di Angela Nanni
Invecchiare e farlo bene. È quello che ognuno si auspica per il proprio futuro. L’aspettativa di vita è sempre più alta. Il che però implica di dover fare i conti con diverse patologie strettamente legate alla vecchiaia. Il declino cognitivo e lo sviluppo di demenza rappresentano una grande sfida per la medicina in questo senso. Non a caso secondo il Rapporto dell’“Organizzazione Mondiale della Sanità” (OMS) e di “Alzheimer Disease International”, la demenza rappresenta una priorità mondiale di salute pubblica. Nel 2010 i dementi senili erano 35,6 milioni. Nel surriferito rapporto è previsto un aumento del doppio nel 2030, del triplo nel 2050, con 7,7 milioni di nuovi casi l’anno (1 ogni 4 secondi) e una sopravvivenza media di 4-8-anni. La stima dei costi è di 604 miliardi di dollari l’anno, con incremento progressivo e una sfida continua per i sistemi sanitari. «Tutti i Paesi devono includere le demenze nei loro programmi di salute pubblica. Sono necessari programmi e coordinamento su più livelli e tra tutte le parti interessate», è scritto.
Quando si parla di demenza s’intende una patologia cronico-degenerativa del sistema nervoso centrale. La principale manifestazione consiste in un deficit delle funzioni cognitive che si aggrava progressivamente con l’avanzare dell’età. Sviluppare demenza è tanto più probabile quanto maggiore è l’età del soggetto e il sesso femminile rappresenta un importante fattore di rischio per l’insorgenza della demenza da Alzheimer, la forma più frequente di demenza (circa il 60%). Le linee guida, pubblicate da OMS il 14 maggio 2019, sostengono l’attività fisica e uno stile di vita sano come strategie fondamentali per prevenire la demenza e il rischio di decadimento cognitivo in tutta la popolazione.
Uno studio condotto presso la Emory University di Atlanta e pubblicato sulla rivista «Journal of Alzheimer’s Disease», evidenzia come prestare attenzione a tutto ciò che può salvaguardare la salute cardiovascolare aiuti a preservarci dal decadimento cognitivo. Nello studio sono stati analizzati i dati relativi a 272 coppie di gemelli. I dati sono stati presi dal “Vietnam Era Twin Registry”, che raccoglie i dati di oltre 7000 gemelli fra tutti quelli che hanno combattuto in Vietnam. Delle 272 coppie di gemelli selezionati sono stati considerati sia gemelli omozigoti, cioè che condividono il 100% del patrimonio genetico, sia quelli eterozigoti, che ne condividono solo il 50%. Più nello specifico, il 61% del campione era omozigote, età media 55 anni. Tutti i partecipanti selezionati non soffrivano di patologie cardiovascolari e neppure presentavano segni di malattie neurodegenerative. «Gli studi sui gemelli sono un tipo speciale di studio epidemiologico che consente di esaminare l’influenza dei fattori genetici e dell’ambiente – spiega Viola Vaccarino, della Emory University di Atlanta, una delle autrici – compresa la suscettibilità alle malattie. Una somiglianza in eccesso tra gemelli all’interno di coppie rispetto a individui separati suggerisce il coinvolgimento di fattori familiari. Inoltre, una somiglianza più accentuata tra i gemelli identici rispetto ai gemelli eterozigoti suggerisce un coinvolgimento specifico dei fattori genetici. In questo studio, quando i gemelli sono stati analizzati come individui separati, lo stato di salute cardiovascolare si è rivelato in diretto rapporto con lo stato di salute cognitivo. L’analisi all’interno delle coppie ha rivelato che questa associazione è ampiamente spiegata da fattori familiari ma non da quelli genetici. Questo significa che fattori ambientali e comportamentali nella prima infanzia ed età giovanile sono determinanti sia per la salute del cervello che per la salute cardiovascolare». La professoressa Vaccarino ci ha tenuto a puntualizzare che: «lo studio ha confermato che se la salute cardiovascolare è migliore, lo è anche salute cognitiva, evidenziando che fattori familiari condivisi dai gemelli sono importanti per la salute di cuore e cervello». Quindi la promozione di uno stile di vita sano a partire da un’età precoce è molto importante. «Una cosa che dovrebbe ottenere i migliori risultati per promuovere non solo la salute cardiovascolare ma anche quella cognitiva».
