senso unico, forse perché il suo mestiere è quello di curare i bambini senza sconfinamenti nelle malattie degli adulti. Tuttavia, di fronte a una malattia genetica come l’FH, capire come si sia manifestata fra i parenti di primo grado, non solo è utile, ma anche indispensabile.

E quando la dieta da sola non basta?  Ovvero quando ci si trova di fronte a bambini con elevati livelli di colesterolo geneticamente determinati? “Come per l’adulto – ci spiega il dottor D’Addato – i farmaci più efficaci per la cura delle dislipidemie sono le statine. Tranne che nei casi molto gravi dei pazienti omozigoti, le statine ai bambini FH eterozigoti si possono prescrivere da grandicelli, non in tenera età. In genere l’età di inizio per i bambini FH eterozigoti è quella peri-puberale”. E nel periodo che precede la prescrizione delle statine? “Si comincia a curarli con la dieta”.

La domanda finale potrebbe essere: è preferibile uno screening di massa per tutti i bambini, oppure dei controlli mirati solo per quelli con valori di colesterolo borderline o in sovrappeso? “La comunità scientifica è dibattuta a questo riguardo – ci ricorda D’Addato – Meglio fare come l’Olanda, ovvero prima si valuta la famiglia, se da questa emergono dati significativi di FH, allora si procede con la diagnosi completa nel bambino”.

Un buono slogan per sensibilizzare i genitori italiani che sanno di avere malattie cardiovascolari in famiglia, o anche solo parenti di primo grado con affezioni che facciano ipotizzare possibili complicazioni cardiache, come l’ipertensione, dicevamo un buono slogan per sensibilizzare questa ampia fascia di persone potrebbe essere: “Se non vuoi farlo per te, fallo per lui, tuo figlio: misurati il colesterolo”.

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