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di Anna Pellizzone

Uno studio sul diabete gestazionale proverà a capire i determinanti intrauterini per le malattie cardiovascolari del bambino. Il diabete gestazionale è una forma di intolleranza al glucosio che le donne possono sviluppare durante la gravidanza. Secondo quanto riportato dal Ministero della Salute, si tratta della principale alterazione metabolica in gravidanza

Anche se ci ospita per “soli” 9 mesi, l’ambiente intrauterino può influire in modo determinante sul nostro rischio di sviluppare malattie cardiovascolari,      _anche in età adulta. Ma che cosa succede esattamente nella pancia di una mamma? E, per quanto riguarda l’apparato cardiocircolatorio, quali meccanismi sono alla base della relazione tra il periodo della gravidanza e la sindrome metabolica? A partire da uno studio sul diabete gestazionale, un progetto di ricerca targato USA proverà a capire i determinanti intrauterini per le malattie cardiovascolari.

Lo sentiamo raccontare sempre più spesso: il diabete si è “guadagnato” di prepotenza uno dei primi posti nella classifica delle piaghe sanitarie del nostro tempo. Sia per il suo continuo aumento, sia per i suoi impatti sulla salute, tra cui, non ultimo, quello sul sistema cardiovascolare. Quello che forse è meno risaputo è che, oltre a quelli di tipo 1 e 2, esiste anche il diabete gestazionale (GDM), una forma di intolleranza al glucosio che le donne possono sviluppare durante la gravidanza. Secondo quanto riportato dal Ministero della Salute, si tratta della “principale alterazione metabolica in gravidanza”, che in Italia ha una prevalenza media del 5,45%, mentre negli Stati Uniti, secondo un recente studio condotto dai Centri di osservazione delle malattie americani, potrebbe raggiungere il 9,2%. I rischi associati a questa forma di diabete riguardano sia il nascituro, sia la madre, nel breve e nel lungo periodo. Per esempio, il 50% delle donne obese che hanno sviluppato GDM diventa diabetico dopo 10 anni.

In questo articolo ci concentreremo sui rischi a lungo termine per il bambino, perché capirne i meccanismi potrebbe aggiungere un tassello importante nella comprensione dei meccanismi che connettono le disfunzioni metaboliche e le malattie cardiovascolari. L’occasione per parlare di questo argomento arriva dagli Stati Uniti e in particolare dal Medical College dell’Augusta University, in Georgia, dove Jennifer Thompson, Post Doc, di origine canadese, ha vinto una borsa di studio da un milione di dollari.

Il progetto di ricerca che sarà finanziato attraverso questo premio prevede uno studio di cinque anni sul legame tra il diabete gestazionale e il rischio per i bambini di sviluppare malattie cardiovascolari nel corso della loro vita. Un’indagine potenzialmente di grande impatto, soprattutto se si considera che il GDM è in significativo aumento, così come sono in considerevole crescita i bambini che sviluppano il diabete di tipo 2, l’obesità e l’ipertensione. Quest’ultimo – come ci spiega la ricercatrice Jennifer Thompson – «è uno scenario che tipicamente è attribuito allo stile di vita del bambino dopo la nascita e/o alla genetica». Certamente adottare uno stile di vita sano è importantissimo, ma se anche l’ambiente intrauterino giocasse un ruolo nel predisporre a certe malattie? In questo caso, gli interventi di prevenzione durante la gestazione potrebbero diventare fondamentali, oltre che per garantire una gravidanza sana a mamma e bambino, anche per tutta la vita del nascituro.

