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di Angela Nanni

Assumere acido acetilsalicilico, per chi corre il rischio di recidiva da ictus, è fondamentale. Lo conferma una metanalisi che ha coinvolto circa 16 mila pazienti sottoposti a terapia con acido acetilsalicilico (ASA) dopo un attacco ischemico transitorio cerebrale. A quanto pare, l’assunzione della terapia per 2 settimane a partire dall’evento può determinare una riduzione del rischio di recidiva fino al 93%, percentuale che si riduce al 74% alla 12ma settimana

L’attacco ischemico transitorio prelude spesso all’ictus vero e proprio ma assumere aspirina può ridurre il rischio di recidive. Uno studio inglese ha evidenziato recentemente come l’importanza di assumere acido acetilsalicilico (meglio noto con il nome commerciale di “cardioaspirin”) dopo un attacco ischemico transitorio (TIA) è stata, forse, finora sottovalutata. Nella pratica clinica comune, infatti, si consiglia la terapia con acido acetilsalicilico come prevenzione secondaria dopo un TIA o un ictus ischemico poiché i dati scientifici documentano la riduzione, nel lungo termine, del rischio di recidiva fino al 13%.

Nello studio menzionato, pubblicato sulla rivista «Lancet» e finanziato dal National Institute of Health Research (NIHR) Biomedical Research Centre, è stata valutata l’efficacia dell’acido acetilsalicilico sul rischio di recidiva e sulla gravità dell’ictus a 6, 12 e oltre le 12 settimane dall’evento. Si tratta di una metanalisi comprendente 12 studi. Circa 16 mila i pazienti coinvolti, sottoposti a terapia con acido acetilsalicilico (ASA) dopo un attacco ischemico transitorio cerebrale. Le conclusioni sono state che l’assunzione della terapia per 2 settimane a partire dall’evento può determinare una riduzione del rischio di recidiva fino al 93%, percentuale che si riduce al 74% alla 12ma settimana. L’aggiunta di dipiridamolo (ovvero l’utilizzo del farmaco conosciuto con il nome commerciale di “aggrenox”) tuttavia, dopo la 12ma settimana ha dimostrato di essere efficace nella riduzione del rischio di recidiva e della gravità dell’ictus ischemico. L’associazione precostituita tra aspirina (50 mg/die) e dipiridamolo a rilascio modificato (400 mg/die) si è dimostrata più efficace della sola. Il dipiridamolo, inoltre, è spesso scarsamente tollerato.

È bene ricordare che i TIA si manifestano in circa un terzo dei pazienti che svilupperanno successivamente un ictus ischemico, rappresentando quindi un marker di rischio; naturalmente la probabilità di sviluppare un ictus dipende non solo dalle caratteristiche del TIA, ma anche dalla presenza di altri fattori di rischio, quali l’età avanzata, la presenza di ipertensione arteriosa, fibrillazione atriale, scompenso cardiaco, diabete mellito, aterosclerosi avanzata e abitudine al fumo. Il sistema ABCD2 (vedi box) permette di quantificare il rischio totale assegnando un punteggio a ogni fattore di rischio, in modo da identificare i pazienti a basso, medio e alto rischio.

La prevenzione indica l’insieme di tutte le azioni che possono aiutare a impedire o comunque a ridurre la probabilità che si verifichi un certo evento, indipendentemente dalla gravità e dagli esiti che può lasciare. Si parla di prevenzione primaria quando l’evento non si è mai verificato, di prevenzione secondaria quanto ce n’è già stato almeno uno in passato e se ne vogliono evitare altri.

«Fondamentale per la prevenzione dell’ictus è comprenderne la genesi – spiega la dott.ssa Francesca Giacomazzi, Internista Cardiovascolare, Specialista in Medicina Interna, Dirigente Medico di II livello in Cardiologia Riabilitativa presso l’IRCCS Policlinico San Donato (Milano) – Un ictus può infatti essere legato ad una placca ateromasica già presente a livello delle arterie carotidee che diventa instabile, andando così a occludere il vaso che porta il sangue al cervello e quindi causando l’ischemia cerebrale.

