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Gli omega-3 svolgono un ruolo nei sistemi cardiovascolare, polmonare, immunitario ed endocrino. I più studiati sono l’acido alfa-linolenico (ALA), l’acido eicosapentaenoico (EPA) e l’acido docosaesaenoico (DHA). Questi tre tipi sono indicati per abbassare la pressione sanguigna, rallentare lo sviluppo della placca nelle arterie, e per ridurre i rischi di aritmia, infarto e ictus. Inoltre, riducono i trigliceridi se somministrati a dosi adeguate. In passato ci sono state posizioni controverse per quanto riguarda la loro utilità effettiva. Questo perché alcuni studi hanno mostrato prove contrastanti, in particolare in termini di riduzione dei tassi di eventi cardiovascolari. Di recente vi è stata la notizia del Reduce-it, fresco di presentazione all’ultimo congresso annuale dell’American College of Cardiology e contemporaneamente pubblicato sul «British Medical Journal». Si tratta di uno studio di fase III che ha coinvolto in doppio cieco una popolazione di oltre 8 mila soggetti trattati con il placebo o con EPA. Da ricordare che i soggetti erano tutti con livelli di trigliceridi alti: tra 150 e 500 mg/dl. I livelli di colesterolo LDL erano tra 40 e 100 mg/dl. Tutti i soggetti erano in terapia con Statine e/o Ezetimibe (un farmaco che riduce il colesterolo riducendone l’assorbimento a livello intestinale). I soggetti sono stati suddivisi in due gruppi: uno trattato con EPA al dosaggio di 4 gr/die e uno con placebo (olio minerale). Obbiettivo primario dello studio era una riduzione in termini di morte cardiovascolare, infarto del miocardio non fatale, ictus non fatale, rivascolarizzazione coronarica o angina instabile. Ebbene, dopo quasi 5 anni di somministrazione dell’omega-3, s’è visto che vi è stata una riduzione statisticamente significativa dei trigliceridi e del 25% dei risultati attesi come obiettivo primario.

«La novità del Reduce-it – chiosa Sergio D’Addato, ricercatore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna, Ospedale Sant’Orsola – è che questo studio in doppio cieco (eicosapentaenoico vs placebo) ha dimostrato che a 4 grammi si assiste a una riduzione sia della mortalità cardiovascolare che degli eventi cardiovascolari e cerebrovascolari.  La peculiarità di questo studio è che i soggetti arruolati erano specificatamente affetti da ipertrigliceridemia, che a sua volta è diminuita grazie all’acido EPA. Quindi, siamo davanti a un farmaco bivalente, che funziona contro i trigliceridi alti e contro il rischio di mortalità cardiovascolare. Se si va a vedere, i benefici per i trigliceridi si sono avuti anche nei soggetti con un limite sotto i 150mg/dl. Lo studio era iniziato oltre i 150, poi dopo s’è modificato il limite oltre i 200 mg/dl. Nel senso che i pazienti sotto questa soglia di trigliceridi non venivano più arruolati».

Quindi professore, noi che leggiamo del Reduce-it e che viviamo in un’età anagrafica cosiddetta a rischio, che insegnamento dobbiamo trarne?
«Che avere i trigliceridi nella norma è utile per ridurre gli eventi cardiovascolari, senza dimenticare che prima dei farmaci, o in concomitanza con i farmaci, bisogna migliorare lo stile di vita. Mangiare sano, fare attività fisica, ridurre il girovita».

Quando il medico opta per l’omega-3?
«Quando nonostante il paziente abbia risposto positivamente ai questionari tesi a indagare sul suo corretto stile di vita, questi mantiene comunque livelli di trigliceridi oltre il limite assegnato: 150 mg/dl. Senza dimenticare che, nonostante dieta e attività fisica, vi sono delle forme familiari di ipertrigliceridemia contro le quali i farmaci sono indispensabili a prescindere».

I valori di trigliceridi oscillano oppure, una volta stabilizzati, lì stanno?
«Oscillano. La terapia, come anche quella a base di statine, non è mai risolutiva, non guarisce il paziente dalla patologia ma lo stabilizza su valori ottimali, tant’è che se dovesse smettere, ritorna al punto di partenza, con i valori di colesterolo e/o di trigliceridi che risalgono. Anche in questo caso, prima si sperimenta con la dieta, per vedere come risponde il soggetto quando si mette in riga. A questo punto, se il paziente si stabilizza e mangia sano, elimina l’alcol ma, ciò nonostante, deve assumere gli omega-3 e/o le statine, se gli togliamo questi farmaci, è sicuro che i suoi valori di colesterolo e di trigliceridi faranno un passo indietro, nel senso che torneranno uguali a quelli pre-cura».

Veniamo all’attualità funestata dal covid. Cosa rischia il paziente con colesterolo e trigliceridi alti se si ammala di covid?
«Se è in prevenzione primaria, corre il rischio che corrono tutti. Se invece è in prevenzione secondaria, il rischio è maggiore. Avere colesterolo e/o trigliceridi alti di per sé non pone a maggior rischio di complicanze da covid. Se il soggetto è in prevenzione secondaria, è più delicato. Anche qui, con dei distinguo. Il paziente ottantenne con tre infarti è più fragile del cinquantenne con uno. Le paure maggiori per questi soggetti sono da ricercare negli effetti collaterali a breve e a lungo termine. Trombosi e altro. Chiariamo però una cosa, avere il colesterolo alto non è controindicato per il vaccino. Assolutamente no. Chi è in prevenzione secondaria? Dipende dal tipo di malattia pregressa e dalle varie comorbilità. Sarà il medico vaccinatore, linee guida alla mano, che deciderà quale vaccino inoculare. L’importante è che il paziente faccia presente tutte le patologie, andando a vaccinarsi con la documentazione medica sottobraccio».

Cosa ci sta insegnando il covid?
Che quest’anno l’influenza non ha colpito quasi nessuno, come mai? Se non possiamo scartare l’ipotesi che sia stata soppiantata in tutto dal Covid il quale, essendo più contagioso, potrebbe averla esautorata – insomma una lotta fra virus, dove il più contagioso ha avuto la meglio su quello più debole – dall’altra ci sono le misure di profilassi: distanziamento, mascherina e gel lavamani. Le ultime due, sono due buone norme che dovremmo tenere ben presenti in futuro, quando potremmo tornare e riabbracciarci. Ci serviranno per lo meno in inverno; la mascherina sempre negli ambienti chiusi. Per altro, cosa che in Giappone e in altri paesi asiatici avviene già da tempo».

Sergio D’Addato, ricercatore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna, Ospedale Sant’Orsola.
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