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di Elisabetta Bramerio

Pe rendere più sicuri ed efficaci i farmaci cardiovascolari per “l’altra metà del cielo” bisogna prima colmare il divario di conoscenza che questi farmaci hanno sull’organismo della donna. Attualmente, alle pazienti sono somministrati i farmaci testati sugli uomini. È necessario aumentare le osservazioni cliniche, arruolando più donne negli studi. In questo modo avremo farmaci ad hoc anche per le donne, migliori per efficacia, dosaggi e sicurezza

La carenza di pazienti femmine negli studi clinici in cui vengono testati i farmaci cardiovascolari è da tempo indicata come una priorità da correggere nell’agenda della comunità scientifica. In gioco non vi è certo una questione formale di rappresentanza delle quote rosa, piuttosto la convinzione che le donne hanno bisogno di farmaci più specifici e controllati in termini di efficacia, dosaggio e sicurezza.

A ribadire il concetto s’incarica una recente meta-analisi portata a termine dal Dipartimento di Farmacologia Cardiovascolare dell’Università di Madrid (Spagna) e pubblicata a giugno di quest’anno su una rivista specializzata («European Heart Journal – Cardiovascular Pharmacoteraphy»). A detta dei ricercatori spagnoli, i farmaci in uso sono il frutto di un lavoro di decenni di ricerca condotto in maniera preponderante sulla popolazione maschile di mezz’età. Il riferimento è agli studi condotti sugli uomini in base all’assunto che, fra i 40 e i 50 anni, i maschi si ammalano più facilmente di ipertensione e ipercolesterolemia, ictus e infarto e di altri malattie sovrapponibili. Sulle donne di età equivalente grava la pregiudiziale di quanto incidano i cambiamenti ormonali che si manifestano durante il ciclo mestruale, a causa dell’influenza esercitata dai contraccettivi orali e, durante la menopausa, a causa della terapia ormonale di integrazione. L’azione dei cambiamenti ormonali sui processi di assorbimento e metabolizzazione dei farmaci fa sì che le donne vengano più facilmente scartate da questi trials. Un’altra pregiudiziale verso l’arruolamento femminile riguarda certe mamme, che vengono scartate per la paura di somministrare loro i farmaci se sono incinte e se allattano: la paura è quella di danneggiare il bambino. Non è quindi un caso se, per esempio, la presenza femminile in Cochrane – uno studio internazionale che ha revisionato i risultati di 258 trials clinici di interesse cardiovascolare – è stata soltanto del 27%. Inoltre, su 196 studi che hanno incluso sia uomini sia donne, solo il 33% ha esaminato i risultati in base al genere di appartenenza. Di questi trials, il 20% ha riportato differenze significative fra uomo e donna in termini di risultati cardiovascolari. Segno che là dove donne e uomini vengono studiati con un occhio di riguardo per le specificità di genere, le differenze nei risultati emergono eccome.

Sullo sfondo grava la convinzione che le donne si ammalano meno di malattie cardiovascolari finché beneficiano dell’azione degli ormoni sessuali, ovvero fino a prima della menopausa. In base a questa credenza succede che molti medici siano poco propensi a prescrivere i farmaci cardiovascolari alle pazienti. Eppure il paradosso è che le donne muoiono in numero maggiore di malattie cardiovascolari rispetto agli uomini. Una delle cause di questo primato femminile è che le donne vivono in media più a lungo degli uomini, per cui sono più esposte al rischio di ammalarsi di cuore. Non stiamo parlando di una sparuta minoranza di pazienti, ma della maggioranza. Basti pensare che, a paragone con le malattie oncologiche, le stime dicono che le morti per malattie cardiovascolari nelle donne sono il doppio di quelle causate da tutte le forme tumorali messe insieme.

È noto da tempo che ci sono differenze di genere nel modo in cui i farmaci – tutti i farmaci – vengono assorbiti, distribuiti, si trasformano e vengono espulsi dall’organismo. Si tratta del processo conosciuto con il nome di farmacocinetica. Così come sappiamo che le differenze di genere intervengono nell’azione del farmaco sull’organo o la zona di interessamento specifico. È il processo che prende il nome di farmacodinamica. Sappiamo anche che uomo e donna hanno differenze fisiologiche evidenti. La donna ha un indice di massa corporea più piccolo, tutti gli organi femminili sono di dimensione ridotta, da cui se ne ricava una minor distribuzione dei volumi, cioè una corporatura più minuta rispetto a quella dell’uomo. Infine, le donne hanno una differente distribuzione dei grassi corporei che possono più facilmente aumentare di volume per effetto dei farmaci. Anche il sistema cardiovascolare è marcato da differenze. Per esempio, il cuore femminile è più piccolo, il battito cardiaco più veloce, il tempo di compimento di un ciclo cardiaco (cioè il susseguirsi di sistole e diastole) è più breve e varia a seconda della presenza o assenza del ciclo mestruale. Durante il periodo mestruale, il ciclo cardiaco si allunga.

