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di Elisabetta Bramerio

È l’aritmia più diffusa. Colpisce oltre mezzo milioni di italiani, con 60 mila nuovi casi ogni anno. Il rischio più frequente per i pazienti che ne sono affetti, la maggioranza dei quali sono over 65, è l’ictus cardio-embolico. Allo studio nuove strade terapeutiche e preventive. Diagnosticare una fibrillazione atriale è importante. La malattia, se trascurata, può evolvere con facilità nell’occlusione di un’arteria che, quando si tratta di una coronaria, porta a un infarto miocardico

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Se il ritmo cardiaco è regolare, ogni impulso elettrico svolge diligentemente il suo compito, che è quello di provocare la contrazione del muscolo cardiaco per costringere quest’ultimo a pompare sangue in tutto il corpo. Nel caso della fibrillazione atriale, si attivano più impulsi elettrici irregolari e frammentari che impediscono agli atri di espellere tutto il sangue, rimanendo in parte all’interno e causando la formazione di coaguli. Questo, grossomodo, il caos che regna a livello cardiaco in presenza di fibrillazione atriale, più precisamente a ridosso del nodo seno atriale, che viene considerato la centralina elettrica del cuore.

Come accorgersene? Tutti i pazienti che hanno palpitazioni o un battito cardiaco irregolare è bene che si pongano il problema. Per diagnosticare una fibrillazione atriale basta poco. E’ sufficiente un elettrocardiogramma, eventualmente seguito da un esame holter per monitorare il ritmo cardiaco nell’arco delle 24 ore. Tuttavia, non tutti i pazienti presentano gli stessi sintomi. C’è chi manifesta palpitazioni con la sensazione del cuore in gola, chi invece è maggiormente soggetto a debolezza, chi a stordimento e stato confusionale, chi accusa difficoltà respiratorie e chi invece un persistente dolore toracico. Va da sé che la presenza di più sintomi è un fatto tutt’altro che raro. Alcuni soggetti non evidenziano nessun sintomo e vivono la malattia a loro insaputa fino a che non vengono per caso sottoposti ad un esame obiettivo. Da questi esami si scopre da quale forma di fibrillazione atriale sono affetti. C’è la forma parossistica, che si manifesta quando il battito torna alla regolarità spontaneamente: questo tipo di fibrillazione è associato a sintomi transitori e di durata variabile, da qualche minuto fino a diverse ore. Poi c’è la forma persistente, in cui il battito irregolare perdura fino a quando non viene trattato.

La fibrillazione atriale resta di gran lunga la forma di aritmia cardiaca più diffusa. Ne è affetto l’1-2% della popolazione, una percentuale che arriva alla soglia del 5% dopo i 65 anni, essendo una patologia correlata con l’età avanzata e destinata a crescere, nella popolazione totale, come morbosità, giacché la vita media si sta allungando.

Non tutte le fibrillazioni portano agli stessi esiti. Anzi, in alcuni casi sono innocue, quando si manifestano come un evento sporadico senza causare danni, se si esclude la fastidiosa sensazione di battito accelerato.

Hanno maggiore probabilità di riscontrare la fibrillazione atriale tutte le persone con problemi cronici di salute, non necessariamente di natura cardiovascolare. La fibrillazione atriale può verificarsi in presenza di ipertiroidismo, diabete mellito, ipertensione, malattie del sistema respiratorio, ernia iatale e obesità. Tuttavia, sono esposti a maggior rischio coloro che sono affetti da patologia cardiovascolare, che hanno parenti con questa malattia e coloro che sono già stati sottoposti a intervento cardiochirurgico. Poi ci sono i fattori ambientali. Tra questi ultimi, vengono segnalati come più frequenti una smodata ingestione di alcol, gli eccessi di fumo e caffeina, il consumo di droghe e l’assunzione di alcuni farmaci, la presenza di stati d’ansia e i disturbi del comportamento che provocano una marcata alterazione dell’equilibrio psicofisico.

Diagnosticare una fibrillazione atriale è importante. La malattia, se trascurata, può evolvere con facilità nell’occlusione di un’arteria che, quando si tratta di una coronaria, è un infarto miocardico. La diagnosi viene fatta dopo accurata visita cardiologica che prevede la rilevazione del polso, l’elettrocardiogramma (ECG) e l’elettrocardiogramma dinamico (Holter), eventualmente completati da una radiografia del torace e da un ecocardiogramma.

La terapia da adottare dipende dal tipo di fibrillazione. Nella forma parossistica si predilige il trattamento farmacologico. Vi sono farmaci utilizzati allo scopo di rallentare il ritmo cardiaco, come Beta-bloccanti e calcio-antagonisti, e farmaci antiaritmici per normalizzarlo.  I farmaci anticoagulanti, invece, si usano per impedire la formazione di trombi o emboli.

Il trattamento elettrico consiste nella cardioversione, una tecnica non invasiva, che sottopone il paziente a una scarica elettrica, detta shock, allo scopo di azzerare il ritmo cardiaco disordinato e ripristinare il battito regolare, a origine dal nodo seno atriale. Questo trattamento viene preferito se la fibrillazione è di tipo permanente. Se, tuttavia, alla base della fibrillazione si riscontra una cardiopatia o una patologia di altra natura, bisogna prima cercare di risolvere la condizione di base, con un approccio terapeutico scelto caso per caso. E’ questo il passo fondamentale per aiutare il ripristino del normale ritmo cardiaco. La terapia mirata messa in atto per curare la fibrillazione atriale diventa di supporto e mantenimento alla risoluzione delle cause scatenanti.

Se la cardioversione non è indicata, ovvero se il paziente è affetto da una cardiopatia che altera la struttura del cuore, come per esempio la valvulopatia, si ricorre all’ablazione trans-catetere con radiofrequenza. Questa è una tecnica invasiva. La si pratica mediante un catetere che viene introdotto fino al cuore. Attraverso il catetere viene rilasciata una scarica a radiofrequenza che va ad agire sull’area di miocardio che genera la fibrillazione atriale permettendo il ripristino del regolare ritmo cardiaco a partenza dal nodo seno.

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