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Secondo uno studio osservazionale pubblicato online sulla rivista «BMJ Psychiatry», la quantità di zuccheri che assumiamo è direttamente proporzionale al rischio di depressione. Nello studio si parla di zuccheri al plurale. Questo perché i dolcificanti sono più di uno. Le stime parlano di sei sottotipi fra saccarosio e fruttosio. Il saccarosio è il più comune zucchero da tavola. Il fruttosio il più utilizzato nell’industria alimentare. Per il suo largo impiego, il fruttosio viene definito una sostanza ubiquitaria. Ricavato dal mais, è un ingrediente irrinunciabile per migliorare il sapore di molti prodotti. Lo si trova nelle bevande analcoliche, nei prodotti da forno confezionati, nei cereali per la colazione, in molti condimenti per carni ed insalate, perfino negli hamburger, negli hot dog e nelle patatine fritte. È presente anche nei cibi in scatola come la frutta sciroppata, nei dessert confezionati e negli yogurt. Nei cibi salati il fruttosio serve a migliorare il gusto, in quelli dolci diventa il dolcificante principale. Dal che si capisce che il consumo di fruttosio va ben oltre le intenzioni dell’ignaro consumatore.

Quando si pasteggia con hamburger, patatine e Coca-cola si può non sapere che si sta facendo il pieno anche di zuccheri. Se si è convinti che si tratti solo di grassi saturi, magari si è tentati di ordinare anche un dolce come dessert. In questo modo l’apporto di zuccheri tende a raddoppiare all’interno di un singolo pasto.

Lo studio ha incluso 18.439 adulti con almeno 20 anni d’età, provenienti dalla banca dati statunitense NHANES (National Health and Nutrition Examination Survey) e osservati nel periodo 2011-2018.

I sintomi depressivi sono stati valutati utilizzando la versione a nove voci del Patient Health Questionnaire (PHQ-9). Dopo aver annullato, in base a dei coefficienti valutativi, le covarianti di età, sesso, razza/etnia, rapporto povertà-reddito, istruzione, stato civile, ipertensione, diabete mellito, malattie cardiovascolari, consumo di alcol, abitudine al fumo, attività fisica e apporto energetico alimentare che potevano generare confusione, è emerso che per ogni aumento giornaliero pari a 100 grammi di zuccheri è corrisposto un rischio di depressione maggiorato del 28%. Pertanto la conclusione è stata che ogni consumo aggiuntivo di zucchero fa aumentare il rischio associato di depressione, quanto meno nei quasi 20 mila americani che hanno accettato di rispondere a domande sulle loro abitudini alimentari e farsi valutare in base alle performance di salute mentale. Oltre e beninteso ad accrescere il rischio di patologie afferenti alla sindrome metabolica: diabete alimentare, ipertensione, obesità ecc.

In articolo di sintesi sullo studio di cui sopra, apparso sul portale di MedScape, abbiamo trovato istruttivi i commenti dei lettori. Si tratta per lo più di medici o comunque persone con forti interessi speculativi sul tema della salute. Per la Dott.ssa Marsha Epstein, i risultati dello studio non la stupiscono affatto. Lei ha raccontato di avere un’amica che ha definito un soggetto compulsivo/dipendente da zuccheri e carboidrati. Ebbene, finché quest’amica cadeva nella rete della dipendenza, aveva un umore molto fragile. Veniva colta da cambi di stato improvvisi, accompagnati da attacchi di rabbia. Quasi contemporaneamente, diventava ipersensibile e depressa. Non si era mai resa conto della correlazione fra le sue reazioni comportamentali e la dipendenza da zuccheri finché non ha aderito al programma dietetico che l’ha aiutata a smettere del tutto di mangiare cibi ad alto tasso di zuccheri e farine raffinate.

Sebbene i meccanismi alla base dell’associazione tra zuccheri e depressione non siano del tutto chiari, i ricercatori hanno ipotizzano la possibilità che la dieta ricca di zuccheri sia in grado di agire selettivamente sul microbiota intestinale fino a distruggere la flora batterica che ne determina l’omeostasi, facendo scattare la depressione. Per Andrew Fort nei commenti, la chiamata in correità del microbiota intestinale non lo stupisce affatto. Nel senso che la depressione ha bisogno come l’aria di un apporto maggiorato di zuccheri, ma anche che più zuccheri in corpo si traducono in maggior dopamine e serotonina in circolo nel cervello, i due ormoni in grado di dare ristoro e tranquillità al corpo e alla mente dell’uomo. Come cita correttamente l’articolo, il consumo di zuccheri ha effetti sul microbiota, il quale a sua volta è correlato alla depressione e al bisogno di tacitarla, grazie alla dopamina e alla serotonina. Insomma, zuccheri e depressione sono un po’ come il gatto quando si morde la coda.

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