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di Alberto Ferrari

Abbiamo provato ad analizzare le domande che arrivano alla nostra rubrica di “Lettere al cardiologo” secondo i criteri propri della Medicina Narrativa. Le conclusioni sono che, in generale, si tratta di narrazioni spesso ferme, per l’ansia che paralizza o ossessiona con però delle aperture, a volte, nella volontà di cercare risposte e fare qualcosa per migliorare la propria condizione – per esempio, curando l’attività fisica o migliorando lo stile di vita

La Medicina Narrativa (dall’inglese Narrative Medicine) è una metodologia che può aiutare a migliorare le cure e l’assistenza medica sfruttando le narrazioni dei malati e di tutto coloro che hanno un ruolo attivo nei percorsi di cura. La narrazione è lo strumento base di questa nuova disciplina che permette di comprendere e integrare i diversi punti di vista. Il fine è di dare vita a un percorso di cura personalizzato. In questo modo, la Narrative Based Medicine (NBM) si integra con la Evidence Based Medicine (EBM) e, dopo avere fatto tesoro della pluralità delle prospettive, favorisce delle decisioni clinico-assistenziali più complete, personalizzate, efficaci e appropriate.
Abbiamo provato ad applicare gli strumenti della medicina narrativa alle lettere della rubrica “Il cardiologo risponde” e abbiamo riscontrato le seguenti ricorrenze.
Venendo all’aspetto più propriamente descrittivo e, più precisamente, al tipo di linguaggio utilizzato, possiamo affermare che il linguaggio più frequente è quello “fattuale”. Chi scrive sembra che vi ricorra per essere all’altezza del linguaggio basato sulla cosiddetta “disease”, evidentemente considerata il tratto tipico, se non esclusivo, del medico. Dati, elementi fattuali, un po’ di cronaca e tanti numeri desunti dalle varie misurazioni, dagli esami diagnostici per cercare di inquadrare la malattia da un punto di vista clinico. Siccome il paziente non è medico, è ovvio che ogni tanto si lasci andare a inserti tematici di tipo “simbolico” e “metaforico”, nel tentativo di fare maggior chiarezza con se stesso e farsi capire più intimamente dal medico («sindrome da camice bianco» in merito all’essere in stato di agitazione quando ci si misura la pressione dal medico; desiderio di «mettersi l’animo in pace» con l’aiuto del cardiologo che sta per rispondere; «palpitazioni con le quali convivere perché non sono pericolose», riferendosi al parere più volte espresso dai medici che un ex infartuato ha interpellato per avere lumi a riguardo della propria sintomatologia).
Data la predilezione per il linguaggio fattuale, non stupirà se lo “stile” narrativo caratterizzante è quello “didattico/didascalico”, nel quale abbondano, come sappiamo, i numeri, i dati, i referti diagnostici, l’evoluzione nel tempo della malattia, le ipotesi diagnostiche e le domande aperte. Alcuni esempi: «… sono stato dimesso dall’ospedale con la seguente diagnosi: fibrillazione atriale persistente cardiovertita elettricamente. Mi è stata consigliata le seguente terapia: Xarelto 20mg 1 cp a pranzo, Cardiocor 1,25 1 cp ogni 8 ore…» «… mi è stato prescritto il Rytmonorm da 150 mg 3 volte al dì, più una al bisogno. Ho fatto 7 volte l’Holter… sono stato da quattro cardiologi e tutto hanno detto…» «… le invio anche i risultati delle 54 misurazione [della pressione] effettuati dal settembre 2017 a settembre 2018…».
Accanto all’esposizione didascalica della malattie e dei loro referti, non mancano le inserzioni (statisticamente un po’ meno ricorrenti ma, in taluni casi, ricorrenti tanto quanto) di stilemi riferibili al “linguaggio tragico/drammatico” per dare conto dell’ansia e della paura della malattia e dei possibili scenari negativi che ancora potrebbero aprirsi, aggravando il già precario stato di salute. Alcuni esempi: «… e, con mio grande stupore, è risultato che ho anche l’ipertensione…»; «Vorrei per favore un parere perché sono tanto ansioso»; «davanti ai medici [la pressione] sale alle stelle, anche 160/100 quando sono particolarmente in ansia (e davanti a un medico io sono sempre in ansia, vado proprio in panico…»; «Egregio Dottore, tre settimane fa ho avuto un’esperienza terribile, che mi ha completamente traumatizzata […] io vivo terrorizzata»; «All’inizio di giugno ho cominciato il mio calvario dal cardiologo»; «Salve dottore, non basterebbe un libro per sbrogliare tutte le paure/domande che mi affliggono […] mi sento condannato»; «La mia ossessione è la morte cardiaca improvvisa […] È la prima causa di morte nei giovani? Scusate la lunghezza ma sto passando un periodo orrendo… Ogni secondo penso di poter morire…».
