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di Cristina Mazzantini

Più del 30% dei pazienti che assumono i farmaci ipotensivi non ha una pressione arteriosa realmente controllata anche se, al momento della misurazione, i valori sono nella norma. Lo afferma uno studio appena pubblicato, secondo il quale solo il monitoraggio pressorio delle 24 ore è in grado di evidenziare questa forma di ipertensione “mascherata” e correre ai ripari con una nuova cura

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Ipertensione arteriosa: sintomo o malattia? La seconda ipotesi è quella più accreditata. In Italia sono circa 13-15 milioni gli ipertesi, di cui il 65% ha oltre 60 anni. Il numero è stimato dai medici di Medicina generale sulla base dei pazienti visitati quotidianamente. Ricordiamo però che la patologia ipertensiva non è una prerogativa solo italiana. Negli ultimi vent’anni è evidente un aumento dei casi di ipertensione in tutti i Paesi occidentali (soprattutto gli Stati Uniti), dovuto sia al progressivo invecchiamento della popolazione, sia a uno stile di vita non corretto (a causa dell’alimentazione sbagliata, l’abuso di fumo e alcolici, lo stress e la sedentarietà). I dati epidemiologici confermano che l’ipertensione è una patologia tra le più frequenti nel mondo occidentale, anche se poco conosciuta. Ben vengano, quindi, studi come quello pubblicato recentemente su «European Heart Journal». È il primo a definire la prevalenza e le caratteristiche di “ipertensione arteriosa non controllata mascherata” (“masked uncontrolled hypertension” o MUCH) nei pazienti ipertesi in trattamento farmacologico di routine, ben controllati nella pratica clinica e spinti a ottenere valori di pressione arteriosa (PA) raccomandati. I dati della ricerca sono sorprendenti. Abbiamo chiesto a Valerio Sanguigni, professore aggregato di Medicina Interna all’università “Tor Vergata” di Roma e specializzato in cardiologia, di riassumerne e commentarne i risultati. “Innanzitutto è opportuno precisare che il gruppo di ricercatori ha analizzato retrospettivamente i dati, derivati dal Registro di Monitoraggio Ambulatoriale della Pressione Arteriosa (ABPM: acronimo di Ambulatory Blood Pressure Monitoring) della Società Spagnola di Ipertensione, e identificato i pazienti con PA trattata e controllata secondo le attuali linee guida internazionali (PA<140/90 mmHg). Tra i pazienti in terapia del registro spagnolo gli autori hanno identificato 14.840 con valori pressori trattati e controllati. Di questi 4.608 (31,1%) aveva il MUCH e nel 59,7% dei casi erano uomini (età media 59,4 anni). La prevalenza della patologia era significativamente più alta tra i pazienti con valori di PA borderline (130-139/80-89 mmHg) e a elevato rischio cardiovascolare (fumatori, diabetici, obesi)”, precisa il nostro esperto. “L’ipertensione non controllata mascherata è nella maggior parte dei casi (il doppio) legata ai picchi pressori notturni. In conclusione, la prevalenza dei valori alti di PA mascherata nei pazienti ipertesi ben controllati è elevata. Il monitoraggio clinico ovvero la misurazione dal medico o a domicilio non sono adeguati per ottimizzare il controllo dei valori di PA, a causa dell’elevata incidenza di picchi notturni. Questi risultati suggeriscono che l’ABPM dovrebbe essere effettuato di routine, soprattutto nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare e/o in quelli con valori pressori borderline”.

Erano prevedibili dati del genere?

“Certamente non così elevati. Da tempo si conosce l’esistenza dell’ipertensione mascherata, ma i dati si aggirano intorno al 15-20%”, chiarisce ancora il professor Sanguigni. “Come accennato, si tratta di uno studio retrospettivo che si basa su dati di un registro a cui affluiscono tutti gli ipertesi spagnoli. Quindi gli autori hanno avuto a disposizione un gran numero di informazioni. È sicuramente molto diverso rispetto a uno studio osservazionale prospettico dove per anni si seguono i pazienti, magari per verificare l’efficacia terapeutica o la presenza e la diffusione di una certa patologia”.

