“Morte” è una parola strana, misteriosa, bella e spaventosa, poco socievole, suscettibile di troppe definizioni per poter ricadere sotto una sola delle molte. Ciascuno dà la propria: il poeta, il filosofo, il teologo, l’adolescente, perfino il medico, ed in particolare il cardiologo.
Si definisce morte cardiaca improvvisa la morte per causa cardiaca (confermata dall’esame autoptico) entro un’ora dall’esordio dei sintomi di una persona che nelle 48 ore precedenti non abbia presentato alcun segno di patologia.
Ciò che accade è l’arresto improvviso della circolazione, che può essere a sua volta provocato da un vero e proprio arresto cardiaco, cioè un’interruzione completa dell’attività elettrica e meccanica del cuore (asistolia), oppure da una fibrillazione ventricolare, cioè una contrazione dei ventricoli velocissima e scoordinata, del tutto inefficace a spingere il sangue nell’apparato circolatorio.
La conseguenza più grave e pressoché immediata dell’arresto circolatorio, quella che in ultima analisi è responsabile della morte, è l’interruzione dell’apporto di sangue al cervello, con il paziente che cade a terra privo di forze, di tono muscolare, e di coscienza.
In pratica, la manifestazione clinica è uno “svenimento”, del tutto improvviso o talvolta preceduto da sensazioni di malessere, stordimento, ronzio alle orecchie, offuscamento della vista o sensazione di palpitazione, da cui il paziente non si riprende, se non, eventualmente, per perdere nuovamente coscienza, e comunque morire – come si è detto – entro un’ora dall’inizio dei sintomi.
Le cause della morte improvvisa possono essere diverse, e dipendono anche dall’età del paziente.
Al di sotto dei 35 anni, ovvero nei bambini, negli adolescenti e nei giovani adulti, predominano le cause genetiche, che possono causare sia malattie del muscolo cardiaco (cardiomiopatie), sia malattie del sistema elettrico del cuore. Invece, tra le malattie acquisite che possono portare a morte improvvisa in età giovanile vanno ricordate le miocarditi, cioè infiammazioni e infezioni del muscolo cardiaco. In particolare, le morti improvvise cardiache entro il primo anno di vita fanno parte del gruppo eterogeneo di problematiche raggruppate sotto l’etichetta di “morte in culla”.
Per i soggetti di età superiore ai 35 anni, la causa più frequente di morte cardiaca improvvisa è la malattia coronarica. Anche per questa esiste una predisposizione genetica, ma anche i fattori ambientali (l’alimentazione, e più in generale lo stile di vita) sono importanti, e comunque è necessario un periodo di alcuni decenni prima che si formi la placca aterosclerotica che può occludere una coronaria; tale occlusione provoca un infarto, cioè la morte delle cellule della porzione di cuore che quella coronaria irrorava: se tale porzione è molto estesa si può presentare una insufficienza cardiaca acuta, cioè l’incapacità del cuore a pompare una quantità di sangue adeguata a mantenere la circolazione; d’altra parte, anche lesioni relativamente piccole possono scatenare gravi aritmie che degenerano in fibrillazione ventricolare, che – come abbiamo visto – equivale ad un arresto della circolazione del sangue.
Come può essere evitata la morte cardiaca improvvisa?
In teoria le strategie possibili sono due: o si scopre l’esistenza della malattia che rischia di causare la morte improvvisa, e si gioca di anticipo mediante terapie farmacologiche o non farmacologiche, oppure si interviene immediatamente al momento della perdita di coscienza, con le opportune manovre di rianimazione, vale a dire il massaggio cardiaco, le varie tecniche di ossigenazione (respirazione bocca a bocca, ventilazione con maschera, intubazione), la cardioversione elettrica (defibrillazione).
La presenza di una malattia delle coronarie, o di patologie a rischio di causare gravi aritmie – come le preeccitazioni ventricolari, la sindrome di Brugada, le alterazioni del QT o la displasia aritmogena – può essere sospettata sulla base di sintomi avvertiti dal paziente, o in seguito ad accertamenti svolti sui familiari di qualcuno che abbia presentato sintomi, o ancora in corso di screening di prevenzione, o di visite sportive o di medicina del lavoro. Molte di tali condizioni possono essere controllate mediante terapie farmacologiche, altre attraverso interventi di ablazione, oppure con l’impianto di pacemaker o defibrillatori impiantabili.
Invece, una volta che la fibrillazione ventricolare o l’asistolia si siano determinate, sappiamo che le cellule nervose vengono danneggiate irreversibilmente già dopo pochissimi minuti di interruzione del flusso di sangue al cervello, e dunque la probabilità di sopravvivenza dipende dalla rapidità degli interventi di soccorso. Per questo è necessaria da un lato la diffusione capillare dei defibrillatori semiautomatici: negli uffici, nelle scuole, nei centri commerciali e ricreativi, negli impianti sportivi, nei parchi e nelle strade; dall’altro che sempre di più si addestrino persone capaci di utilizzare tali apparecchiature e di praticare il massaggio cardiaco.
Evidentemente, e qui il cardiologo parla un po’ da filosofo, eliminare tutti i casi di morte cardiaca improvvisa è un’utopia, o al più un ideale verso cui tendere, ma sta di fatto che la sempre maggiore consapevolezza del problema, le nuove tecnologie diagnostiche e terapeutiche disponibili e la diffusione delle tecniche di rianimazione anche tra i non professionisti stanno riducendo sensibilmente il numero delle vittime.