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Muoversi fa bene al cuore. La cosa è nota da tempo. Tutte le linee guida di prevenzione cardiovascolare lo raccomandano. Raccomandano di fare movimento tutti i giorni, per almeno 20-30 minuti. Quello che invece non è chiaro è se sia da preferire un’attività a ritmo moderato, che tecnicamente si chiama aerobica, oppure se sia da preferire l’attività vigorosa, cioè a ritmo più accelerato, che tecnicamente viene derubricata come anaerobica. Uno studio condotto in Gran Bretagna e apparso a stampa alla fine del 2022 sulla stampa specializzata («International Journal of Behavioral Nutrition and Phisycal Activity») sembra propendere per il secondo tipo di attività, quella a ritmo sostenuto. Per venire a capo della questione i ricercatori inglesi hanno monitorato per quasi 12 anni (11,8) le performance giornaliere di oltre 360 mila soggetti (366˙566) uomini e donne d’età media pari a 56 anni. Un dispositivo elettronico ha permesso di registrare il tempo e l’intensità di ogni performance sportiva che detti soggetti hanno eseguito negli anni di follow-up. Un lasso di tempo durante il quale non sono mancati gli eventi cardiovascolari: dalle cardiopatie ischemiche alle malattie cerebrovascolari se ne sono contati oltre 30 mila (31˙894); e non sono mancate neppure le morti per tutte le cause, poco meno di 20 mila (19˙823). Orbene, chi ha incrementato fino al 30% la propria attività motoria da moderata a vigorosa ha registrato un calo del rischio cardiovascolare e di mortalità per tutte le cause che è oscillato fra il 12e il 19% in meno rispetto a chi s’è sempre mantenuto nel range dell’attività moderata. Lo stesso è accaduto in coloro che hanno raddoppiato il minutaggio settimanale delle proprie performance moderate, passando da 150 a 300 minuti la settimana. Chi invece è passato da zero attività a un’attività vigorosa di base, ha ottenuto dei benefici cardiovascolari nell’ordine del 30% in più rispetto a chi ha preferito mantenersi nullafacente.
Che cosa s’intende per attività moderata e vigorosa? Coprire un chilometro a piedi in 10 minuti potrebbe essere considerata un’attività moderata per una persona di mezz’età. Farlo in 9 minuti, diventa un’attività vigorosa per lo stesso soggetto. Si accorciano i tempi ma si aumenta l’intensità di esecuzione, portando il cuore a lavorare a ritmi accelerati. È ovvio che non si riesca a coprire lo stesso tempo di esecuzione se l’attività passa da moderata a vigorosa. Così come è ovvio che non bisogna mai partire con l’attività vigorosa senza riscaldamento. Non tanto e non solo per salvaguardare il benessere cardiovascolare, ma anche quello muscolare e tendineo. Il centometrista che ammiriamo portare a termine la gara in dieci secondi non parte mai “da freddo”. Prima dello start si è riscaldato i muscoli a lungo.
Stando allo studio inglese s’è visto che l’attività vigorosa ha garantito prestazioni cardiovascolari migliori tra i fumatori rispetto ai non-fumatori che si sono limitati all’attività moderata. La conclusione dello studio condotto oltremanica è quindi che in uno stesso lasso temporale accrescere l’attività fisica da moderata a vigorosa s’è dimostrato più salutare fino al 30% in più in chi l’ha praticata. Il che conferma quando già era emerso da un precedente studio statunitense, che dichiarava un 15% di mortalità più bassa in coloro che avevano introdotto l’attività vigorosa nella loro pratica quotidiana di esercizi fisici.
I dati dello studio inglese derivano da un’articolata mole di informazioni denominata UK Biobank study. Si tratta di un ponderoso studio di popolazione che ha arruolato oltre 500 mila persone a partire dal quinquennio 2006-2010. Tutti i partecipanti che hanno dato il proprio assenso hanno dovuto compilare un questionario informativo per i dati antropometrici e demografici. Questi ultimi includevano l’età, il sesso, l’etnia, il livello di istruzione, lo stile di vita riferito a sedentarietà e movimento (in termini tipo e di minutaggio settimanale), allo status di tabagismo, di consumo di alcolici e di abitudini alimentari. Per i dati antropometrici, oltre a peso e altezza, l’indice di massa corporea (BMI). Infine, la familiarità per malattia cardiovascolare.
A corollario di quanto descritto, si può ricordare che nell’attività aerobica a bassa intensità si assiste dapprima alla combustione degli zuccheri, in seguito a quella dei grassi. Quando l’attività aerobica a bassa intensità si aggira intorno all’ora di durata, il metabolismo prende d’assalto la riserva di zuccheri come antipasto, finiti i quali rivolge il proprio appetito tutt’altro che sazio alle riserve di grassi. In questa fase, gli zuccheri arrivano a coprire fino al 20% del fabbisogno energetico, mentre i grassi fino all’80%. Invece, nell’attività a media intensità, un vero e proprio mix fra aerobico e anaerobico, zuccheri e grassi contribuiscono in egual misura alla trasformazione energetica. Infine, nell’attività anaerobica ad alta intensità, la trasformazione dei nutrienti in energia avviene ma molto velocemente, fra i 4 e gli 8 secondi al massimo, che è il tempo in cui i muscoli riescono a sostenere lo sforzo massimo prima di dare segni inequivocabili di cedimento, costringendo il praticante a fermare l’esecuzione o a ridurne l’intensità.

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