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di Riccardo Segato

La fibrillazione atriale è l’aritmia statisticamente più diffusa fra gli anziani. Tuttavia, pensarla solo come un problema degli ultra ottantenni è vedere solo la parte più esposta del problema. Ne parliamo con un esperto per fare il punto su cosa è bene che la popolazione conosca di questa malattia del ritmo cardiaco che ha nell’ictus e nell’insufficienza cardiaca due delle conseguenze più pericolose

La fibrillazione atriale (FA) è l’aritmia cardiaca più diffusa. Fatto non da poco, visto che la conseguenza più grave è quella di accrescere sensibilmente il rischio di ictus. Le stime dicono che un ictus su quattro è causato da FA. Si tratta dell’ictus cardio-embolico, l’ictus dalla prognosi più severa, che si verifica a causa di un coagulo partito dal cuore. Sollecitando gli atri con impulsi elettrici irregolari – o troppo disordinati o troppo rapidi – la FA favorisce la formazioni di coaguli. «Una delle principali cause di FA è la dilatazione dell’atrio sinistro – spiega Bruno Passaretti, cardiologo, Responsabile di Unità Operativa di Riabilitazione presso l’istituto Humanitas Gavazzeni di Bergamo – che può derivare da una malattia della valvola mitrale (stenosi o insufficienza), dall’ipertensione arteriosa, dall’ipertiroidismo, da una carenza di alcuni sali minerali come potassio e magnesio (a sua volta favorita da terapia diuretica, vomito, diarrea, sudorazione abbondante ecc.) o essere subordinata a episodi febbrili. Talvolta la FA dipende da un abuso di alcolici o da indigestione. Si possono verificare anche episodi di fibrillazione atriale non riconducibili a nessuna causa, in soggetti non ascrivibili a nessuna patologia cardiaca».
Un’altra grave conseguenza della FA è l’insufficienza cardiaca. L’insufficienza cardiaca si manifesta quando la pompa del cuore non funziona correttamente. È tipica in soggetti predisposti, nei quali l’attività contrattile del cuore rimane a lungo molto elevata.
Statisticamente la FA è più diffusa tra gli anziani. Ne soffre circa il 3% delle persone fra i 60-69 anni e il 16% degli over 85. Tuttavia, pensare la FA in rapporto agli anziani è vedere solo la parte più esposta del problema. Stando a uno degli ultimi studi sulla FA, il rischio di sviluppare la malattia da adulti per colpa di una cardiopatia congenita è molto elevato. Incrociando le cartelle cliniche di circa 22 mila pazienti nati fra il 1970 e il 1993 e affetti da malattia cardiaca congenita, i ricercatori dell’Università di Göteborg, Svezia, hanno riscontrato che fra gli adolescenti e i giovani adulti considerati il rischio di sviluppare la FA è stato 22 volte più alto rispetto al gruppo di controllo. Non solo, nei pazienti con malattia cardiaca congenita e FA, il rischio di insufficienza cardiaca è aumentato di 11 volte a partire dai 42 anni di età.
Se per i pazienti affetti da malattia cardiaca congenita i ricercatori dello studio in questione, apparso nel mese di febbraio 2018 sulla rivista «Circulation», suggeriscono test ed esami cardiaci più ravvicinati per arrivare tempestivamente a una terapia elettiva di contrasto sia della FA sia, soprattutto, delle sue complicanze, resta da interrogarsi che cosa il resto della popolazione è tenuto a sapere dello stesso problema. Innanzi tutto, se ci sono dei sintomi premonitori che debbono fare scattare il campanello d’allarme. Per rispondere a questa e altre domande di approfondimento ci siamo avvalsi della competenze del summenzionato dottor Passaretti.
Dottor Passaretti, quali sono i sintomi più importanti in caso di FA?
«Il soggetto che passa da un ritmo regolare alla fibrillazione atriale accusa in genere cardiopalmo, senso di tachicardia o aritmia. Spesso le due cose si verificano insieme, attraverso una sorta di tachicardia irregolare. Più raramente si manifestano un senso di svenimento, di stordimento o la mancanza di respiro».
La FA è una aritmia cardiaca che si può prevenire?
«Sì, facendo attenzione a quanto detto a proposito delle cause. Chi assume diuretici o suda perché fa attività sportiva, la sauna o altro, o accusa dissenteria o vomito, deve reintegrare i sali minerali con bustine o compresse a base di potassio e magnesio. Occorre evitare abusi alimentari o di alcolici, e curare in modo adeguato la pressione e un’eventuale malattia della tiroide».
A quali conseguenze si espone chi è affetto da FA?