In misura minore fanno la loro comparsa anche espressioni del “linguaggio romantico”, specie se vi è l’urgenza di dare sfogo alle preoccupazioni per i legami affettivi. «Come sarà il proseguo della vita di mio figlio per sapere come affrontarla: Le chiedo umilmente di potermi rispondere in modo esaustivo, ve ne sarei grato a vita, grazie»; «Spero che Lei possa mettermi l’animo in pace».
Quanto alle singole parole, inquadrabili come “agenti di cura”, poche o nulle le parole di gentilezza e benevolenza, in grado di promuovere le funzioni cognitive. Più che altro, allo stadio delle “domande al cardiologo”, sembrano prevalere le singole parole “negative” (più che quelle “rabbiose”), che conosciamo essere spia di un linguaggio sostanzialmente ostile, nel senso che chi scrive si sente vessato da un insieme di cose, a cominciare dalle proprie paure e insicurezze. Alcuni esempi: «non fumo, bevo pochissimo alcol e sono in forma fisicamente però non sono lo stesso tranquillo…»; «ho paura di andare incontro a questa malattia [l’arteriosclerosi]»; «sono molto agitato perché temo di avere qualcosa di brutto al cuore”; «Vorrei sapere una cosa, di cui mi vergogno a parlare con il mio medico…»; «vivo così da un po’ di mesi [in modo disorientato e confuso]».
Ciò detto, in molte lettere a dominare è lo “stile narrativo”, attraverso il quale la malattia viene descritta secondo varie scansioni temporali. Ne sono spia alcuni avverbi e altri stilemi legati al tempo, che danno, appunto, la percezione che il problema di salute che angustia chi scrive è una cosa che si è sviluppata per gradi e negli anni. Inoltre favoriscono la dimensione narrativa, appunto. Alcuni esempi: «Una notte del maggio scorso mi sono svegliato con una forte tachicardia […] Nel frattempo ho voluto fare un Ecocardio […] Spesso però ho un leggero fastidio al petto […] Al mattino, 2-3 volte la settimana, vado a farmi una camminata»; «Ho sempre fatto mille analisi del cuore […] anni fa mi hanno riscontrato un’insufficienza lieve mitralica […] Ultimamente mi è tornata l’ansia […] Ho prenotato un elettrocardiogramma all’ospedale Monzino di Milano […] Mi sono messo in testa che mi verrà un infarto»; «Soffro da qualche anno di ansia ed extrasistoli […] Ultimamente sto svolgendo attività fisica […] Circa 20 giorni fa ho fatto un elettrocardiogramma […]».
Quanto detto circa l’importanza del tempo e della scansione narrativa nelle lettere in oggetto, può tornare utile anche per le riflessioni sul “coping”, definito come attitudine a risolvere conflitti, dopo aver superato alcune prove. In una lettera datata Ottobre 2018, redatta dalla fidanzata di un uomo che, a quanto pare, oltre al guaio dell’obesità e di altri rischi cardiovascolari, ha seri problemi di dilatazione dell’aorta ascendente, si denota che la signora, dopo anni di “ignavia”, sembra determinata a prendere in mano la situazione anziché aspettare che il quadro clinico precipiti: «L’altro giorno, su mia indicazione, sì è sottoposto a una vista cardiologica, dato che prende il Micardis senza aver fatto mai controlli».
Venendo invece alle classificazioni degli scritti secondo le regole “auree” della medicina narrativa (Kleiman, Lauren, Robinson, Frank e Bury), dato che il linguaggio più ricorrente è quello “fattuale”, è giocoforza che, se ci riferiamo alla tassonomia di Kleiman, la “disease” (in cui la malattia è al centro, descritta con il linguaggio tecnico delle cartelle cliniche) abbia un ruolo preponderante. Tuttavia, siccome si tratta di corrispondenza scritta soprattutto per essere tranquillizzati e consigliati a riguardo di una cura e della malattia che sta sotto, accanto alle parti di “disease” vi sono quelle di “illness” (in cui si affaccia il bisogno di mettere al centro del racconto la propria personale esperienza di pazienti). Vi è invece una mancanza a un dipresso totale di “sickness”, forse perché una rubrica di lettere al cardiologo poco si combina con delle riflessioni che hanno per oggetto le presunte difficoltà di chi scrive circa i rapporti umani e professionali nel luogo di lavoro. Non crediamo che sia necessario estrapolare estratti di “illness” e di “disease” dalle lettere riportate. Una semplice scorsa alle medesime basta per rendersi conto che, quasi in ogni lettera, “disease” e “illness” si rincorrono quasi senza soluzione di continuità.
Riferendosi invece alle classificazioni di Frank, basate su “chaos”, “restituion” e “quest”, si nota che la componente di “chaos” è nettamente preponderante. Per esempio, la lettera datata Gennaio-Febbraio 2014, in cui un signore di 54 anni chiede lumi al medico, partendo da quello che è andato a scoprire a seguito un esame «di routine», si vede che la descrizione dei sintomi e del quadro clinico della sua malattia (in realtà una pluripatologia) è, appunto, alquanto confusa e frammentata. Lo stesso accade nella lettera datata Ottobre 2018, in cui un padre è alquanto disorientato dopo la diagnosi di presunta sindrome di Brugada per la quale suo figlio sta facendo accertamenti. Per non parlare della lettera, sempre dell’Ottobre 2018, in cui un giovane di 30 anni, decisamente ipocondriaco, sembra ossessionato per avere la pressione diastolica alta, al punto che prima di chiudere la missiva alquanto caotica che ha redatto, copia e incolla, a beneficio del cardiologo che lo legge, i valori di ben 54 misurazioni di pressione fatte in un anno.
