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di Riccardo Segato

Dopo solo un minuto di esposizione, il fumo passivo da marijuana è in grado di causare effetti dannosi al sistema cardiovascolare dei ratti. Il che, date le similitudini che le nostre arterie hanno con quelle delle cavie da laboratorio, dovrebbe allarmarci. È quanto sostengono gli autori di una recente ricerca. A loro dire, il fumo passivo sarebbe da evitare comunque, sia che si tratti di tabacco o di marijuana

Stando a un articolo apparso in rete, che personalmente mi è servito come spunto per scrivere il mio, sembra che Matthew Springer, professore di cardiologia e membro, tra gli altri, del Centro per il Controllo del Tabacco presso l’Università della California di San Francisco, si sia posto il problema del fumo passivo da marijuana partecipando a un concerto di Paul Mc Carthey a San Francisco. Durante quel concerto di qualche anno fa, egli si sentì letteralmente avvolto da una nube di fumo. Dopo aver scartato l’ipotesi che si trattasse di fumo di sigarette, giacché negli Stati Uniti è proibito fumare in tutti i luoghi pubblici, spazi aperti compresi, e complice l’odore inconfondibile che aleggiava ad altezza d’uomo, sul quale il celebre ex Beatles aveva fatto dell’ironia a più riprese, parlando dell’aria tipica della città californiana, Matthew Springer non ebbe nessuna difficoltà a riconoscere che si trattava di marijuana. Quello che sorprese il cardiologo in quell’occasione, tanto da avviare di lì a poco una ricerca scientifica sugli effetti cardiovascolari del fumo passivo di marijuana, è come i presenti, autorità e non-fumatori compresi, fossero disposti a tollerare il fumo passivo della sostanza psicotropa. Da quando la cannabis o marijuana che dir si voglia è stata depenalizzata, l’uso personale è stato liberalizzato e il mercato dei produttori cresce di anno in anno in termini di fatturato per soddisfare la domanda crescente negli Stati che, come la California, hanno dato il via libera al consumo, insieme a tutto ciò sembra che si sia diffusa la credenza che il fumo passivo di questa sostanza non sia un problema per la salute. A differenza della nicotina del tabacco, che tutti sanno che è dannosa, in molti sono convinti che la cannabis sia innocua per la salute perché è un prodotto naturale che cresce spontaneamente a certi latitudini e che si può coltivare normalmente a certe altre, al pari del grano e del mais. Lo studio coordinato dal professor Springer, invece, starebbe a dimostrare proprio il contrario. E cioè che il fumo passivo della cannabis potrebbe essere ancora più dannoso di quello delle sigarette. Il condizionale è d’obbligo in attesa che i risultati dell’esperimento che Springer e colleghi hanno fatto sui ratti venga confermato anche sugli umani.
Scorrendo il testo dello studio di Matthew Springer, apparso per la prima volta a stampa nel luglio 2016 sulla rivista specializzata «Journal of the American Heart Association», si ha la conferma che la combustione della marijuana sprigiona molte delle sostanze tossiche presenti nel tabacco, incluse le particelle ultrasottili che causano morbidità e mortalità cardiovascolare. Tuttavia, a causa dell’illegalità che per molto tempo ha escluso la marijuana dalle sostanze da testare sugli umani, gli studi prospettici sugli effetti della marijuana sono pochissimi. Ancora più rari, anzi, praticamente inesistenti, quelli sul fumo passivo nei non fumatori.
Quello che sappiamo per certo sul fumo passivo, sia che si tratti di sigarette o di marjuana, è che esso è responsabile di una perdita di elasticità delle arterie. Si tratta dello stesso effetto dannoso che si denota nei fumatori. È l’arteria brachiale che fatica a vasodilatarsi a causa del fumo. In generale, la perdita di efficienza di questa importante arteria è correlata con condizioni di sofferenza cardiovascolare che includono sia i danni del miocardio sia l’arteriosclerosi. La letteratura in materia dice che, a causa del fumo passivo, l’arteria femorale dei ratti da laboratorio ha problemi di efficienza vasodilatatoria che durano una trentina di minuti. Inoltre, i primi effetti negativi nell’arteria femorale si denotano dopo appena un minuto di esposizione. Da non dimenticare che per lo sviluppo di questo danno, insieme al fumo passivo, normalmente negli umani concorrono le inalazioni secondarie agli scarichi dei motori diesel e ai residui di ogni altro tipo di combustione, incenso e candele comprese.