«La conseguenza più temibile è l’ictus. Quando il cuore va in FA gli atrii non si contraggono in modo efficace e quindi all’interno di essi, in particolare in una zona dell’atrio sinistro piuttosto nascosta che si chiama auricola, il sangue ristagna e questa stasi di sangue può causare la formazione di coaguli. I coaguli possono partire dall’atrio sinistro e andare in circolo attraverso il ventricolo, sia durante la fibrillazione atriale sia soprattutto al momento del ripristino del ritmo regolare. A seconda del distretto nel quale si fermano, si potranno verificare un ictus, un infarto renale, un infarto intestinale, un’ischemia al piede e così via».
Come viene fatta la diagnosi? Ovvero attraverso quali metodiche e strumentazioni?
«La presenza di FA può essere ipotizzata in via preliminare ascoltando il cuore, misurando le pulsazioni o la pressione, in quanto si percepisce l’irregolarità del ritmo. La diagnosi precisa tuttavia si fa con l’elettrocardiogramma. Un esame particolarmente utile per verificare se il soggetto presenta episodi brevi di fibrillazione atriale con ripristino spontaneo del ritmo sinusale regolare è l’ECG dinamico (o Holter delle 24 ore)».
Come si cura la FA?
«La cura della FA viene attuata mediante farmaci antiaritmici (come l’amiodarone, la flecainide, il propafenone o il sotalolo). Si tratta di farmaci efficaci ma che hanno in potenza parecchi effetti collaterali. L’amiodarone, per esempio, può causare danni alla tiroide che possono diventare pericolosi anche per il resto dell’organismo: per la cornea e per i polmoni. La cura più efficace per far regredire la FA è la cardioversione elettrica, che consiste nell’addormentare il soggetto per pochi minuti durante i quali si somministra una scossa elettrica al torace allo scopo di causare una sorta di “resetting” del cuore. Così facendo si interrompe l’aritmia e si mette in condizione il cuore di ripartire da zero. A questa stregua il primo punto del cuore che riprende a dettare il ritmo è il nodo del seno. Si tratta di un convertitore fisiologico del segnale la cui funzione è quella di dettare il ritmo cardiaco. Nelle forme più resistenti e, in genere, nei soggetti giovani, si può effettuare anche l’ablazione transcatetere. Si tratta di un intervento attraverso il quale il chirurgo entra con un catetere in una vena della gamba. Lo scopo è arrivare nelle zone dell’atrio destro nelle quali, in genere, la FA ha inizio, per erogare una energia in radiofrequenza che bruci i punti di partenza. Ovviamente è una metodica più invasiva e complicata della cardioversione ma, mentre la cardioversione elettrica è efficace solo nel momento in cui la si pratica, dopodiché il cuore può tornare in qualsiasi momento ad avere la fibrillazione, l’efficacia dell’ablazione transcatetere è per sempre».
Quali sono le informazioni che il medico è tenuto a dare solitamente al paziente in merito alla terapia farmacologica per la cura della FA?
«Per quanto detto prima a riguardo delle conseguenze della fibrillazione atriale, al fine di evitare le complicanze emboliche tra cui l’ictus, è estremamente importante fluidificare il sangue il più possibile quando è presente una FA o quando il soggetto è a rischio di svilupparla. Ciò si può attuare con i farmaci antiaggreganti come l’aspirina, la cui efficacia in questo contesto di cura è tuttavia molto limitata, oppure con i farmaci anticoagulanti. Ai farmaci anticoagulanti tradizionali (Sintrom e Coumadin), scomodi perché devono essere dosati con prelievi ematici molto frequenti e interagiscono con parecchi cibi come le verdure a foglia larga, si sono recentemente affiancati dei nuovi anticoagulanti orali (cosiddetti NAO), di più facile utilizzo in quanto non necessitano di monitoraggio ematico, non interagiscono con i cibi e danno meno frequentemente complicanze emorragiche pesanti come l’emorragia cerebrale. In Italia il loro utilizzo è attualmente contingentato dall’AIFA (Agenza Italiana del Farmaco). Il motivo è che sono più costosi degli anticoagulanti tradizionali, pertanto il medico che decide di prescriverli deve compilare un piano terapeutico online nel quale documenta che il paziente ha determinate caratteristiche che lo portano a beneficiare di tale terapia (anziano, iperteso, che ha già avuto un ictus o un infarto, maggiormente a rischio di sanguinamenti e così via). Tale piano terapeutico va quindi rinnovato di anno in anno».

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