Questo è un limite?

“Solo in parte, perché il fenomeno potrebbe essere sopravvalutato o sottostimato a seconda di come si leggono i dati”.

Quali sono i vantaggi?

“Aver sottolineato l’esistenza di pazienti che in terapia, alla misurazione del medico e a domicilio, risultano avere valori pressori ben controllati e che invece sono affetti da ipertensione mascherata”, prosegue l’esperto. “Riuscire a individuare per tempo soggetti con l’ipertensione mascherata è determinante, perché si può ridurre il rischio di eventi cardiovascolari anche letali”.

Che fare per evitare tutto ciò?

“Sarebbe opportuno eseguire periodicamente nei pazienti ipertesi il Monitoraggio Ambulatoriale della Pressione Arteriosa (Holter della PA h 24)”.

Di che si tratta? 

“È un esame diagnostico fondamentale nella diagnosi e nella cura del paziente che registra le variazioni giornaliere della pressione. Ogni iperteso dovrebbe periodicamente eseguire un Holter pressorio per controllare realmente se la terapia anti-ipertensiva è efficace nell’arco di tutte le 24 ore. Sappiamo che la nostra pressione arteriosa varia in continuazione. Generalmente, il valore più basso si ha quando dormiamo (calo fisiologico della pressione) ma sale velocemente quando ci svegliamo. Il mantenimento di queste variazioni regolari del profilo pressorio è fondamentale per lo stato di salute di tutto l’organismo. Le emozioni, lo stress, lo sforzo fisico, fanno aumentare i valori della pressione arteriosa”, spiega il nostro cardiologo.

Le ultime linee guida sull’ipertensione arteriosa (pubblicate a giugno 2013) definiscono come “normale” una pressione arteriosa in cui i valori della sistolica (la massima) sono tra 120 e 129 e della diastolica (la minima) sono tra 80 e 84. È alta invece quando supera i 140/90.

In questo caso è necessario controllare la pressione con i farmaci? 

“Direi di sì. Però, rispetto al passato, oggi la decisione di intraprendere una terapia farmacologica e il tipo di trattamento non è più legata solo ai valori numerici della pressione arteriosa ma anche alla determinazione e quantificazione del “rischio cardiovascolare globale”, cioè alla probabilità di avere un evento acuto (infarto o ictus) entro 10 anni. In un paziente iperteso il rischio è calcolato in base alla presenza di alcuni fattori: precedenti eventi cardiovascolari (infarto, ictus), diabete, obesità, fumo, colesterolo alto, sindrome metabolica, familiarità ecc. Un’altra opportunità è rappresentata dal cosiddetto “stile di vita corretto”, utilizzato oggi non solo per controllare e ridurre la pressione ma anche per diminuire la dose e il numero di medicine anti-ipertensive”, sottolinea il professor Sanguigni.

Quale potrebbe essere uno stile di vita corretto?

“La sospensione del fumo, il dimagrimento nei soggetti in sovrappeso, una moderata assunzione di alcol, l’attività fisica, la riduzione di sale, l’aumento del consumo di frutta e verdura nella dieta, la riduzione del consumo di grassi saturi. Il problema è che a lungo termine l’aderenza al miglioramento di un corretto stile di vita è notoriamente basso. Per tale motivo, pur essendo molto utile, questo non può in alcun modo sostituire la terapia anti-ipertensiva che deve essere seguita per tutta la vita”.

In conclusione, ricordiamo che l’ipertensione è pericolosa e dannosa per il nostro organismo perché, da una parte, affatica il cuore, dall’altra, rende più dure e meno elastiche le nostre arterie.

È stato dimostrato che nei soggetti affetti da ipertensione il rischio di essere colpiti da infarto del miocardio è più del doppio rispetto ai normotesi, mentre il rischio di ictus cerebrale sarebbe addirittura otto volte maggiore. E ancora, con l’ipertensione aumenta il rischio di altre gravi malattie come l’insufficienza renale, le arteriopatie degli arti inferiori e il danno oculare da retinopatia.

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