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Cosa si può fare per migliorare le cure di chi viene colpito da ictus? Una risposta è rintracciabile nell’8° congresso nazionale ISA-ALL (Italian Stroke Association – Associazione Italiana Ictus) che si è tenuto il 12-13 dicembre scorsi a Verona. Allo stato attuale, solo il 18% dei pazienti ha accesso alla riabilitazione post-ictus. I restanti, qualcosa come il 53% dei pazienti, ritornano a casa dopo le dimissioni ospedaliere senza riabilitazione. Posto che, come ha ricordato Mauro Silvestrini, Presidente ISA-ALL, i malati di ictus che hanno bisogno di trattamenti specifici dopo la fase acuta sono un terzo di tutti i casi, non resta che implementare i centri di riabilitazione per colmare questa grave lacuna. Da qui la necessità di potenziare la riabilitazione per migliorare l’assistenza ai malati e ridurre l’impatto sociosanitario di una patologia in forte crescita. È quanto è emerso fin dalla prima giornata del Congresso veronese. L’evento si è svolto in modalità ibrida: in presenza e online, e ha visto la partecipazione di medici specialisti provenienti da tutta Italia. «Nel corso del 2020 vi è stato un calo di accessi ospedalieri a causa della pandemia. – ha precisato il prof. Silvestrini – Molti pazienti, colpiti dalle forme meno gravi, non raggiungevano i nostri reparti». Ma il Covid ha complicato una situazione già carente: «Grazie a un maggior coinvolgimento del 118, a una migliore organizzazione e a un netto calo dei casi gravi di Coronavirus, la situazione è migliorata».
I dati epidemiologici di quest’anno confermerebbero che i malati hanno ricominciato a ricevere regolarmente diagnosi e cure. «Il problema principale rimane quello di sempre. L’accesso alla riabilitazione è un problema antecedente la pandemia. Trattamenti tradizionali, come la fisioterapia, o nuove tecniche, risultano sempre più fondamentali per assicurare un ritorno alla vita di tutti i giorni dopo la fase acuta della patologia». Sta di fatto che ogni anno nel nostro Paese 45mila persone riescono a sopravvivere all’ictus ma con esiti gravemente invalidanti. «E la disabilità, più o meno grave, può andare avanti per tutta la vita». I costi socioeconomici e sanitari sono perciò veramente importanti sia per il singolo individuo e i suoi familiari, sia per l’intera società. «In Italia sono attivi centri di assoluta eccellenza per il trattamento dell’ictus – ha aggiunto il prof. Danilo Toni, ex-presidente ISA-AII –. Uno degli obiettivi che dobbiamo porci ora è la prevenzione, soprattutto primaria. È fondamentale riuscire a creare maggiore sensibilizzazione sui fattori di rischio correggibili. Per esempio, bisogna promuovere stili di vita sani. Smettere di fumare, ridurre l’assunzione di alcol, contrastare l’abitudine a un’alimentazione scorretta e incentivare l’attività fisica. Sono questi gli obiettivi. Non va mai dimenticato come obesità, diabete mellito e diverse patologie cardiache favoriscano l’insorgenza dell’ictus. Lo stesso vale per l’ipertensione arteriosa che dovrebbe essere controllata regolarmente dopo una certa età per evitare tante gravi malattie».
Al Congresso ISA-AII di Verona si è discusso anche del SAP-E: Stroke Action Plan for Europe. Si tratta di un piano promosso dall’European Stroke Organization (ESO) e dalla Stroke Alliance for Europe, il cui scopo è limitare, tra il 2018 e il 2030, l’impatto della malattia intervenendo su sette aree di interesse: prevenzione primaria, organizzazione della cura dell’ictus, cura dell’ictus acuto, prevenzione secondaria, riabilitazione, valutazione dei risultati e vita dopo l’ictus. Il SAP-E è stato elaborato da 70 medici specialisti che hanno messo a punto le principali raccomandazioni da adattare ai vari sistemi sanitari europei. «Possiamo ridurre del 10% il numero di nuovi casi l’anno – ha dichiarato Francesca Romana Pezzella, UOSD Stroke Unit, Ospedale S. Camillo Forlanini di Roma – in Italia sarebbero 15mila pazienti in meno bisognosi di cure e di assistenza specifica. È un obiettivo raggiungibile nei prossimi anni attuando strategie e interventi di salute pubblica.  C’è bisogno nel nostro Paese di un “Piano Nazionale per l’Ictus” che comprenda tutta la gestione della patologia cardio-cerebro-vascolare: dalla prevenzione primaria fino alla riabilitazione. È importante che la ricerca ci aiuti nella comprensione della fisiopatologia. Non sempre però le scoperte si traducono in nuovi trattamenti a disposizione di pazienti e clinici. Perciò è necessario l’impegno dell’Unione Europea e delle singole nazioni per favorire gli investimenti nella ricerca sull’ictus in modo proporzionato all’entità e alla prevalenza del problema sanitario». Se vogliamo raggiungere gli obiettivi del SAP-E, bisogna aumentare la preparazione di tutto il personale medico-sanitario – è stata la conclusione che ha trovato tutti d’accordo. «Un ruolo importante è quello rivestito dai medici di medicina generale che possono favorire la prevenzione primaria e secondaria della malattia, così come assistere il paziente nella fase del post-acuto».

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