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Secondo uno studio presentato di recente al congresso annuale dell’American College of Cardiology e di cui, al momento in cui scriviamo, è stato diffuso solo un abstract, la dieta chetogenica espone al rischio di avere livelli ematici più elevati di colesterolo LDL (quello “cattivo”). Così facendo raddoppia il rischio di eventi cardiovascolari come angina (dolore toracico) infarto e ictus, e impone il ricorso a interventi di stenting per la disostruzione delle arterie.

La chetogenica è una dieta che si basa su un minor apporto di carboidrati controbilanciato da uno maggiore di grassi saturi. Attingendo dai grassi del fegato s’innesca il processo di chetosi, attraverso il quale l’organismo produce energia bruciando i grassi e non, come fa normalmente, i carboidrati e gli zuccheri introdotti con la dieta. Al di là del tipo di regime alimentare di riferimento, particolarmente efficace in una riduzione rapida del peso corporeo, al punto di essere diventato popolare fra i nutrizionisti di tutto il mondo, produrre energia attraverso la chetogenesi è una condizione monitorata nei diabetici, poiché non è estraneo al rischio di una riduzione drastica dell’insulina. Oltre che nei diabetici, la chetosi può essere la conseguenza di un consumo eccessivo di alcol.

Due condizioni limite che hanno fatto drizzare più di un’antenna ai ricercatori dello studio in oggetto. Il gruppo di ricerca ha analizzato i dati della UK Biobank, un database prospettico con informazioni sulla salute di oltre mezzo milione di persone residenti nel Regno Unito sottoposti a un follow-up di almeno 10 anni. Fra costoro, 70˙684 partecipanti hanno completato un questionario sulla dieta tipo delle 24 ore e, allo stesso tempo, si sono sottoposti a prelievo di sangue per controllare il colesterolo. Degli oltre 70 mila partecipanti, i ricercatori ne hanno identificato 305 le cui risposte al questionario erano compatibili con una dieta chetogenica. Il passo successivo è stato quello di confrontare questi partecipanti con un gruppo di controllo. Sono stati così confrontati con 1.220 individui, compatibili per età e sesso e indice di massa corporea, che hanno riferito di aver mangiato secondo una dieta standard. Risultato, quelli che hanno seguito una dieta chetogenica avevano livelli significativamente più elevati sia di colesterolo LDL sia di apolipoproteina B (associabile a un rischio maggiore di malattia cardiovascolare aterosclerotica) tali da affacciare procedure di stent per disostruire le arterie, condizioni cliniche compatibili con infarto, ictus e arteriopatia periferica.

Il lato per così dire meno ansiogeno della faccenda è che chi si sottopone a una dieta chetogenica non risponde sempre allo stesso modo, amplificando ogni volta i fattori di rischio cardiovascolare appena enumerati.

A detta di uno degli studiosi che ha messo mano alla ricerca, il modo in cui le persone rispondono alla dieta chetogenica è ancora da chiarire, e lo sforzo futuro presuppone di identificare i marcatori genetici in grado di dire in anticipo quali sono le reazioni a livello lipidico delle persone in predicato di scegliere, meglio se su consiglio del medico, di affrontare una dieta di tipo chetogenico. Al momento ne sono state individuate tre, in cui l’apporto di carboidrati non supera, rispettivamente il 10 il 35 e il 45% dell’apporto energetico giornaliero. Il che significa che per arrivare a cifra tonda, ovvero al 100%, il resto viene attinto dai grassi. A questo proposito, uno studio appena pubblicato su «Journal of Clinical Lipidology», si prefigge di stabilire quale sia la riduzione migliore in termini di carboidrati. Ebbene, stando a questo lavoro, le riduzioni drastiche sono sconsigliate, in quanto dopo 6 mesi il calo ponderale rallenta fino a sospendersi, ma, di contro, aumentano i fattori di rischio cardiovascolare.

Lo studio indica che le persone devono seguire un modello dietetico che contenga almeno il 40 % di carboidrati nella dieta giornaliera per il consumo a lungo termine. A questo proposito, il bilanciamento di carboidrati e grassi proposto dalla dieta mediterranea viene valutato come il migliore nel rapporto fra calo ponderale, esiti cardiovascolari e contenimento del diabete alimentare. Il consiglio finale è quello di evitare le scelte fai-da-te ma affidarsi a un nutrizionista in grado capire quali parametri vadano monitorati nel tempo, a seconda della storia cardiovascolare del soggetto.

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