A che punto siamo con il covid-19? Stando a una delle massime autorità scientifiche, il virologo statunitense Antony Fauci, si tratta di tener duro fino a inizio del 2021, quando verosimilmente il vaccino o forse più di uno saranno a disposizione in dosi sufficienti a eradicare la pandemia.
Ciò significa che conviene essere virtuosi con le misure di contenimento, proprio come stiamo continuando a fare in Italia. Il nostro paese è stato uno dei pochi a dare l’esempio nella lotta al covid. Si tratta di un giudizio diffuso che Fauci ha ribadito nel corso dell’intervista che Fabio Fazio gli ha fatto a fine settembre, alla prima puntata del nuovo ciclo della fortunata trasmissione che conduce in RAI da 18 anni.
Dello stesso avviso, fra gli altri, il «Financial Times» del 23 settembre. Che sia una scommessa favorevole al rilancio economico italiano, ipotizzando che il nostro buon agire migliorerà ad ampio spettro quando i soldi del Recovery fund saranno a bilancio? Forse l’ipotesi è un po’ azzardata, ma trattandosi del giornale che incarna più di ogni altro la sensibilità della City in tema di affari e finanza, la previsione non è affatto peregrina, stando al plauso tributato.
L’Italia – scrive il quotidiano londinese – ha saputo fare meglio della maggior parte dei partner europei pur essendosi trovata per prima in balia della pandemia e tra mille difficoltà. Come? Adoperandosi per migliorare le infrastrutture e gli equipaggiamenti necessari, attraverso il rigido controllo delle regole di distanziamento sociale, la ripresa graduale delle attività economiche e ricreative, e la buona pratica dei tracciamenti dei casi sospetti.
Meglio dell’Italia ha fatto solo la Cina e pochi altri. Oggi in Cina il virus è praticamente scomparso. Si registrano circa una decina di casi al giorno e pare si trattino tutti di casi d’importazione. Sono cinesi che tornano a casa, gli unici che hanno accesso ai confini della madrepatria. Per tutti gli altri paesi, le frontiere con la Cina sono off limits, eccetto che per le merci. In Cina si contano una manciata di casi al giorno contro la media dei 1600-1800 dell’Italia che pure, come abbiamo detto, rientra tra paesi con meno casi in rapporto alla popolazione. Niente a che vedere con la media degli oltre 10 mila casi quotidiani di Francia e Spagna o dei 40 mila USA.
Fatto curioso, la Cina è il paese da cui tutto è partito. E chi si scorda di quando, a fine gennaio 2020, l’OMS lancia l’allerta che i casi di polmonite bilaterale registrati da novembre 2019 nella città e nella regione di Wuhan sono il sintomo più grave di un nuovo coronavirus? Lo stesso che causa la pandemia in Italia, a distanza di poco più di un mese e che, subito dopo, dilaga in Europa, negli Stati Uniti e nel resto del mondo?
A giudizio di Giovanna Botteri, la giornalista Rai corrispondente dalla Cina, ospite di Fazio prima di Fauci, la Cina ha messo in atto uno sforzo enorme nel confinamento, ricorrendo a metodi coercitivi quando li ha reputati necessari. Ricordiamolo, metodi impensabili e inattuabili nei paesi democratici. Parallelamente, ha introdotto una dose altrettanto massiccia di test. In pochi mesi, tutti gli 11 milioni degli abitanti di Wuhan sono stati sottoposti più volte al tampone. Il che ha garantito un tracciamento capillare e tempestivo dei positivi, permettendone l’isolamento.
A chi teme sotterfugi e accusa la Cina di manipolare i dati, ricordiamo che l’operato dei medici cinesi è sotto osservazione della comunità scientifica internazionale al pari di quello dei sanitari di ogni altro paese mondiale, e se i cinesi sono riusciti o meno a bloccare la pandemia nessuno di quelli che ha voce in capitolo, nei vari comitati scientifici internazionali, si è espresso a favore del no. La Botteri ha citato un altro dato che a nostro avviso fa un po’ da cartina di tornasole del pericolo rientrato a Wuhan. Il fatto che nella città non sia più in vigore l’obbligo della mascherina. Nonostante l’obbligo della mascherina sia decaduto all’aperto, per strada sono più le persone che la indossano che quelle senza, sottolinea Giovanna Botteri. E soprattutto che la indossano come va fatto, con naso e bocca coperti. Alcuni lo potranno interpretare un eccesso di zelo in una popolazione in sudditanza psicologica a causa del regime repressivo, ma verosimilmente si tratta soltanto del sintomo che la paura del covid è stata tanta e che non è ancora finita.
Niente a che vedere con i negazionisti che, nelle capitali europee e non solo, hanno manifestato a più riprese al grido di è tutta una montatura, rivogliamo le libertà individuali che il covid ha momentaneamente soppresso. Un concetto che, quasi in concomitanza con le proteste di Londra, è sfuggito di bocca anche al premier di quel paese, seppur in ben altro contesto e con sfumature non altrettanto becere, solo piuttosto fuori luogo. Durante un bilaterale con l’Italia di fine settembre, Boris Jhonson, stizzito forse dai cronisti, ha dichiarato che i sudditi di sua Maestà sono stati meno ligi con le regole di confinamento e mascherina degli italiani perché amano la libertà e sono insofferenti a tutto ciò che ne rappresenta un limite. Del pari, con garbo e fermezza, il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella gli ha risposto che anche gli italiani amano la libertà ma allo stesso modo tengono alla salute e al rispetto delle regole che servono a garantirla.
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