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di Alberto Ferrari

È possibile “aggiornare” la dieta mediterranea, integrandone il modello classico sulla base della più recenti indicazioni nutrizionali, per ottimizzarne le proprietà preventive? È il tema che proviamo ad affrontare con l’aiuto del professor Andrea Poli, Presidente e Direttore Scientifico di Nutrition Foundation of Italy (NFI), esperto degli aspetti della nutrizione che, come nel caso della dieta mediterranea, aiutano a vivere meglio

Alcuni aspetti molto importanti della dieta mediterranea riguardano il consumo di pesce. Il pesce è ricco di omega-3, ma non tutti i pesci lo sono allo stesso modo. È il pesce grasso a esserne più ricco, come le alici, le sarde e lo sgombro, cioè i pesci della miglior tradizione mediterranea, che hanno anche il pregio di costare poco. Discorso diverso per i pesci magri. Dei pesci magri tutti conoscono il merluzzo atlantico e il nasello mediterraneo. Ebbene, le carni di questi due pesci molto comuni sono relativamente poveri di omega-3, pur essendo ricchissime di altri nutrienti. Ci soffermiamo a parlare di omega-3 perché questi grassi hanno un ruolo determinate nella prevenzione di alcune aritmie cardiache pericolose e giocano un ruolo di primo piano nella prevenzione delle complicanze cliniche delle malattie di tipo aterosclerotico. Ma non solo. Hanno effetti positivi contro il decadimento cognitivo, una cosa non da poco per una società sempre più longeva, in cui la perdita di capacità cerebrali tra gli anziani rappresenta una voce pesante nei bilanci di spesa sanitaria. “Una proprietà che ancora si trascura – ci racconta il professor Poli – è che alcune proteine del pesce sono molto efficaci sul controllo ponderale, avendo spiccate proprietà nell’indurre sazietà”. La sazietà è un meccanismo molto importante da attivare, giacché siamo tutti geneticamente “affamati”, per una precisa scelta evoluzionistica, attenta al risparmio energetico che ci porta ad accumulare calorie, ma viviamo ormai in un contesto di grande disponibilità di cibo e di scarso consumo energetico. Ci muoviamo per lo più molto poco, a causa di abitudini di vita e di occupazioni sedentarie.

Alcune proteine del pesce sono particolarmente efficaci nel provocare la sensazione di sazietà, “ragion per cui è bene favorire un maggior consumo di pesce”: questa è la conclusione del nostro esperto.

Il pesce d’allevamento

Eppure c’è chi è pronto a giurare che non tutti i pesci sono commestibili allo stesso modo. Chi raccomanda soltanto il cibo “buono pulito e giusto”, sostiene che molti pesci d’allevamento sarebbero tutt’altro che indicati. Anzi, addirittura nocivi. Nella recente querelle sui salmoni, apparsa su vari organi di stampa e siti Internet, sono finite sotto accusa le condizioni igieniche in cui questi pesci verrebbero cresciuti; accade nei fiordi norvegesi e negli allevamenti intensivi di Canada e Giappone.

Nelle colture ittiche di questi Paesi, non vi sarebbe un adeguato ricambio delle acque dai reflui, dicono i detrattori. Ma anche il mangime dei salmoni è messo sotto accusa. Si tratterebbero di mangimi a base di farine addizionate con alcuni prodotti inadatti alla catena alimentare della specie.

Orbene, se è vero che il salmone non è un pesce della tradizione mediterranea, il suo consumo è tutt’altro che raro. Ciò accade anche in molti Paesi che si affacciano sul nostro mare. In Italia, per esempio, lo si trova in abbondanza in tutti i supermercati, fresco e affumicato. Insomma, ci dobbiamo preoccupare del salmone di allevamento? “Questa del salmone è una polemica assolutamente ingiustificata. Ho visitato personalmente gli allevamenti di salmoni in Norvegia, e considero queste critiche del tutto fuori luogo. Ritengo, tra l’altro, che un allevamento efficiente e condotto secondo criteri rigorosi sia più sicuro (e più sostenibile) della cattura di pesci che vivono in libertà. In libertà, il salmone può per esempio cibarsi di altri pesci contaminati da mercurio o da idrocarburi clorurati”. Il riferimento è alle sostanze tossiche derivanti da processi di varia origine, tra cui la combustione di alcune materie plastiche. “Nello specifico, il salmone è un pesce carnivoro e i pesci carnivori, che si trovano ‘in cima’ alla piramide alimentare, finiscono per accumulare tutte le sostanze tossiche che le specie ittiche da loro predate assorbono dall’alimentazione e trattengono, a loro volta, nelle loro carni”.