In alcune lettere, oltre al “chaos” fa la comparsa anche un po’ di “restituion”, là dove il soggetto, mentre si racconta nei suoi trascorsi di paziente cardiovascolare, allarga il discorso ai miglioramenti ottenuti, se ve ne sono stati, oppure amplia l’indagine al proprio nucleo familiare, in previsione di una valutazione del rischio per causa genetica. Ne è un esempio la parte finale della missiva dell’Ottobre 2018, in cui chi scrive chiede lumi a riguardo dei sintomi associati a extrasistolia. Arrivato al dunque, dopo aver elencato un po’ di dati della propria malattia, quest’uomo, che si dimentica di specificare quanto anni ha, esordisce dicendo che «i sintomi mi spaventano caricandomi di ansia», per concludere «in famiglia non ho casi di cardiomiopatie o anomalie elettriche, ma in linea paterna (nonno, bisnonno e papà) una familiarità per ictus».
La componete di “quest” in queste lettere sembra invece del tutto assente. Il che non stupisce: chi sta chiedendo consiglio su un problema di salute per il quale è dominato dall’incertezza, dall’ansia e dalla paura, non ha ancora sviluppato nessun anticorpo in grado di arrecagli giovamento di tipo psichico e spirituale. A dire il vero, qualcosa imparentabile con l’idea che la “quest” si traduca in una maggiore consapevolezza nei confronti di una malattia, anche come cure mediche che non si devono trascurare, lo si riscontra nella lettera citata come esemplificazione di “coping”, in cui la fidanzata prende in mano la situazione e obbliga il suo lui a sottoporsi a una serie di accertamenti, dato l’alto rischio cardiovascolare rappresentato dall’aorta dilatata.
Venendo alla tassonomia di Bury (“contingent”, “moral” e “core” narrative), le lettere al cardiologo sembrano poco adattabili a essa, in quanto questa tassonomia, a quanto abbiamo capito, sembrerebbe più modellata sulle considerazioni di un carviger, di un infermiere o di un medico e non a quelle di un paziente. Forse, lettere come quella della fidanzata appena citata, in cui chi scrive sta preoccupandosi dei problemi di salute di un proprio caro, potrebbero essere analizzate secondo questi criteri. Tuttavia, se proprio vogliamo analizzare i nostri testi secondo queste categorie, possiamo riscontrare, che si tratta di testi generalmente “contingent” – in linea con il linguaggio “fattuale” e “tecnico” utilizzato – con uno sfondo di “core” nell’espressione delle ansie e delle paure vissute. Manca il giudizio “moral”, per esempio nei confronti dei curanti, che magari si intuisce che vengano percepiti non completamente rassicuranti, ma non viene detto in maniera esplicita.
Da ultimo, stante la tassonomia di Lauren & Robinson, è bene partire dalla definizione di “coping”, in quanto, secondo questi autori, le narrazioni possono essere “progressive”, “regressive” o “stable” a seconda se viene o meno attivato il “coping”. Se viene attivato il “coping” le storie si aprono al futuro (“progressive”), diversamente ristagnano fra passato e presente (“regressive” e “stable”). Una storia “regressive” e “stable” è sicuramente quella che viene raccontata nella lettera del Gennaio-Febbraio 2014, in cui il 54enne che scrive scopre pian piano tutta una serie di fattori di rischio cardiovascolare senza sapere che cosa fare, da dove cominciare per porvi rimedio. Lo stesso vale per la lettera dell’Ottobre del 2018 redatta dal 30enne ipocondriaco, ossessionato dai valori della sua pressione diastolica. Ovviamente, in entrambi i casi, già il fatto di aver scritto una lettera al cardiologo di una rivista (e di un sito Internet) farebbe pensare a un inizio di “coping” e quindi a un possibile “progressive”, inteso come un breve passo in avanti nella consapevolezza del problema.
In generale, si tratta di narrazioni spesso “stable”, per l’ansia che paralizza o ossessiona – sappiamo che il pensiero ossessivo è uno dei fattori di disattivazione del “coping” – con però delle aperture (“progressive”), a volte, nella volontà di cercare risposte e fare qualcosa per migliorare la propria condizione – per esempio, curando l’attività fisica o migliorando lo stile di vita.
Come ultimo esercizio, se proviamo a rileggere le lettere sulla scorta delle otto parole chiave del fiore di Plutchink, ci sembrano del tutto assenti la “gioia” e, al lato opposto, il “disgusto”, mentre la “fiducia”, la “paura”, la “sorpresa”, la “tristezza”, la “rabbia” e l’“aspettativa”, in varie gradazioni, sono tutte presenti.

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