di Anita Pellizzone
Il colesterolo è una molecola fondamentale per il nostro organismo, ma se presente in quantità eccessiva aumenta il rischio di malattie cardiovascolari anche gravi, come l’infarto o l’ictus. In diversi centri è in fase di sperimentazione una nuova molecola in grado di abbattere i livelli di colesterolo nel sangue. Scopriamo insieme di cosa si tratta
Il colesterolo non è di per sé dannoso. Anzi. Il colesterolo è una sostanza grassa essenziale per l’organismo e svolge per il nostro corpo una serie di funzioni fondamentali. Per esempio, è un mattone indispensabile per la formazione e per la riparazione delle membrane cellulari, è presente in numerosi tessuti, come quello cerebrale, partecipa alla sintesi di alcuni ormoni (tra cui gli steroidi, di cui fanno parte anche gli ormoni sessuali) e della vitamina D. Tuttavia, se presente in eccesso, il colesterolo costituisce, insieme all’ipertensione, al diabete e all’obesità, uno dei principali – e dei più controllabili – fattori di rischio che possono essere all’origine di numerose malattie cardiovascolari.
Ma da che cosa dipende un’alta concentrazione di colesterolo nel sangue? Come è ormai noto, il colesterolo può essere introdotto nell’organismo attraverso alcuni alimenti, quelli ricchi di grassi animali, come la carne, i formaggi, le uova o il burro. Una dieta equilibrata, soprattutto se accompagnata da un’adeguata attività fisica, può ridurre il colesterolo dal 5% al 10%, una percentuale, quest’ultima, che abbassa a sua volta del 20% la probabilità di morire di una malattia cardiovascolare. Tuttavia, quello che è meno risaputo è che il colesterolo è anche prodotto dal nostro organismo: viene sintetizzato nel fegato e da qui immesso nel sangue, dove viene trasportato a tutto il corpo per svolgere le proprie funzioni. Per dirlo col linguaggio dei medici, il colesterolo può avere origine esogena (essere introdotto tramite la dieta) o endogena (essere prodotto dall’organismo). Ma non è tutto qui: dal momento che il corpo umano è una macchina decisamente sofisticata, attraverso dei meccanismi che in biologia si chiamano “feedback” e che si basano su dei segnali chimici, quanto più alti sono i livelli di colesterolo nel sangue, quanto più il fegato rallenta la produzione di colesterolo endogeno, e viceversa.
Il colesterolo, come tutte le sostanze grasse, non è solubile nell’acqua e non può fluire liberamente nel “traffico” del sistema circolatorio. Per essere trasportato nel sangue, deve quindi essere veicolato da altre molecole. Questa funzione di trasporto è svolta dalle apoproteine, delle particolari sostanze proteiche che si legano al colesterolo, sia quello assorbito dall’intestino, sia quello prodotto dal fegato, formando con esso dei complessi lipoproteici (lipoproteine) e così, insieme, viaggiano nel sangue.
Le lipoproteine che più hanno a che fare con la prevenzione cardiovascolare sono di due tipi. Le prime, le LDL (acronimo che sta per low density lipoprotein, lipoproteine a bassa densità) sono spesso considerate “cattive”. Esse trasportano il colesterolo verso le cellule attraverso le arterie e, se presenti in concentrazioni elevate, tendono a depositarsi sulle pareti dei vasi, provocandone un irrigidimento e un ispessimento, fino alla formazione di vere e proprie placche (processo di aterosclerosi). Queste placche di colesterolo, possono, nei casi più gravi, accrescersi fino a interrompere il flusso sanguigno o staccarsi e formare i cosiddetti “emboli”, dei veri e propri “tappi” che possono arrivare a bloccare la circolazione. Le conseguenze sono gravissime e, a seconda di dove si collocano questi ingorghi, si può incorrere in infarto (occlusione delle arterie che nutrono il cuore, cioè le coronarie), ictus (a livello cerebrale) o claudicatio intermittens (a livello degli arti inferiori).