Partendo da questi dati, il professor Springer e colleghi hanno ricreato qualcosa di analogo per testare gli effetti della marijuana sulle cavie da laboratorio. Hanno costruito delle gabbiette in plexiglass in cui hanno introdotto i ratti anestetizzati, avendo cura di ottenere la misurazione dell’andamento della loro arteria femorale, immaginandola comparabile con l’arteria brachiale dell’uomo. Fatto questo, hanno sottoposto i ratti a inalazioni di fumo di marjuana badando a testare la differenza fra marijuana arricchita di THC (il principio attivo) e senza THC per registrare le differenze. Qualche anno prima avevano fatto lo stesso esperimento ma con il fumo di sigaretta. Fu in quella occasione che verificarono che nei ratti la perdita di efficienza dell’arteria femorale dura 30 minuti, passati i quali essa ritorna alle normali funzioni. Tuttavia, se ciò accade di continuo, le pareti di questa arteria subiscono danni permanenti, gli stessi che poi sono la causa della formazione di trombi, infarti e ictus.
Nello studio più recente Springer e colleghi hanno dimostrato che l’inalazione del fumo passivo di marijuana prolunga l’effetto negativo sull’arteria femorale dei ratti fino a 90 minuti. E che lo stesso tipo di effetto è stato registrato anche per il fumo passivo da marijuana deprivata del THC. A dimostrazione che è nella combustione del prodotto, nelle particelle chimiche che si sprigionano durante il processo, che si annidano i pericoli più seri per il tessuto endoteliale di cui sono costituite le arterie umane e animali. La ragione principale che ha spinto Springer e colleghi a testare la marijuana senza THC è perché volevano verificare il comportamento dell’arteria femorale sapendo che il THC agisce da vasodilatatore e non erano sicuri se questo effetto avrebbe interferito nella loro analisi.
Per chi fosse portato a credere che allora il THC non esercita nessun effetto dannoso per cuore e arterie, ecco pronta la smentita di Springer e colleghi. Citando la letteratura in materia, essi affermano che il principio attivo della marijuana è solito quintuplicare il rischio di infarto entro le ore immediatamente successive all’inalazione. Il fatto che il THC acceleri il ritmo cardiaco e aumenti la pressione arteriosa, è la ragione primaria che porta all’infarto. È altresì possibile che il rischio d’infarto sia da porre in relazione anche agli effetti avversi scatenati dal fumo sul tessuto endoteliale.
Nel primo studio, sul fumo passivo da sigaretta, l’arteria femorale dei ratti tornava a dilatarsi normalmente a distanza di 30 minuti dalla prima esposizione. Nel secondo, sul fumo passivo da marijuana, i ratti sono stati sottoposti a fumo passivo per 1 minuto e in seguito la reazione della loro arteria femorale è stata misurata ogni 30 minuti, riscontrando che in molte delle cavie l’arteria femorale rimaneva fuori servizio fino a 90 minuti dalla prima esposizione inalatoria.
La differenza è riferibile alla diversa composizione dei gas di combustione sprigionati dal fumo di tabacco e dal fumo di marijuana. A giudizio di Matthew Springer, a cui abbiamo chiesto un parere specifico su questo punto, «la composizione chimica dei due tipi di fumo è simile ma non identica. Anche altri fumi, diversi dalla nicotina e dalla marijuana, variano nella composizione a causa delle migliaia di componenti chimici, ragione per cui non sappiamo perché gli effetti degli uni durano più a lungo di quelli di altri, quindi non deve sorprendere se gli effetti della marijuana hanno una durata più lunga rispetto a quelli della nicotina». Resta il fatto che da entrambi gli esperimenti il dato certo che emerge è che nei ratti, la causa della perdita temporanea di elasticità dell’arteria femorale è dovuta ai costituenti del fumo passivo nel suo complesso. E quello che vale per i ratti dovrebbe valere anche per gli umani, sembra di capire. I ratti e i non fumatori denotano reazioni cardiovascolari a esposizioni passive di tabacco e di marijuana comparabili. Per citare Springer e colleghi su questo punto specifico: «Aumentando la legalizzazione della marijuana è sempre più importante conoscere le conseguenze per la salute dal fumo passivo della sostanza psicotropa. La similitudine dei componenti chimici che si sprigionano in conseguenza del fumo passivo di tabacco e marijuana, insieme all’osservazione che entrambe queste modalità di fumo passivo sono dannose per la funzione dell’endotelio, indicano che il fumo passivo da marijuana ha effetti dannosi sul sistema cardiovascolare dei ratti e suggeriscono che può avere gli stessi effetti sugli umani. È importante che l’opinione pubblica, i medici e i politici siano a conoscenza che l’esposizione al fumo passivo da marijuana non è necessariamente innocuo. I nostri risultati suggeriscono che il fumo passivo sarebbe da evitare in egual misura sia che si tratti di tabacco o di marijuana».

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