di Riccardo Segato
Un’importante istituzione medica americana mette in guardia dai pericoli che derivano da una dieta ricca di grassi saturi. Ai grassi saturi di origine animale, i ricercatori suggeriscono di preferire i vegetali perché a più alta presenza di Omega-6 e acido linoleico, che rappresentano un presidio salutare per le nostre arterie. Tutti o quasi i grassi vegetali vanno bene fuorché l’olio di cocco, a causa dell’enorme concentrazione di grassi saturi. Tanto per capirci, l’olio di cocco ne contiene il doppio rispetto al lardo di maiale
I grassi saturi rappresentano una grave minaccia per le nostre arterie. La conferma viene dall’alto numero di morti cardiovascolari che si registrano nei Paesi che fanno largo uso di questi macronutrienti. Negli Usa, per esempio, dove il consumo di cibo a forte concentrazione di grassi saturi è fra i più alti al mondo, un decesso ogni tre è causato da infarto, da ictus o da un’altra malattia cardiovascolare. Un numero di morti che raggiuge la cifra di 808 mila l’anno (dato del 2014) e che costa qualcosa come 316 miliardi di dollari, fra spese sanitarie e mancata produttività.
Le maggiori fonti di queste sostanze dannose per le arterie sono per lo più le carni rosse (bovine e suine) e i prodotti caseari. Si tratta di cibi che favoriscono l’aumento del colesterolo cattivo (LDL) e provocano l’arteriosclerosi. Tuttavia, contrariamente a quanto si crede comunemente, la maggiore percentuale di grassi saturi si trova nell’olio e burro di cocco. Su 100 g di questo prodotto, 82 sono di grassi saturi. Lo stesso quantitativo di burro vaccino ne contiene 63, di lardo di maiale 39 e di olio di palma 49.
L’olio di cocco è un estratto ricavato dalla polpa bianca della noce di cocco, il frutto tipico della palma tropicale. L’olio di cocco viene abitualmente consumato sia nei Paesi produttori sia in altri che con i primi hanno una lunga tradizione di scambi culturali e commerciali. Fatto sta che, secondo un’indagine recente, in Paesi come gli Stati Uniti, il 72% della popolazione americana, così come il 36% dei nutrizionisti, è ancora convinta che l’olio di cocco sia un condimento salutare e faccia dimagrire, ragion per cui ne fa largo uso. Questa credulità diffusa è sostenuta da una pubblicistica in cui i fini commerciali non sono ancora stati smascherati da una puntuale informazione medica e giornalistica. A quanto pare, i primi studi sull’olio di cocco avevano evidenziato la presenza di trigliceridi a catena media, che sarebbero efficaci ad accelerare le funzioni del metabolismo e, di conseguenza, a favorire il calo ponderale. Senonché il fenomeno era ampiamente sopravvalutato. Studi successivi hanno infatti dimostrato che nell’olio di cocco i trigliceridi a catena media sono presenti in modeste quantità. Non più del 15%. Il che non basta a ridurre il peso corporeo. In definitiva, l’olio di cocco è un ottimo emolliente per pelle e capelli ma per niente efficace, anzi dannoso, per la dieta.
Uno studio che cerca di fare chiarezza sull’intera questione è stato pubblicato di recente dall’“American Heart Association” (AHA). Questa importante istituzione scientifica americana ha da poco dato alle stampe un articolo in cui, revisionando svariati studi clinici che hanno misurato l’impatto dei grassi saturi sulla popolazione, è arrivata alla conclusione che il colesterolo cattivo nel sangue si abbassa del 30% se si riduce drasticamente la presenza di tutti i grassi saturi a favore di quelli polinsaturi. Si tratta dello stesso risultato che normalmente viene garantito dalle statine, ovvero dal farmaco più indicato per normalizzare i grassi nel sangue. Non solo, risultati altrettanto confortanti si ottengono optando per una dieta in cui la carne rossa è sostituita drasticamente con carboidrati a base di cereali integrali, affiancati da un consumo generoso di frutta e verdura. Da notare che la presenza di cereali integrali è fondamentale nella scelta dei carboidrati. Là dove vi è un consumo di carboidrati prodotti con farine raffinate o, comunque sia, ricchi di zuccheri e di altri micronutrienti che innalzano i valori di glicemia, si è visto che le diete alternative non hanno portato a risultati degni di nota.
