Siediti su un tappetino da ginnastica in un ambiente appartato. Chiudi gli occhi, rilassati e ripeti sottovoce una parola, una frase stringata o una breve cantilena. Quando irrompono dei ricordi o altro che cercano di riempire il vuoto di pensiero che stai creando intorno a te, lascia che questi scampoli di significati scorrano senza opporre resistenza. Vedrai che verranno e se ne andranno senza distoglierti da quello che stai per fare. Una seduta di mindfulness comincia più o meno così. Si tratta di una pratica mutuata dal buddhismo, in cui l’assenza di pensiero e i muscoli che si rilassano sono funzionali ad abbassare l’ansia e lo stress. A patto che ogni esercizio duri almeno mezz’ora, per alcuni anche meno. Non solo. Ricerche scientifiche hanno rivelato che quando la mente e il corpo si abbandonano, simulando una condizione simile al riposo notturno, anche la pressione sanguigna diminuisce. Di riflesso, l’infiammazione e la costrizione dei vasi arteriosi rallentano. Si tratta di benefici mediati dall’ossido nitrico, una molecola che l’organismo produce per gestire apertura e restringimento dei vasi sanguigni: un meccanismo dal quale dipendono i valori di pressione arteriosa.
È uno dei motivi per cui, ciclicamente, vengono fatti studi che cercano di misurare quanto la mindfulness sia funzionale al controllo dell’ipertensione. La verità è che se di fronte a una malattia asintomatica come l’ipertensione si può intervenire senza ricorrere ai farmaci, sarebbero in molti a aderirvi, se l’opzione è quella di risparmiarsi una o più medicine. È un’ipotesi che l’alto tasso di abbandono delle cure farmacologiche di cui parlano i dati sull’ipertensione non fa che confermare. Tanto per stare all’Italia, dei 16,6 milioni di adulti con ipertensione, solo il 62% ha ricevuto una diagnosi e il 54% un trattamento, ma solo il 28% riesce a curarsi grazie a una terapia adeguata, alla quale aderisce con consapevolezza e costanza quotidiana.
Ciò detto, la mindfulness è davvero alternativa alle cure mediche nell’annullare gli effetti dannosi dell’ipertensione che, come sappiamo, se combinati con colesterolo alto, diabete e sovrappeso danno vita a una carica esplosiva pronta a deflagrare inopinatamente in infarti del miocardio o ictus, tanto per restare alle conseguenze più gravi e più note? Secondo la letteratura sull’argomento, la mindfulness da sola non basta per mettere al riparo gli ipertesi già di primo livello (con ≥130 mmHg di sistolica e ≥80 mmHg di diastolica) ma è sicuro che è moderatamente efficace. Il che significa che se praticata insieme alla terapia farmacologica può contribuire al miglioramento dei valori pressori nel caso degli ipertesi, oppure a prevenire la malattia nel caso dei normotesi. Secondo una metanalisi pubblicata nel 2020 su «Hypertention», una delle riviste che fanno scuola sulla malattia omonima, in base a dodici studi in cui la mindfulness è stata applicata nei casi controllo riferiti ad oltre 800 soggetti considerati complessivamente, la pressione sistolica e diastolica ambulatoriale si sono ridotte in media di 6,64 mmHg la prima e di 2,47 mmHg la seconda. Valori che però non sono stati confermati nelle misurazioni extra-ambulatoriali, ovvero nelle automisurazioni riferite dal paziente. Il che fa suppore un andamento ancora troppo precario dei valori, che impedisce di accampare diritti assoluti alla mindfulness come terapia antipertensiva autonoma. Inoltre, nulla sappiamo degli effetti diretti che la mindfulness ha sull’andamento della pressione durante il riposo notturno. Si tratta di un dato che gli studi considerati non sono riusciti a valutare, tuttavia, essendo un dato importante, senza il quale è impossibile trarre delle conclusioni sull’andamento della pressione nell’arco della giornata completa, ecco un altro motivo che ha spinto i ricercatori alla cautela facendoli propendere per la conclusione che la mindfulness ha complessivamente un effetto moderatamente efficace sulla pressione arteriosa, che tuttavia non giustifica la scelta di considerarla un’alternativa alla terapia farmacologica, per lo meno nei casi di malattia stabile. È invece caldeggiata nei grandi ipertesi, nei quali tutto ciò che è efficace concorre al miglioramento dei valori apicali. Ovviamente non basta una seduta per vedere i benefici. Negli studi passati in rassegna dalla metanalisi di cui sopra, il periodo mediano di applicazione è stato stimato in otto settimane, a fronte di un’applicazione giornaliera di almeno mezz’ora.