“Invece, se si eccettuano le attività fraudolente, dalle quali per altro nessun comparto dell’agroalimentare può dirsi al riparo, l’utilizzo di mangimi prodotti ad hoc appare più sicuro, perché consente controlli preventivi accurati. Tra l’altro, queste farine sono attualmente integrate con oli e altri estratti vegetali, essenzialmente per motivi di sostenibilità della catena alimentare: un aspetto che può ulteriormente tranquillizzare sulla composizione del mangime dei salmoni.

In conclusione, il pesce è ottimo sia per il contenuto in omega-3 e sia per le proteine che inducono sazietà. La dieta mediterranea predilige il pesce azzurro, anche per il basso costo che lo contraddistingue, ma può essere utilmente integrata da pesci di altra origine come il merluzzo o il salmone”.

La frutta e la verdura

Frutta e verdura? È senz’altro un’indicazione ragionevole quella di cibarsene abbondantemente: stando alle linee guida internazionali, 5 porzioni giornaliere da 80 grammi, pari a un consumo totale di 400 grammi. “In Italia – precisa il professor Poli – le porzioni standard della frutta sono di 150 grammi, e quelle della verdura (tranne l’insalata, che è porzionata a 50 g) sono addirittura di 250 grammi. Quindi se ci riferiamo alle linee guida del nostro Paese, possiamo sottolineare che le 3 porzioni italiane sono il corrispettivo di circa 6 porzioni internazionali”.

Ma un consumo eccessivo di frutta (ricca di zuccheri) non aumenta la glicemia? “Larga parte dello zucchero della frutta è costituito da fruttosio, che ha un basso indice glicemico”. Tuttavia, dal punto di vista dell’apporto calorico, anche la frutta mostra il suo lato debole. “La frutta molto zuccherina ovviamente ha un tenore calorico non trascurabile. Da un punto di vista del controllo del peso, ‘una caloria è una caloria’ (parafrasando un detto anglosassone secondo il quale non è tanto importante da dove questa caloria provenga, se dalla frutta, dalla carne o dal pesce, quanto piuttosto se l’apporto calorico è in equilibrio con il dispendio energetico) e ogni eccesso, di qualunque origine, comporta quindi il rischio di indurre o mantenere sovrappeso.

Evidenze scientifiche recenti confermano tuttavia, al di là del contenuto calorico, l’importanza di un apporto elevato di frutta e verdura. Forse il beneficio principale di questi alimenti è legato al loro contenuto, talora molto ricco, di polifenoli”. Si tratta di molecole largamente diffuse nel regno vegetale, presenti in abbondanza nella buccia della frutta e nelle verdure colorate. “I polifenoli hanno un ruolo molto significativo come antiossidanti. Prevengono il danno ateromasico, ovvero la formazione, nei vasi arteriosi, di lesioni (le “placche”), che possono restringere o occludere il vaso arterioso stesso. Questi fenomeni sono facilitati dall’ossidazione del colesterolo trasportato LDL (il colesterolo cattivo). Più in generale, si ritiene che l’apporto dei polifenoli sia anche in grado di prevenire (o riparare) il danno al DNA e quindi di contrastare il rischio di tumori. Probabilmente uno dei motivi per cui la dieta mediterranea si associa a una diminuzione delle patologie cardiovascolari e oncologiche è dovuto al largo consumo di frutta e verdura.

Sappiamo inoltre che questi componenti minori di frutta e verdura sono utili nella selezione della flora batterica intestinale. Come la fibra alimentare, di cui frutta e verdura sono assai ricchi, che oltre a rallentare l’assorbimento di grassi e zuccheri dall’intestino, è in grado di “migliorare la qualità” delle popolazioni batteriche del nostro intestino”.