Perché le donne sono più esposte al rischio demenza? Nello studio sono stati compresi solo i gemelli di sesso maschile. Il sesso femminile, tuttavia, costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo di demenza e non solo perché le donne sono più longeve degli uomini. A livello globale, infatti, i fattori di rischio cardiovascolari quali diabete di tipo 2 e ipertensione mostrano un preoccupante incremento nel sesso femminile. La menopausa, inoltre, pur essendo un fenomeno del tutto fisiologico, sembra spianare la strada al decadimento cognitivo. La ragione sta in una fluttuazione dei livelli degli estrogeni che precede la menopausa vera e propria e che aumenterebbe i disturbi cognitivi. Gli estrogeni, infatti, vanno a legarsi a recettori dislocati nel sistema nervoso centrale, favorendo polimorfismi che possono accrescere il rischio di sviluppare disturbi cognitivi.
Inoltre, secondo le stime disponibili, circa un terzo dei casi di demenza associati a sviluppo di malattia di Alzheimer sembrano collegati a fattori di rischio modificabili quali fumo di sigaretta, consumo di alcol, carenze vitaminiche, scarsa propensione a praticare regolarmente attività fisica, scarsa propensione a mantenere vive adeguate relazioni sociali.
Leggendo il libro “Cervello senza limiti” (Codice edizioni, 2019) – la prima inchiesta giornalistica italiana sul potenziamento cerebrale – si evince che per invecchiare bene sia da un punto di vista fisico sia mentale è importante fare una serie di investimenti sin dalla giovane età, tenendo sotto controllo tutti i fattori di rischio modificabili che possono aumentare il rischio di sviluppare problemi cardiovascolari e decadimento cognitivo. Chi si impegna a investire sulla propria salute in questi termini può contare su una vera e propria riserva cognitiva, temine con il quale si indica una forma di resilienza del cervello ai danni normalmente provocati da età, traumi, eventi acuti come ictus e invecchiamento.
«Questa forma di cuscinetto protettivo sarebbe di due tipi: già in passato uno studio, pubblicato nel 1988 sulla prestigiosa rivista “Annals of Neurology”, dimostrava che il cervello di queste persone era più pesante e contava su un maggior numero di neuroni – ha spiegato l’autrice del libro, Johann Rossi Mason – Il che ha rafforzato l’idea che un maggior numero di cellule nervose costituiscano una sorta di ‘buffer’ da mettere in campo per compensare, almeno temporaneamente, i danni neurologici. Il secondo tipo è dato dalla quantità di connessioni tra i neuroni che determinano la plasticità cerebrale. Quoziente intellettivo in età infantile e scolare, grado di istruzione e numero di anni trascorsi a studiare, status socioeconomico e lavorativo, qualità delle esperienze extra lavorative sono i fattori principali che agirebbero in maniera cumulativa. Più fattori positivi, maggiore riserva».
Cosa fare, dunque, per costruirsi negli anni la propria riserva cognitiva? «Un lavoro di ricerca ha analizzato 22 studi sul tema – puntualizza Mason – 10 su 15 hanno confermato un effetto protettivo dell’istruzione, 9 su 12 un effetto positivo dato dalla carriera professionale e 6 su 6 hanno confermato il potere benefico delle attività ludiche nel costruire la riserva cognitiva. Tutti felici dunque? Non proprio. Purtroppo a un certo punto la riserva si esaurisce, in un momento chiamato ‘punto di inflessione’. A questo punto, in ogni caso, i sintomi tendono a manifestarsi comunque e in maniera improvvisa, più severa e rapida».
Perché l’esercizio fisico è così importante per salute cognitiva e cardiovascolare? «Un moderato esercizio aerobico ha effetti positivi su corpo e cervello – spiega ancora Johann Rossi Mason – A praticare regolare attività fisica dovrebbero essere soprattutto gli over 60, che invece a causa dell’età tendono a impigrirsi. L’esercizio aerobico aumenta intelligenza e riflessi, mentre l’allenamento di resistenza agisce su memoria e funzioni esecutive». Sappiamo che l’esercizio fisico, soprattutto dopo i 60 anni attiva la funzione di pompa dei vasi sanguigni, migliorando così l’afflusso di sangue verso il cervello, favorendo così fra le altre cose, il rilascio di BDNF, il fattore di crescita che ripara i neuroni danneggiati. Chi fa sport regolarmente, inoltre, può contare su un migliore rilascio di ormoni del benessere, in grado di prevenire la depressione, altro fattore di rischio per lo sviluppo di demenza.