In questo caso la terapia con acido acetilsalicilico e con farmaci che stabilizzano la placca aterosclerotica – come le statine – sono di primaria importanza. Altre volte invece lo stroke ha un’origine cardioembolica: per esempio nei pazienti con fibrillazione atriale, che tendono a sviluppare trombi (coaguli) all’interno dell’auricola atriale sinistra; nei pazienti affetti da scompenso cardiaco avanzato con dilatazione delle cavità cardiache, così come nei soggetti portatori di alcuni difetti cardiaci congeniti possono formarsi dei trombi in grado di andare in circolo e occludere le arterie cerebrali. La prevenzione dell’ictus in questo gruppo di pazienti si avvale di un’altra tipologia di farmaci: gli anticoagulanti.

Per i pazienti con fibrillazione atriale – precisa ancora a dott.ssa Giacomazzi – esiste un calcolatore del rischio di stroke, detto CHA2DS2-VASC; si tratta di una tabella in cui vanno inseriti i fattori di rischio per ottenere un punteggio a cui corrisponde un certo rischio di andare incontro a ictus in assenza di terapia. Della tabella esiste anche una versione online e, ovviamente, una app per smartphone».

Per quanto riguarda la prevenzione primaria dell’ictus è fondamentale migliorare il proprio stile di vita partendo dalla dieta: gli studi a disposizione hanno evidenziato come le abitudini alimentari sbagliate possono influenzare alcuni dei meccanismi che portano allo sviluppo di ictus, arrivando persino a incidere sul decorso, sul modo di manifestarsi. L’ideale sarebbe aderire al modello alimentare proposto dalla Dieta Mediterranea privilegiando quindi il consumo di pane, pasta (anche integrale), riso, frutta, verdura, legumi, cereali, consumando regolarmente pesce e carne, preferendo però i tagli magri e la carne bianca piuttosto che quella rossa e scegliendo come condimento prevalente l’olio extra vergine di oliva. La prevenzione primaria dell’ictus passa anche dal non abusare di alcol: per gli uomini bisognerebbe consumare non più di due bicchieri di vino ogni giorno e non più di uno per le donne. Gli studi a disposizione hanno evidenziato come esista un significativo aumento del rischio di sviluppare ictus ischemico con un consumo quotidiano di più di 5 bicchieri di vino ogni giorno e come anche per lo sviluppo di ictus emorragico esista un aumento lineare del rischio nei consumatori abituali di quantità superiori ai 5 bicchieri ogni giorno. Il rischio ictus è aumentato anche dal vizio del fumo: la percentuale di rischio scende dopo 2-4 anni dalla sospensione del vizio, per diventare sovrapponibile a quella dei non fumatori dopo circa dieci anni dalla cessazione del vizio, mentre cresce in maniera lineare all’aumentare del numero di sigarette fumate ogni giorno. Il fumo passivo, invece, può aumentare il rischio infarto, ma sembra non incidere sul rischio ictus. Altro fattore di prevenzione primaria è rappresentato dall’attività fisica: maggiore è la frequenza dell’attività fisica svolta, maggiore è l’effetto protettivo esercitato. Muoversi regolarmente, infatti, aiuta a tenere sotto controllo il peso corporeo e giova alla salute cardiovascolare: ecco perché si consiglia lo svolgimento di un’attività fisica di moderata intensità come camminare tutti i giorni a passo svelto per almeno mezz’ora.

«Indipendentemente dalla causa – conclude la dott.ssa Giacomazzi – per la prevenzione secondaria oltre alla terapia farmacologica risulta molto importante il controllo dei fattori di rischio, in primis attraverso modificazioni dello stile di vita, per esempio smettendo di fumare, controllando i livelli di colesterolo e la glicemia nei pazienti diabetici; quindi sottoponendosi a visite periodiche, esami ematochimici e strumentali, quali l’EcoColorDoppler dei Tronchi Sovraortici e l’Ecocardiogramma».

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