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di Nicoletta Dellerma

La sindrome coronarica acuta, che spesso si manifesta con dolore toracico tipico, è una conseguenza della patologia delle arterie coronarie. Nuove metodiche diagnostiche permettono di fare una coronarografia con la Tac che potrebbe essere risolutiva nella diagnosi e nel predire quando una sindrome coronarica acuta potrebbe evolvere in un infarto

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In Italia, le malattie cardiovascolari sono causa del 45-50% della mortalità globale e la cardiopatia ischemica da sola è responsabile del 35% di questi decessi. Si stima che la mortalità annuale per le forme tipiche di cardiopatia ischemica (angina, infarto e morte improvvisa) si aggiri fra i 70 e gli 80 mila casi. In presenza di arresto cardiaco, il cuore non svolge più la funzione di pompare il sangue ai vari tessuti dell’organismo. Accade così che, in pochi minuti, il rischio per il paziente diventi mortale. Per evitarlo, questo rischio, è necessario iniziare subito le manovre di rianimazione cardiopolmonare (massaggio cardiaco e respirazione bocca a bocca o con pallone Ambu) e attivare celermente l’intervento di emergenza (118) che dispone del defibrillatore in grado di fare ripartire il cuore.

“Con il termine cardiopatia ischemica – ci spiega il professor Deodato Assanelli, responsabile del Centro di Medicina dello Sport degli Spedali Civili di Brescia – si è soliti indicare un insieme di sintomi conseguenti a un insufficiente apporto di ossigeno rispetto alle richieste metaboliche, ovvero quando si ha una discrepanza fra fabbisogno ed effettivo apporto di ossigeno e/o substrati nutritivi attraverso il circolo miocardico”.

L’aterosclerosi coronarica è di gran lunga la causa più frequente di cardiopatia ischemica. Numerosi studi epidemiologici, condotti negli ultimi venticinque anni, hanno consentito di evidenziare alcune variabili individuali che si associano a un maggior rischio di malattia e queste variabili sono state definite “fattori di rischio coronario”.

Le manifestazioni cliniche della cardiopatia ischemica sono fondamentalmente due: “L’angina pectoris, legata a uno squilibrio transitorio tra domanda e apporto metabolico al miocardio. L’ischemia, che è una manifestazione clinica reversibile e che non provoca danno anatomico permanente. Nel caso non infrequente in cui l’ischemia miocardica non si associa a sintomi, si parla di ischemia silente”.

L’infarto miocardico è la conseguenza di un’ischemia miocardica protratta, che porta a danno cellulare irreversibile o necrosi miocardica. Queste manifestazioni possono essere causate da diversi fattori, ma il più frequente è la rottura della placca arteriosclerotica.

Ma come si forma la placca?  Sappiamo che le arterie normali hanno una superficie interna liscia e flessibile che permette lo scorrimento di un flusso di sangue ricco di ossigeno. “È il colesterolo che si deposita nelle pareti delle arterie a formare la placca – precisa il professor Assanelli – la quale provoca un restringimento del lume e una conseguente diminuzione del flusso di sangue”. La placca di solito si accumula nelle arterie nel corso di diversi anni: “La coronaropatia è una malattia graduale. Il processo graduale di accumulo della placca sulla superficie interna delle arterie si chiama aterosclerosi”. La placca può rompersi e le piastrine del sangue possono formare coaguli. Il coagulo a sua volta può ridurre o bloccare il flusso di sangue. Quando l’arteria è completamente e irreversibilmente chiusa dal coagulo “accade che non arrivi più sangue al cuore e che si sviluppi l’infarto miocardico acuto accompagnato da un dolore toracico persistente. Se invece l’arteria è occlusa solo parzialmente dal coagulo, si sviluppa un’angina instabile, caratterizzata da un dolore toracico a riposo o per piccoli sforzi, un dolore che può essere anche intermittente”.

È noto che il processo aterosclerotico, una volta innescato, tende generalmente a progredire velocemente quanto più numerosi sono i fattori di rischio coronarico concomitanti. “Tale progressione, anche quando la coronaropatia diventa significativa (a fronte di restringimento del lume coronarico di oltre il 70%), non necessariamente si associa a sintomi, e questo fatto aumenta il rischio di eventi coronarici acuti”.

La Tac coronarica è un esame che permette una analisi dettagliata delle arterie del paziente, perché consente di ottenere immagini di alta qualità. Sono riproduzioni fotografiche tridimensionali e analizzabili in dettaglio stando alla console del computer, ottenute per mezzo di una metodologia praticamente non invasiva, se paragonata a quella utilizzata per la coronarografia tradizionale.

Il maggiore vantaggio della Tac coronarica risiede nella capacità di valutare la parete dell’arteria e non soltanto il lume interno (come fa invece la coronarografia): in questo modo si ottengono non solo informazioni sulla presenza della malattia arteriosclerotica, ma anche informazioni sul tipo di placca. Si riescono a distinguere placche attive, che possono essere sede di eventi acuti (per esempio, un’emorragia interna alla placca) e placche più datate, nelle quali la malattia arteriosclerotica non è avanzata, con completa calcificazione: in questo caso il quadro è stabilizzato e si valuta soltanto l’effetto che la placca determina sul lume del vaso.

La Tac coronarica può essere sostitutiva della coronarografia tradizionale nella fase diagnostica iniziale, essendo un esame non invasivo. Essa permette di ottenere dati di tipo morfologico, con informazioni che consentono di pianificare i passi successivi; può essere inoltre utilizzata come tecnica di diagnosi precoce in pazienti a rischio medio o elevato di malattie cardiovascolari.

I fattori di rischio coronarico sono condizioni che predispongono allo sviluppo dell’aterosclerosi. A livello coronario, essi favoriscono lo stress ossidativo che causa la lesione endoteliale. Tali fattori si classificano in modificabili e non modificabili. I primi possono essere corretti cambiando lo stile di vita e, se necessario, sottoponendosi a trattamento farmacologico. Fattori modificabili sono la dislipidemia, l’iperglicemia, il fumo, l’ipertensione arteriosa, l’eccesso ponderale, la sedentarietà.

Venendo ai fattori “non modificabili”, in quanto non correggibili, troviamo la familiarità, nel senso che la presenza di parenti di primo grado affetti da cardiopatia può diventare un fattore predisponente alla malattia. Inoltre, l’ereditarietà cromosomica e cellulare può essere complicata da fattori esterni. Un esempio per tutti. I nati da madri fumatrici, già verso i cinque anni mostrano un ispessimento delle arterie della carotide e nel complesso una riduzione dell’elasticità arteriosa. Secondo fattore, l’appartenenza di genere. Gli uomini hanno una maggiore incidenza di cardiopatia ischemica, ma solo rispetto alle donne prima della menopausa. È noto che gli estrogeni femminili esercitano un’azione protettiva nei confronti di questa patologia, tant’è che le donne in post menopausa, quando smettono di produrre estrogeni, sviluppano lo stesso rischio cardiovascolare degli uomini. Infine, l’età. Dopo i 65 anni, è giocoforza che le condizioni dei pazienti cardiovascolari si facciamo più critiche.

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