Le seconde, le HDL (acronimo di high density lipoprotein, lipoproteine ad alta densità), considerate “buone”, perché al contrario rimuovono il colesterolo in eccesso e lo trasportano al fegato, dove viene eliminato. In questo senso, non è troppo lontano dal vero pensare alle HDL come a dei granuli di idraulico liquido che, trasportando con sé dei pericolosi ingorghi paragonabili a quelli che spesso ci intasano i tubi di casa, ripuliscono le arterie e lasciano il sangue libero di scorrere.
Ma torniamo alle LDL, il cosiddetto “colesterolo cattivo”. Quando queste lipoproteine arrivano ai tessuti che necessitano di colesterolo per le proprie attività, esse vengono catturate da appositi recettori presenti sulle membrane delle cellule. Qui, vengono immagazzinate e utilizzate soprattutto nel processo di sintesi degli ormoni o per la stabilizzazione delle membrane stesse. Con grande intelligenza, le cellule regolano i recettori per le LDL a seconda della quantità di colesterolo di cui hanno bisogno. Quando il livello di colesterolo è basso, le cellule aumentano i propri recettori, così da catturare il più possibile il colesterolo LDL in circolazione; viceversa, quando i livelli sono alti, i recettori diminuiscono.
Quanto è diffusa l’ipercolesterolemia? “Le statistiche attuali non sono aggiornatissime – ci spiega Angela Pisani, cardiologo degli ICP (Istituti Clinici di Perfezionamento) di Milano – ma la diffusione è significativa, perché pare che circa il 40% della popolazione italiana abbia il colesterolo elevato, dove per elevato si intende con valori superiori ai 200 mg/dl”. Secondo i dati raccolti in Italia tra il 1998 e il 2002 dal Progetto Cuore (Epidemiologia e prevenzione delle malattie ischemiche del cuore – coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità) il 21% degli uomini e il 23% delle donne di età compresa fra i 35 e i 74 anni è ipercolesterolemico (ha cioè un eccesso di colesterolo nel sangue, pari o superiore a 240 mg/dl oppure è sotto trattamento specifico). Si tratta di un quadro piuttosto preoccupante, ulteriormente aggravato dal fatto che il 37% degli uomini e il 34% delle donne sono considerati in una condizione al limite dell’ipercolesterolemia (livelli di colesterolo compresi fra i 200 e i 239 mg/dl). “Da tenere presente – continua la cardiologa – è anche il fatto che i livelli di LDL tendono ad aumentare con l’età, soprattutto nella popolazione femminile, dopo la menopausa, quando viene meno l’effetto protettivo che gli estrogeni, ormoni femminili dell’età fertile, esercitano sul sistema cardiovascolare”.
Nella maggior parte dei casi, ai pazienti ipercolesterolemici (dati 2009, Sistema di Sorveglianza Passi) vengono consigliati un maggior consumo di frutta e verdura (80%), minor consumo di carne e formaggi (89%), controllo del peso (77%) e regolare attività fisica (80%). Tuttavia, anche se lo stile di vita che conduciamo può avere un ruolo molto importante nel determinare i livelli di LDL nel sangue, l’ipercolesterolemia può essere causata anche da fattori genetici ed essere quindi di natura ereditaria. “Questo significa che alcuni soggetti sono predisposti ad avere un eccesso di colesterolo del sangue, con un aumento del rischio di sviluppo di malattie cardiovascolari precoci anche 20 volte superiore rispetto a un individuo sano. Per questi pazienti, purtroppo, modificare il proprio stile di vita non è sufficiente per combattere l’ipercolesterolemia ed è necessario intervenire attraverso la somministrazione di farmaci”.
