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di Riccardo Segato
Il grasso in eccesso intorno al cuore è sospettato di accelerare l’arteriosclerosi e la calcificazione coronarica, anticamere dell’infarto. Una conferma viene da uno studio portato a termine negli USA e condotto su una campione di donne in menopausa, per le quali il rischio di malattie cardiache diventa più alto rispetto al periodo di fertilità

La prima causa di morte nella donna al sopraggiungere della menopausa è la malattia coronarica, la cui espressione più frequente è l’infarto del miocardio. Ciò accade perché, dopo la menopausa, ovvero passati i 50 anni, i valori degli estrogeni calano sensibilmente. Gli estrogeni sono gli ormoni femminili da cui dipendono sia la fertilità sia gli effetti protettivi sulla salute di ossa, muscoli e cuore. Nello specifico della malattia coronarica e dell’infarto, l’ostruzione delle arterie coronarie (che impedisce il corretto flusso di sangue ossigenato nel miocardio) è dovuta all’aumento dei grassi nel sangue, come i trigliceridi e le lipoproteine di colesterolo, all’aumento del grasso viscerale, che si concentra nell’addome ed è tipico nelle persone in sovrappeso e obese, e all’aumento del sottile strato di grasso che circonda il cuore. Anzi, proprio quest’ultimo, data la centralità dell’organo in cui si manifesta, è ormai considerato più pericoloso di ipercolesterolemia e grasso addominale nella patogenesi della malattia coronarica. A dire il vero, ci sono due tipi di grasso cardiaco, quello epicardico, racchiuso fra il tessuto cardiaco (miocardio) e la membrana che l’avvolge (pericardio), e quello paracardico, riscontrabile esternamente al pericardio.

Secondo una ricerca dell’Università di Pittsburgh di recente pubblicazione, è proprio la presenza di quest’ultimo che, non avendo alcun ruolo protettivo riconosciuto, sembra destinato a fare danni, mentre il grasso epicardico ha una sua utilità: fa da carburante per l’attività elettrica del cuore. Da una ricerca eseguita su un campione di quasi 500 donne (478) accumunate dall’età media di 51 anni, dall’essere in fase di menopausa e dal non assumere (ancora) nessuna terapia di supporto ormonale, s’è visto che là dove esami diagnostici accurati hanno evidenziato la presenza di grasso paracardico in quantità borderline, nel 45% dei soggetti si è riscontrata la presenza di calcificazione coronarica. Non solo, la presenza di questo grasso era associata con il declino dell’ormone estradiolo, l’estrogeno più potente nelle donne, la cui scomparsa coincide con la fine della menopausa. La conferma viene da quanto si legge nello studio citato, apparso a inizio 2017 sul “Journal of the American Heart Association”: «Abbiamo dimostrato di recente [il riferimento è a uno studio maggiore, condotto su 3302 partecipanti donne, di cui lo studio oggetto dell’articolo ha preso in esame il sottogruppo di quasi 500 soggetti, ndr] che le donne in menopausa hanno i valori di grasso epicardico e paracardico più alti delle donne in pre-menopausa, indipendentemente dall’età, dalla razza, dall’obesità e da altri fattori di rischio potenziali. Da notare che sono i valori borderline di grasso paracardico e non di quello epicardico a essere associati in maniera significativa al calo dell’ormone estradiolo nelle donne di mezz’età. Ciò suggerisce un ruolo potenziale della menopausa e delle alterazioni degli ormoni sessuali nell’accumulo del grasso paracardico». Entrambi questi grassi sono riscontrabili soltanto ricorrendo alla tecnologia diagnostica. In altre parole, non ci sono sintomi, né tanto meno segnali che facciano presagire la loro presenza. «Siccome sia il grasso epicardico sia quello paracardico sono correlati a valori borderline di BMI [Indice di massa corporea, ndr] e di grasso addominale – ci spiega il primo autore dello studio in questione, il dottor Samar R. El Koudary, in forze al Dipartimento di Epidemiologia dell’Università di Pittsburgh – è presumibile che le donne in sovrappeso od obese abbiano un deposito di questi grassi più consistente rispetto alle donne normopeso. Sappiamo anche che le donne asiatiche tendono ad accumulare più grasso viscerale e più grasso cardiaco rispetto alle caucasiche, perciò l’etnia è un altro importante fattore di rischio. La connessione fra grasso cardiaco e menopausa fa riferimento a una ricerca ancora in fase iniziale. Il che suggerisce di non trarre conclusioni affrettate su questo rapporto».

