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di Alberto Ferrari

Un libro che s’interroga su importanti questioni scientifiche. A scriverlo è Oliver Sacks, un maestro del metodo introspettivo applicato alla scienza. Sacks è un neurologo di chiara fama e uno scrittore celebrato per le sue doti, tra le altre, di autoanalisi, con le quali sfrutta le occasioni propizie per parlare di sé in relazione alla neuroscienza

Presentato come l’ultimo libro a cui Oliver Sacks pose mano sapendo di avere i giorni contati a causa di un tumore al cervello, “Il fiume della conoscenza” è una piacevole riconferma del metodo di approccio narrativo e autobiografico con il quale il celebrato scrittore e il neurologo di fama mondiale è solito approcciare le sue opere di divulgazione scientifica. L’occasione di questo libro, edito in Italia da Adelphi come la sua restante produzione, è secondaria all’invito di un editore olandese, rivolto a Sacks e ad altri insigni scienziati e pensatori, a interrogarsi su alcuni dei grandi temi del dibattito scientifico in corso.
Sacks è un maestro nel riferirsi a sé in prima persona anche quando deve spiegare una teoria astratta. Si tratta, molto probabilmente, di una dote connaturata al suo modo di essere e, per conseguenza, di scrivere. Sta di fatto che, mettendosi in gioco in prima persona quando scrive, sembra più credibile agli occhi dei suoi appassionati lettori, ben disposti a immedesimarsi in un maestro che sfrutta le occasioni propizie per parlare di sé come di uno di loro, esseri umani dall’equilibrio e dall’esistenza precari. Nel parlare di sé senza risparmio per le ombre della propria esistenza, senza lesinare i momenti di umana debolezza, egli ci riferisce anche dell’attività di ricerca che ha svolto sul campo, approcciata con la curiosità scientifica e l’entusiasmo dell’eterno neofita che gli hanno trasmesso maestri come Darwin, Freud e James. Una triade di illustri scienziati che hanno speso parte della loro esistenza a fare esperimenti scientifici e, quando è capitato, li hanno fatti direttamente sulla loro persona.
Una riprova di quanto stiamo per dire è riscontrabile in questo libro nel capitolo “Una sensazione generale di disordine” in cui Sacks si cimenta con il problema di come l’essere umano avverte dolore all’improvviso. In caso di sofferenza a farne le spese è l’omeostasi, ovvero una condizione interna al nostro corpo che fa sì che vi sia sempre, fin dove possibile, un certo equilibrio e un discreto benessere al nostro interno. In caso di crisi acuta dovuta a una malattia o a un altro accidente, i centri nervosi si allertano come sentinelle il cui compito è dare l’allarme mandando impulsi in codice rosso al cervello affinché il malessere venga riconosciuto e tradotto in sintomi. L’interruzione e poi il ripristino della propria omeostasi Sacks la menziona in seguito a un intervento di embolizzazione, con il quale il suo chirurgo-radiologo gli aveva iniettato una sostanza destinata colpire a morte le cellule di una metastasi che aveva interessato il fegato. Dopo qualche giorno dall’intervento, l’ormai ottantunenne Oliver Sacks sapeva che altre cellule benigne, appartenenti al sistema immunitario, sarebbero intervenute per far piazza pulita delle cellule cancerogene mandate al tappeto dalla radioterapia. Glielo aveva anticipato il suo medico, preannunciandogli anche che il repulisti sarebbe stato doloroso. Ma il decimo giorno ci fu una svolta. Senza alcun accenno, i disturbi del sonno che lo facevano cadere in profonda catalessi quando meno se l’aspettava, la totale mancanza di appetito dovuta alla somministrazione di narcotici e lo stato edematoso causato dai farmaci radioterapici scomparvero all’improvviso, segno di una rinnovata omeostasi. «Riacquistai un po’ di appetito, l’intestino riprese a funzionare e tra il 28 febbraio e il 1° marzo ebbi una deliziosa, massiccia diuresi, perdendo quasi sette chili nel giro di due giorni. All’improvviso mi sentii di nuovo me stesso, pieno di energia fisica e creativa».
Non a caso, nel celebrare i propri maestri Sacks cita su tutti i tre scienziati per quali l’esperienza diretta è sempre stata, come dicevamo, altrettanto formativa e imprescindibile. Stiamo parlando di Darwin, Freud e James.
Il Darwin che Sacks cita in questo suo libro è forse un Darwin minore, appassionato di fiori e piante, che non entra nel merito dell’evoluzione delle specie umana e animale. È lo stesso che aveva osservato, facendo esperimenti in prima persona, che le piante anziché autoimpollinarsi, come si credeva fino a prima di lui, sono soggette alla fecondazione incrociata, proprio come accade negli animali e negli esseri umani, e che gli insetti agiscono da veicoli per l’impollinazione fra le specie, dando vita a nuove varianti floreali all’interno di una stessa specie, così pure a specie differenti.
Nel parlare del Freud neurologo, Sacks ci ricorda di come gli esperimenti sul sistema nervoso degli esseri invertebrati, cui Freud si dedicò con vero trasporto appena laureatosi in medicina, lo portarono a conclusioni che, di lì a poco, a chi raccolse e proseguì quelle ricerche valsero il premio Nobel. Freud nel frattempo era andato a fare esperienza clinica sugli umani, il nuovo fulcro d’interesse della sua speculazione teorica. S’era trasferito in Francia per partecipare agli studi sull’isteria avviati dal neurologo francese Charcot. Da questi studi parigini la psicanalisi prenderà l’avvio. A proposito della dottrina cosiddetta freudiana, basata sui concetti, tra gli altri, d’inconscio e di sogno, a Sacks non è certo sfuggito che Freud è uno degli antesignani dell’autoanalisi. Agli inizi della sua avventura psicanalitica lo psicologo viennese sottopose spesse volte se stesso ad autoanalisi, allo scopo di testare quanto andava sperimentando concettualmente e cominciava a osservare sui primi pazienti.
Di William James (1842-1910) neurologo americano di origini irlandesi, Sacks riferisce in un capitolo cui si dilunga a parlare di come il cervello delle specie viventi concepisce il tempo e velocità. Ebbene, ricordando gli studi pionieristici che il suo predecessore fece in questo campo, Sacks ci rammenta gli esperienti che James fece su se stesso assumendo sostanze psicotrope. James annotò come, sotto l’effetto di stupefacenti, il suo cervello registrasse un rallentamento del tutto peculiare. «Per William James gli esempi più notevoli di distacco dal tempo “normale” erano forniti dagli effetti di certe droghe. Lui stesso ne provò diverse, dall’ossido nitroso al peyote, e nel suo capitolo sulla percezione del tempo […] prosegue con un riferimento all’hashish. “Nell’ebbrezza causata dall’hashish” scrive “vi è una curiosa dilatazione della prospettiva temporale apparente. Pronunciamo una frase e, prima di arrivare alla fine, l’inizio sembra già appartenere a un passato definitivamente remoto. Ci immettiamo in una strada breve, ed è come se non dovessimo mai arrivare in fondo”».
Lungi dall’essere l’esaltazione del proprio io ipertrofico, malattia comune a molti sedicenti scrittori e a verbosi giornalisti, si potrebbe concludere che, nel caso di Oliver Sacks e dei suoi insigni maestri, il mettersi in gioco in prima persona è sempre una garanzia di onestà intellettuale.

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