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di Angela Nanni

Una ricerca effettuata presso il laboratorio di Fisiopatologia Vascolare dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS), in collaborazione con l’Università la Sapienza di Roma e con la Rutgers New Jersey Medical School, degli USA, ha evidenziato il potenziale ruolo positivo del trealosio (uno zucchero) nel rimodellamento cardiaco. Quest’ultimo è un processo che può portare allo scompenso cardiaco, tutt’altro che raro dopo l’infarto

L’infarto del miocardio rappresenta una delle principali cause di mortalità e disabilità nel mondo occidentale. Esso è una condizione molto grave perché determina sovente la morte mentre chi sopravvive si trova a fare i conti con una disabilità, caratterizzata da un netto peggioramento nella qualità della vita. Si stima che l’infarto colpisca un uomo su 6 e una donna su 7 in Europa. Chi sopravvive, si trova a fare i conti con il rimodellamento cardiaco. Ecco di che cosa si tratta: se, come avviene nella maggioranza dei casi, l’infarto è causato dall’occlusione di un vaso, succede che a partire dal ventricolo sinistro, in maniera più o meno diffusa, vengano a mancare sia l’irrorazione sanguigna sia la capacità contrattile. Questa menomazione, che può essere più o meno estesa, è soggetta alle forze della restante parte del cuore rimasta contrattile. È per questa ragione che tutto il cuore subisce un vero e proprio rimodellamento nella forma. Questi cambiamenti nella morfologia sono reversibili, soprattutto in virtù della plasticità del cuore stesso, che è maggiore subito dopo l’infarto. Se gli interventi messi in atto subito dopo l’infarto non sono tempestivi o appropriati, può succedere che il rimodellamento cardiaco metta in serio rischio la vita del paziente. Ecco perché il lavoro di ricerca portato avanti presso il laboratorio di Fisiopatologia Vascolare dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS), in collaborazione con l’Università la Sapienza di Roma e con la Rutgers New Jersey Medical School (USA) è di estrema importanza soprattutto in quest’ottica.
Gli studiosi si sono concentrati sul trealosio, uno zucchero di origine naturale che sembra in grado di agire positivamente sul rimodellamento cardiaco. Quest’ultimo non solo è una delle più importanti complicanze dopo un infarto, ma anche il processo alla base dello scompenso cardiaco e del cuore stanco. «Nonostante i notevoli progressi scientifici raggiunti negli ultimi anni, le terapie mediche per la prevenzione e il trattamento delle malattie cardiovascolari, in particolare dello scompenso cardiaco, non sono ancora sufficienti. L’incidenza dello scompenso cardiaco cronico dopo infarto del miocardio continua ad aumentare, purtroppo, nonostante gli importanti miglioramenti nelle terapie di ri-perfusione coronarica precoce. Per queste ragioni, è importante scoprire nuovi farmaci volti a ridurre il rimodellamento ventricolare sinistro dopo infarto». A spiegarcelo è Sebastiano Sciarretta, ricercatore dell’I.R.C.C.S. Neuromed e Professore Associato presso l’Università la Sapienza di Roma e primo autore dello studio in questione, che chiarisce: «In seguito a un infarto, una porzione di cuore muore e di conseguenza la funzione contrattile cardiaca si riduce in modo significativo. Il cuore comincia così a dilatarsi progressivamente, sviluppa ipertrofia e cambia forma diventando sempre più sferico. Anche se inizialmente queste modifiche strutturali sono compensatorie, con il passare del tempo questo processo patologico strutturale progressivo, chiamato appunto rimodellamento cardiaco, comporta lo sviluppo di fibrosi miocardica, apoptosi, cioè morte cardiomiocitaria, riduzione ulteriore della funzione contrattile cardiaca e, da ultimo, sviluppo di insufficienza ventricolare sinistra. Il processo determina una progressiva alterazione ultrastrutturale e molecolare miocardica con alterazione dei sarcomeri, le unità contrattili cardiomiocitarie, disorganizzazione della matrice extracellulare, accumulo di radicali liberi dell’ossigeno e alterazione di mitocondri e dei canali ionici che comportano non solo una riduzione della contrattilità ventricolare ma anche lo sviluppo di aritmie potenzialmente letali».
Per quanto riguarda le potenzialità del trealosio messe in evidenza dallo studio, è bene sottolineare come dipendano anche dalla sua capacità di attivare l’autofagia [dal greco: auto-degradazione] un processo che le cellule mettono in atto quando si trovano in grave difficoltà. In pratica, le cellule arrivano a sacrificare parti al loro interno, determinandone la degradazione mediante vescicole chiamate autofagosomi, al fine di disporre di energia per consentire lo svolgimento di funzioni base del proprio metabolismo e continuare così a sopravvivere. L’autofagia è anche il processo che permette lo smaltimento di costituenti cellulari malfunzionanti o tossici, preservando quindi l’omeostasi cellulare e garantendo il funzionamento canonico degli organi sia in condizioni normali sia soprattutto di stress. Si tratta di una caratteristica fondamentale per sopravvivere a una condizione di fortissimo stress quale è quella che si instaura dopo un infarto. «L’autofagia sta emergendo come un nuovo potenziale bersaglio terapeutico per la prevenzione e il trattamento delle malattie cardiovascolari. Studi sperimentali su modelli animali hanno dimostrato che l’attivazione dell’autofagia è un processo benefico durante il danno cardiovascolare indotto dall’ischemia e dallo stress ossidativo. L’attivazione autofagica endogena nei cardiomiociti riduce anche il rimodellamento cardiaco cronico e l’insufficienza cardiaca in risposta a infarto del miocardio e a ipertensione. Fra i numerosi attivatori farmacologici dell’autofagia che sono stati finora individuati vi è anche il trealosio: ed ecco perché lo abbiamo usato nel nostro studio ‒ spiega ancora il professor Sciarretta che conclude ‒ In concreto, nel nostro studio abbiamo dimostrato come la somministrazione di trealosio per via orale a topi con infarto del miocardio, ottenuto mediante legatura permanente di una arteria coronarica, sia in grado di prevenire significativamente la progressione del rimodellamento cardiaco post-infarto e lo sviluppo di disfunzione ventricolare e scompenso cardiaco. Gli stessi effetti protettivi invece non si osservavano in topi trattati con saccarosio, indicando che gli effetti del trealosio sono specifici di questa molecola e non dei disaccaridi in generale. Dal punto di vista meccanicistico, abbiamo osservato come il trealosio prevenga il rimodellamento cardiaco e la disfunzione ventricolare attraverso l’attivazione del processo autofagico, che appare insufficiente nel cuore rimodellato. Lo stimolo dell’autofagia da parte del trealosio permette la rimozione di aggregati proteici e mitocondri disfunzionanti riducendo quindi la progressione del danno miocardico».
L’autofagia, inoltre, è un processo sotto la lente di ingrandimento anche per capire la genesi di numerose patologie neurologiche, come per esempio il Parkinson, poiché tali condizioni riconoscono, fra le altre cose, anche un difetto in questo meccanismo. Proprio per l’importanza che riveste l’autofagia in diverse situazioni, nel 2016 lo scienziato giapponese Yoshinori Oshumi ha ricevuto per i suoi studi in merito, il premio Nobel per la medicina.

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