Se lo stile di vita non basta? L’ipercolesterolemia non produce sintomi particolari e la maggior parte delle persone che ne soffre non sa di avere alti livelli di colesterolo. Tuttavia, essa è facilmente diagnosticabile attraverso i comuni esami del sangue e la prevenzione e l’adozione di stili di vita corretti sono normalmente considerate le strategie più efficaci per mantenere il colesterolo entro i limiti auspicati. A volte però, ed è questo il caso dell’ipercolesterolemia familiare, è necessario intervenire con delle terapie farmacologiche.
Tra i farmaci più diffusi per la cura dell’ipercolesterolemia, troviamo le statine, che da un lato rallentano la produzione di colesterolo LDL endogeno e dall’altro aumentano la capacità del fegato di smaltire quello già presente nel sangue. Tuttavia, il corpo umano è una macchina estremamente complessa. In particolare, le forme di ipercolesterolemia ereditaria sono di diverso tipo e non tutte sono trattabili efficacemente con le terapie fino ad oggi messe a punto.
Una importante forma di ipercolesterolemia familiare, anche se non si tratta della più diffusa, dipende da una mutazione che coinvolge il gene che codifica per la PCSK9 (Proprotein convertase subtilisin/kexin type 9 serine Protease). Il legame tra PCSK9 e il metabolismo del colesterolo è stato dimostrato da alcuni studi genetici che hanno evidenziato come alcune varianti del gene che codifica per la proteina PCSK9 sono effettivamente associate a una variazione dei livelli di LDL presente nel sangue.
Ma in che modo PCSK9 e LDL sono connessi tra loro? La proteina PCSK9 è sintetizzata in vari tessuti, principalmente nel fegato e nell’intestino ed è deputata al degrado dei recettori per le LDL che hanno il compito di “catturare” le LDL per trasportarle all’interno delle cellule, sottraendole quindi al plasma. “Nei soggetti che presentano nel proprio patrimonio genetico una mutazione del gene per la proteina PCSK9 – ci spiega Domenico Sommariva, vicepresidente della Sezione regionale lombarda delle Società italiana per lo studio dell’Arteriosclerosi – essa può essere più attiva o meno attiva della norma, legandosi quindi più o meno efficacemente ai recettori per le LDL. Nel primo caso (iperattività) la PCSK9 si lega molto facilmente ai recettori per le LDL e li degrada precocemente, provocando quindi un accumulo di LDL nel plasma e, di conseguenza, l’ipercolesterolemia. Al contrario, nei soggetti in cui la proteina PCSK9 ha una bassa attività, le LDL hanno più recettori a propria disposizione, quindi vengono sottratte più facilmente dal plasma, con il risultato di una bassa colesterolemia”.
Una terapia per l’ipercolesterolemia familiare da iperattività della proteina PCSK9?
Dal punto di vista medico, la condizione più pericolosa è ovviamente quella in cui la proteina acquista quello che nel linguaggio medico si chiama un “guadagno funzione”, diventa iperattiva, si lega efficacemente ai recettori per le LDL e li degrada precocemente, lasciando le LDL libere nel sangue. Ma non è sempre tutto nero. Su questo fronte, infatti, è in avanzato corso di sperimentazione una terapia che prevede il ricorso ad anticorpi anti-PCSK9. Questo trattamento, il cui studio clinico è stato approvato sia negli Stati Uniti sia in Europa e che al momento non è prescrivibile liberamente perché ancora in fase di sperimentazione (fase 3), è utilizzato in alcuni centri, anche in Lombardia. “Il farmaco viene somministrato per via sottocutanea una o due volte al mese – chiarisce il dottor Sommariva – e, visti anche gli elevati costi della terapia, sarà verosimilmente utilizzato solo per le patologie non curabili con altri trattamenti”. Attenzione però, il buon senso suggerisce che, l’avere oggi, o nell’immediato futuro, a disposizione dei farmaci efficaci per combattere diverse forme di ipercolesterolemia, non ci esime dal prenderci cura del nostro organismo evitando accuratamente tutti i fattori di rischio e adottando stili di vita corretti e salutari.