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di Alberto Ferrari
Il numero degli afroamericani che si ammalano e che muoiono a causa di un ictus è triplo rispetto a quello dei bianchi.Che cosa si nasconde dietro il dato che indica una maggiore debolezza cerebrovascolare della popolazione di colore degli Stati Uniti? Un nuovo studio fa il punto della situazione dopo aver terminato una ricerca che ha coinvolto oltre 30 mila pazienti

Che i neri d’America, più specificamente gli afro-americani, si ammalino e muoiano di più dei bianchi a causa di ictus, è un dato che si conosce da oltre sessant’anni. Ce lo ricorda il recente studio “REGARDS” che è tornato sul tema, analizzando l’evoluzione dell’ictus in circa 30 mila pazienti USA di entrambe le etnie e di entrambi i generi. Lo studio, il cui acronimo sta per Reasons for Geographic and Racial Differences in Stroke (“Ragioni delle differenze razziali e geografiche nella diffusione dell’ictus”), conferma che il tasso di mortalità per questa malattia è tre volte maggiore nei neri. Ciò accade nell’età critica dello “stroke”, fra i 45 e i 54 anni. Con l’avanzare dell’età, invece, le differenze si assottigliano, per scomparire dopo gli 85 anni.

Volendo fare chiarezza su questa divergenza, i ricercatori dall’Università dell’Alabama di Birmingham (USA) hanno valutato l’incidenza della malattia e la disparità di esito, a distanza di un mese dall’evento, nelle due popolazioni, per concludere che il tasso di mortalità differente è direttamente proporzionale alla frequenza con cui la malattia si manifesta, e non la conseguenza di un trattamento terapeutico insufficiente o meno efficace nei neri rispetto ai bianchi.

Insomma, se i neri muoiono tre volte di più dei bianchi a causa di ictus, è perché si ammalano tre volte tanto.

La malattia si caratterizza come una lesione cerebro-vascolare provocata dall’interruzione del flusso di sangue al cervello per colpa di un’ostruzione (ictus ischemico) o, più raramente, per la rottura di un’arteria con successivo sanguinamento (ictus emorragico). Sono stati identificati diversi fattori di rischio di questa malattia che può colpire improvvisamente, senza preavviso e senza dolore.

La causa principale dell’ictus ischemico è l’aterosclerosi e i fattori di rischio sono quelli correlati con quest’ultima. Punto primo l’ipertensione arteriosa, che costituisce il fattore di rischio più importante sia per l’ictus ischemico sia per l’ic- tus emorragico. A seguire l’ipercolesterolemia, che aggrava le lesioni ateromasiche a livello delle grosse arterie. Inoltre il diabete mellito, che rappresenta un importante fattore di rischio sia per l’ictus da aterosclerosi sia per l’ictus lacunare (una variante di ictus caratterizzata dagli effetti cumulativi di lacune cerebrali multiple), costituendo un fattore di progressione per le lesioni vascolari. E ancora, il fumo e l’obesità, che sono fattori di rischio comuni a tutte le malattie vascolari. Infine, la presenza di una cardiopatia ischemica, che aumenta il rischio di ictus in quanto testimonia la presenza di lesioni ateromasiche in più distretti arteriosi.

Per quanto riguarda l’ictus di origine embolica, la fibrillazione atriale e le cardiopatie rappresentano il principale fattore di rischio. Diversi, invece, sono i fattori di rischio per gli ictus emorragici legati a malformazioni vascolari, il principale dei quali è la predisposizione genetico-familiare.

A parere degli autori dello studio citato ‹‹la chiave per ridurre la disparità nella mortalità del post stroke fra bianchi e neri è un rafforzamento della prevenzione, ovvero esercitare un maggiore controllo sui fattori di rischio per ridurre la diffusione della malattia, anziché aumentare gli sforzi sulla cura del paziente a evento ormai capitato››.

I dati raccolti sono concordi nell’indicare che, sebbene il problema dell’ipertensione sia molto sentito nella popolazione di colore, addirittura più che fra i bianchi, al lato pratico la probabilità di un controllo adeguato, connesso a uno stile di vita più salutare, è ancora troppo bassa. In altre parole, ancora troppi pazienti di colore non rispondono adeguatamente alla terapia preventiva. Ragion per cui, se 10 mmHg di pressione sistolica (“la massima”) sono associabili a un incremento dell’8% di rischio di ictus nei bianchi, tale percentuale si assesta intorno al 24% negli afro-americani.

Di contro, ancora troppe persone di colore sembrano sottostimare il pericolo causato dall’ipercolesterolemia e dall’ipertrigliceridemia. Sempre secondo lo studio citato, il dato certo è che la presenza oltre la norma di lipidi (colesterolo e trigliceridi) nel sangue non viene adeguatamente trattata nei neri. Lo stesso dicasi per diabete mellito e fibrillazione atriale, patologie per le quali il controllo è ancora scarso nella popolazione di colore. «Sono necessari interventi finalizzati a indirizzare la prevenzione al controllo dei fattori di rischio» avvertono gli autori dello studio. In pratica, non solo interventi mirati a un controllo costante di ipertensione, dislipidemia e fibrillazione atriale, accompagnati da una maggiore aderenza alle rispettive terapie, ma anche interventi per colmare lo svantaggio nella prevalenza e nella severità dell’inattività fisica, dei disordini alimentari e della connessa obesità più diffusa.

Infine, ci sono i stati d’animo che giocano un ruolo tutt’altro secondario fra le cause delle malattie cardiovascolari in genere. Si tratta di eventi personali su cui pesa l’aggravante di condizioni socio-economiche più negative rispetto alla controparte bianca della popolazione statunitense, a causa delle ben note questioni del razzismo e della discriminazione, della povertà e della mancanza di pari opportunità.

Gli autori dello studio citano, fra gli elementi di rischio che minano la salute psichica e cerebrale delle persone di colore, favorendo l’insorgenza dell’ictus ‹‹i sintomi depressivi, gli attacchi d’ira, le ostilità e le discriminazioni vere e proprie››, spiegando che loro, i neri, sono decisamente ‹‹più svantaggiati per prevalenza e severità di questi sintomi, a causa del contesto più sfavorevole››.

Così, a conclusione del loro lavoro, tirando le somme di quello che sarebbe auspicabile attivare, accanto a interventi a monte della prevenzione, finalizzati a ridurre i noti fattori di rischio come l’ipertensione, l’obesità, la sedentarietà, l’ipercolesterolemia e il diabete, gli autori ricordano che tutto quello che verrà fatto per ridurre il disagio sociale ed economico della comunità nera avrà delle ripercussioni positive sulla salute cardiovascolare, riducendo nello specifico la sproporzione con la controparte bianca in fatto di incidenza e mortalità per ictus.

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