L’olio di oliva extravergine e la frutta secca

Parlando di polifenoli, arriviamo indirettamente a parlare anche di olio d’oliva. “Nella variante extravergine, l’olio d’oliva è una fonte importante di alcuni polifenoli, mentre la quota lipidica dell’olio di oliva normale, ovvero l’acido oleico, non sembra avere specifici effetti protettivi, in particolare sulla colesterolemia. In altre parole, non ci sono evidenze scientifiche che facciano credere che l’olio di oliva normale aiuti ad abbassare il colesterolo. “Da questo punto di vista la dieta mediterranea andrebbe integrata con alimenti ricchi di acido linoleico, un grasso polinsaturo della famiglia degli omega-6. L’acido linoleico si trova soprattutto in molti oli di semi, nelle noci e nelle verdure in foglia. Da un recente studio spagnolo è emerso che il consumo di olio extravergine o l’integrazione con 30 grammi giornalieri di frutta secca hanno un chiaro effetto protettivo contro le malattie cardiovascolari e metaboliche”.

Pasta, pane e cereali

L’aspetto più importante dei carboidrati, sul piano della salute, è probabilmente il loro “indice glicemico” che descrive l’andamento dei valori della glicemia dopo il consumo di uno specifico cibo. Più l’andamento della curva glicemica è “piatta”, e, in prima approssimazione, più basso è l’indice glicemico, e meglio è sul piano funzionale. La pasta, per esempio, ha un indice glicemico più basso (e quindi migliore) rispetto al pane: probabilmente per un motivo di tipo tecnologico strettamente connesso alla lavorazione della pasta rispetto a quella del pane. “La pasta integrale è preferibile a quella normale, ma non per la risposta glicemica, che è analoga. È preferibile perché nella pasta integrale si trovano componenti interessanti, come gli antiossidanti, l’acido ferulico, presenti nella parte esterna del chicco, che agiscono sull’organismo nel modo che abbiamo accennato in precedenza. E infine la presenza di un maggior apporto di fibra e di altri componenti minori fanno anch’essi preferire la pasta integrale. La riscoperta di cereali antichi come riso, farro e grano saraceno è utile per variare le fonti alimentari di carboidrati, ma i dati sui loro effetti sulla salute sono per ora piuttosto scarsi”. La varietà a tavola è per altro molto efficace, a tacer d’altro per la riscoperta del gusto e dei piaceri della convivialità.

Meno brillante è la risposta glicemica del pane, sia “standard” sia integrale. È un aspetto probabilmente legato alla lievitatura. “Una volta lievitato il pane diventa soffice e come tale facilmente attaccato dagli enzimi dello stomaco, che lo trasformano rapidamente in glucosio”.

L’alcol e il vino

Il vino, a dosi moderate, riduce il rischio cardiovascolare, senza significativi effetti sfavorevoli, ma queste capacità protettive dipendono sostanzialmente dal contenuto di alcol. “Vino birra e liquori sono sostanzialmente sovrapponibili da questo punto di vista, eccetto che per le dosi. Tre drink per l’uomo (due per la donna) è la dose di alcol che non va superata nella giornata: dove un drink è un bicchiere di vino, oppure una lattina di birra, o ancora un bicchierino di un superalcolico”.

Il vino rosso ha forse qualche qualità protettiva in più per la presenza dei polifenoli, ma gli effetti totali delle varie bevande alcoliche probabilmente dipendono solo dal rispettivo contenuto di alcol.

I formaggi e i prodotti lattiero-caseari

Un consumo appropriato di latte e formaggi è del tutto compatibile con il benessere cardiovascolare. “Questo perché recenti evidenze scientifiche hanno mostrato che l’effetto sul tasso di colesterolo nel sangue di questi alimenti è inferiore a quanto s’immaginava fino a qualche tempo fa. Inoltre, il calcio a elevata biodisponibilità contenuto in questi alimenti contribuisce al controllo dei valori pressori: e questo spiega il ridotto rischio di ictus che spesso si osserva tra i consumatori di latte, yogurt o prodotti della filiera lattiero-casearia.

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