Per capire l’importanza pratica di questo, come di altri studi sul GDM, facciamo qualche numero. I dati raccolti dal Dipartimento di Salute Pubblica della Georgia ci dicono che in questo Stato la prevalenza del diabete gestazionale è passata dal 7,5% del 2000 al 10% del 2010. Un dato significativo ma che non stupisce, dal momento che a sviluppare questa forma di intolleranza al glucosio sono soprattutto le donne con disturbi metabolici, anch’esse in aumento. Come ci spiega Jennifer Thompson «il GDM tipicamente si sviluppa nel secondo trimestre di gravidanza e, pur avendo anche una componente genetica, i fattori di rischio legati allo stile vita giocano un ruolo importante. L’obesità materna o un alto BMI (Body Mass Index) materno sono fattori importanti per lo sviluppo del diabete gestazionale». Il dato è preoccupante, a maggior ragione se si considera che in caso di GDM si registra l’aumento di una serie di rischi tra cui lo sviluppo di ipertensione arteriosa e dislipidemia per le madri e l’insorgere di complicazioni nel periodo perinatale come il parto precoce. «L’effetto più comune del diabete gestazionale è la macrosomia, che consiste nel parto di bambini di peso superiore ai 4 kg», la cui causa si suppone possa essere l’eccesso di esposizione al glucosio e ai lipidi materni.

«Tuttavia – continua la Thompson – sappiamo ancora poco sugli impatti a lungo termine per questi bambini. Una manciata di studi suggerisce che i bambini nati da madri con GDM hanno un maggiore rischio di sviluppare malattie metaboliche come ipertensione, intolleranza al glucosio e obesità, nel corso della loro vita», ma come questo avvenga non è ancora chiaro. «Questa vulnerabilità alla sindrome metabolica è in qualche modo programmata in utero. E io credo che – come per altri effetti della GDM – l’eccesso di esposizione a glucosio e lipidi sia in qualche modo responsabile di questa “programmazione”. Spero che la mia ricerca possa aiutare a capire quali siano i meccanismi che stanno dietro allo sviluppo della sindrome metabolica nella prole e in particolare sono interessata all’epigenetica», una disciplina che, tra le altre cose, si occupa di studiare le variazioni dell’espressione genica legate a fattori come quelli ambientali (vedi la scheda).

«Alcuni studi in animali adulti dimostrano che l’esposizione transitoria a condizioni iperglicemiche induce alcuni cambiamenti regolati dai geni coinvolti nella risposta infiammatoria, cambiamenti che persistono anche dopo il ritorno a condizioni glicemiche normali. Quindi, l’esposizione transitoria della vascolarizzazione fetale o di altri organi fetali a un eccesso di glucosio potrebbe provocare cambiamenti epigenetici persistenti che predispongono ad alcune malattie nella vita post-natale».

La scienziata ci racconta che a ispirare la sua ricerca sono stati i pochi studi che mostrano una correlazione tra il diabete gestazionale e la disfunzione metabolica nella prole. Studi che l’hanno spinta a testare queste osservazioni usando un modello animale. E ci spiega: «Ho caratterizzato un nuovo modello di GDM. In questo modello la femmina del topo è geneticamente predisposta al GDM e sviluppa spontaneamente una moderata intolleranza al glucosio durante la gravidanza, che porta a un aumento dell’adiposità nella prole già alle prime 3 settimane di vita, oltre che a un profilo lipidico proaterogeno (cioè un profilo lipidico che favorisce la formazione della placca ateromatosa) del plasma». Il modello descritto rende questa ricerca particolarmente importante: prima di tutto i modelli animali che studiano il GDM sono molto pochi, ma punto di forza è anche il fatto che l’intolleranza al glucosio si sviluppa spontaneamente durante la gravidanza dei topi.

Tuttavia, non di sola ricerca pura si tratta. Le implicazioni cliniche dei risultati di questo studio potrebbero, infatti, essere piuttosto significative. Nella nostra chiacchierata, Jennifer Thompson lo sottolinea esplicitamente: «Mi piacerebbe osservare anche potenziali interventi. L’accertamento di rischi, come per esempio nello studio di Framingham sull̓incidenza delle malattie vascolari, al momento non tengono conto delle condizioni sfavorevoli durante la gravidanza, anche se sappiamo che tali condizioni sono determinanti significative delle malattie cardiovascolari. Per questo, integrare negli approcci clinici per l’accertamento del rischio i fattori legati alla gravidanza, come il GDM, può migliorare la nostra capacità di prevedere le malattie cardiovascolari. Inoltre, questa ricerca può aiutare nella stesura delle linee guida di trattamento del GDM».

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