In particolare, gli autori dello studio hanno giudicato positivamente le evidenze secondo le quali i condimenti di origine vegetale a forte presenza di grassi polinsaturi Omega-6 sono i migliori per l’alto contenuto di acido linoleico, la cui azione anticolesterolo è sicuramente molto efficace. L’olio di cartamo, una pianta erbacea simile allo zenzero, con 75 g di acido linoleico per ogni 100 g di prodotto, da questo punto di vista è sicuramente il miglior condimento. Seguono l’olio di girasole (66 g), l’olio di soia (50 g), il burro d’arachidi (32 g) e l’olio d’oliva (10 g). Non è un caso se, in coda a questa classifica, vi sia il burro vaccino (3 g) mentre la maglia nera spetta, more solito, all’olio di cocco (2 g).
In accordo con le raccomandazioni dell’AHA, i grassi saturi non devono superare il 6% della nostra dieta giornaliera. Ciò significa che gli uomini non devono mangiarne più di 30 g al giorno, le donne non più di 20.
Un’indagine a suo modo esemplare sui benefici della dieta in cui i grassi saturi sono messi in competizione con quelli polinsaturi è stata portata a termine al Wadsworth Center di Los Angeles, un ospedale per veterani. Stando ai dati forniti dagli autori, s’è trattato di uno studio per il quale sono stati arruolati complessivamente 846 uomini di 65 anni, il 30% dei quali affetti da malattie cardiovascolari. Il gruppo di controllo si è alimentato con la dieta sperimentale, a base di olio di girasole, di soia, di cotone e di mais, tutti ad alto contenuto di acido linoleico, mentre gli altri pazienti hanno continuato a cibarsi ricorrendo a una dieta dominata dai grassi saturi. I pasti sono stati serviti in sale da pranzo separate, alfine di garantire la massima aderenza dei due gruppi ai rispettivi regimi alimentari. Dopo i primi anni, il gruppo che ha aderito alla dieta sperimentale ha ridotto il colesterolo LDL di circa il 13%. Il che ha comportato un 20% in meno in termini di eventi cardiovascolari primari e secondari, morti improvvise comprese, mentre il gruppo del cibo tradizionale non ha riscontrato miglioramenti di rilievo. Alla fine del periodo di osservazione, durato complessivamente otto anni, il primo gruppo ha segnato un calo significativo dell’incidenza di tutte le malattie cardiovascolari. Basti pensare che, in questi pazienti, l’infarto del miocardio, l’ictus e le altre affezioni cardiovascolari sono calate complessivamente del 34%. In particolare, la presenza dell’ictus ischemico, dovuto alla formazione della placca arteriosclerotica, è calata del 41%.
Con l’Oslo Diet-Heart Study, altro studio considerato nella meta-analisi dell’AHA, i risultati non sono stati molto diversi, seppur la gestione dei pazienti è stata differente. Dei 412 pazienti assoldati, tutti con precedenti di malattia del miocardio, si sono istituiti due gruppi in maniera del tutto casuale. I pazienti del gruppo di controllo e le loro mogli sono stati cooptati in corsi di cucina a domicilio durante i quali dei nutrizionisti hanno insegnato loro a preparare i cibi sostituendo i grassi saturi con quelli polinsaturi di origine vegetale. Gli altri pazienti sono andati avanti ad alimentarsi in modo non controllato, ovvero a cibarsi di prodotti contenenti grassi saturi, dato lo standard diffuso. Ebbene, alla fine del periodo di osservazione, solo i pazienti del primo gruppo hanno registrato un calo significativo (-29%) di danni del miocardio, di nuovi casi di angina pectoris e di morti improvvise. Quelli del secondo gruppo, no.
Invece, in uno studio del British Medical Research Council, anch’esso menzionato dalla meta-analisi statunitense, non si è andati al di là di un modesto pareggio. In questo studio, una dieta a base di olio di soia (ad alto contenuto di grassi polinsaturi e acido linoleico) è stata contrapposta alla solita dieta a base di grassi saturi, quindi si sono osservate le evoluzioni nei 393 pazienti maschi arruolati. I pazienti avevano una caratteristica comune. Erano tutti affetti da pregressa malattia del miocardio. Dopo 4 anni di indagine, 62 dei 199 pazienti che hanno fatto uso della dieta a base olio di soia hanno manifestato continui disturbi del miocardio. Un risultato simile a quello ottenuto dai pazienti che si sono alimentati di grassi saturi: 74 su 194. Come si vede, la differenza fra i due gruppi, in termini di peggioramento della malattia, non è stata statisticamente significativa (-18% a favore del gruppo dei virtuosi dell’olio di soia). Forse l’olio di soia da solo non fa miracoli, sembra di poter dire. Meglio allora combinarlo con altri prodotti salutari per ottenere risultati più incoraggianti.