Che si tratti di un grasso anomalo, lo si evince anche per altra via. Entrambi, sia il grasso epicardico sia il grasso paracardico, sarebbero insensibili all’effetto dell’esercizio fisico, contrariamente ai valori lipidici del sangue e a quelli viscerali, per i quali una delle migliori medicine, insieme alla dieta, sta proprio nel fare attività aerobica quotidiana, i famosi 30 minuti al giorno raccomandati nelle linee guide per la cura di molte malattie, non solo cardiovascolari. Su questo abbiamo chiesto lumi al nostro referente: «Ci sono ancora pochi studi su questi argomenti, la maggior parte dei quali sono stati condotti su scale la cui rappresentatività è troppo piccola per poter generalizzare. Tuttavia, i dati in letteratura suggeriscono che la riduzione del grasso cardiaco è possibile attraverso la perdita di peso con o senza un il supporto di un’attività motoria di affiancamento. Non esistono studi clinici che hanno avuto per oggetto la riduzione del grasso cardiaco, ragion per cui dobbiamo aspettare i risultati di indagini mirate e proposte su scala più ampia, prima di poter definire le strategie di intervento migliori per la riduzione del grasso che si concentra intorno al cuore».

Un altro modo che consente la riduzione del grasso cardiaco è l’intervento di chirurgia bariatrica, che viene praticato agli obesi alfine di ridurre lo stimolo della fame e l’assorbimento calorico. «I dati a nostra disposizione dicono che l’impatto più significativo sul grasso cardiaco è rappresentato dalla dieta – precisa il dottor Koudary – Gli studi futuri dovrebbero darci maggiori informazioni sul tipo di dieta e sui potenziali meccanismi attraverso i quali la dieta riuscirà ad andare a segno su questo tipo di grasso».

C’era un dato che il dottor Koudary e colleghi hanno dovuto risolvere. E cioè che i soggetti analizzati che presentavano una calcificazione coronarica ≥10 (vale a dire, un valore di rilievo) erano anche i soggetti che manifestavano, insieme a valori borderline di grasso paracardico, tutti gli altri potenziali fattori di rischio cardiovascolare. Stiamo parlando delle donne più anziane, in post menopausa, per lo più obese o, comunque, con un BMI (indice di massa corporea) più pronunciato, che in aggiunta avevano valori alti di pressione sistolica, così come di lipoproteine LDL, di trigliceridi e di altri indicatori ematici di importanza cardiovascolare. In aggiunta, questi soggetti erano scarsamente solerti sul piano dell’attività motoria. Da ultimo ma non per importanza, le pazienti sotto osservazione presentavano varie comorbidità e per questo motivo erano in cura farmacologica. Dunque, come sempre avviene quando una ricerca si prefigge di studiare un singolo elemento, sono stati fatti degli aggiustamenti nella classificazione dei soggetti in modo che l’età, l’etnia, la condizione di menopausa e gli altri fattori di rischio che abbiamo appena ricordato non mischiassero le carte, impedendo di isolare i valori del grasso paracardico per metterli in rapporto diretto con la calcificazione coronarica. Dal confronto è emerso che il grasso paracardico è responsabile della calcificazione coronarica quanto più bassi sono i valori dell’ormone estradiolo, e questo indipendentemente dall’età anagrafica, dalla condizione di menopausa, dall’etnia, dall’obesità e da altri fattori di rischio cardiovascolare. Simili effetti non sono stati riscontrati per i valori del grasso epicardico, che così, dal punto di vista del suo impatto sulla calcificazione coronarica, risulterebbe piuttosto ininfluente.

Qual è l’importanza di un corretto stile di vita per la prevenzione dei danni causati dalla presenza di valori troppo alti del grasso paracardico? Lo chiediamo al primo autore dello studio citato. «La risposta non può che essere di tipo speculativo, per così dire. Ho già accennato che la ricerca su questo tipo di sostanza lipidica è ancora in fase iniziale. Direi che vale la regola secondo la quale un corretto stile di vita è basilare per la prevenzione di tutte le malattie cardiovascolari. Inoltre, controllando il peso e facendo attività aerobica si ottiene un impatto significativo sui fattori di rischio che favoriscono la presenza dei grasso cardiaco nelle sue diverse accezioni».

C’è ancora un aspetto da chiarire, giacché la domanda sorge spontanea, tanto più che abbiamo l’opportunità di rivolgerla direttamente al primo autore dello studio. E negli uomini? Esistono valutazioni sulle conseguenze del grasso cardiaco, oppure, data la stretta connessione, per esempio, fra grasso paracardico e calo degli ormoni nelle donne in menopausa, si tratta di una questione che si declina solo al femminile? «Studi specifici come quello che abbiamo condotto noi, che abbiano esteso l’indagine agli uomini e che condividano la nostra classificazione del grasso pericardico, sono veramente molto limitati, pertanto non sono in grado di rispondere alla sua domanda». Non ci resta che aspettare che qualche gruppo di ricercatori cardiovascolari sottoponga ai dovuti controlli gli uomini e ci metta a parte dei risultati.

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