Non stupisce, allora, che la farmacocinetica e la farmacodinamica uomo-donna si differenzino per l’azione dei medicinali. Per esempio, la cardioaspirina ha un effetto protettivo maggiore contro l’ictus nelle donne, mentre agisce più efficacemente contro l’infarto negli uomini. Inoltre, la cardioaspirina è più adatta a combattere l’aggregazione delle piastrine negli uomini, mentre le donne sono, di regola, più resistenti al farmaco. Ciò nonostante, fino a prova contraria, nessuna raccomandazione di differente dosaggio in base al genere uomo-donna è segnalata nel foglio delle istruzioni di questo e di altri farmaci, neppure per quelli in cui la farmacocinetica varia sensibilmente (oltre il 40%).

Veniamo invece alle statine, ovvero al farmaco più utilizzato in prevenzione sia primaria sia secondaria per fronteggiare i problemi di dislipidemia e arteriosclerosi. Gli effetti positivi che le statine hanno nella riduzione degli eventi coronarici, nella prevenzione dell’ictus e, in generale, contro tutte le cause di mortalità cardiovascolare, sono una certezza scientifica, da tempo. Le statine sono raccomandate in prevenzione primaria per i pazienti sottoposti a rischio d’infarto ≥10%, come stabilito nelle tabelle del rischio cardiovascolare assoluto. Le statine sono raccomandate anche per i pazienti asintomatici ma con storia familiare di malattia cardiaca e, infine, per i pazienti dislipidemici il cui colesterolo cattivo (LDL) supera i livelli di guardia. Nuove evidenze confermano che le statine hanno un effetto benefico identico in entrambi i sessi a parità di dosaggio ma evidenziano differenze negli effetti avversi. Sono le donne a essere più penalizzate dalle controindicazioni, ma ciò accade solo in età avanzata ed è riferito a due disturbi specifici: i dolori muscolari e una maggiore predisposizione al diabete. Inoltre, l’indice di massa corporea minore, il metabolismo più lento e il flusso plasmatico ridotto nei muscoli, che sono più piccoli nelle donne rispetto agli uomini, favoriscono la comparsa della mialgia (infiammazione dei tessuti) farmaco-indotta. Discorso analogo in prevenzione secondaria, in cui le statine hanno dimostrato di essere un farmaco efficace sia nell’uomo sia nella donna per la riduzione di tuti gli eventi coronarici, dell’ictus, così come di tutte le cause di mortalità cardiovascolare.

Va ricordato che la dislipidemia, contro la quale le statine sono il farmaco d’elezione, è una malattia del metabolismo più frequente nelle donne dopo la menopausa. È dopo questo momento di profonda trasformazione ormonale che la donna si espone a maggior rischio, a causa dei livelli colesterolo LDL e dei trigliceridi che aumentano, e di quelli del colesterolo HDL (buono) che diminuiscono. Al contrario, prima della menopausa, la prevalenza dei fattori di rischio cardiovascolare connessi ai valori di colesterolo è inferiore nelle donne rispetto agli uomini.

Seguendo il filo delle conclusioni dello studio citato, molto lavoro resta da fare per colmare il divario di conoscenza sugli effetti che le statine e altri farmaci specifici hanno sulla donna. Non a caso, uno dei punti fissi dei ricercatori spagnoli è di migliorare le differenze che il genere femminile ha sui processi di farmacocinetica e farmacodinamica, ricorrendo a rilevamenti clinici su misura. A questo proposito, i ricercatori suggeriscono che il numero delle donne reclutate nei trials venga aumentato e visionato in tutte le fasi di osservazione clinica. Inoltre, che gli studi includano un adeguato numero di donne o, addirittura, solo donne, quando le premesse e gli obiettivi scientifici lo giustifichino. Le differenze di genere che incidono sul dosaggio, sull’efficacia e sulla sicurezza dei farmaci cardiovascolari sono il primo passo per rendere più sicuri ed efficaci i trattamenti personalizzati.

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