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«Tutto ciò che riduce al minimo il bisogno di modificare la propria dieta viene enfatizzato. Ahimè». È il commento sconsolato con il quale la nota nutrizionista americana Marion Nestle, professore emerito alla New York University, scrive alla fine di un recente post del suo blog in cui prende le distanze dalla volontà eterodiretta con la quale si dà risalto in modo sproporzionato all’esercizio fisico a danno della dieta quando si tratta di perdere peso, anche a costo di travisare, come  viene fatto nel caso dibattuto (un articolo giornalistico) i risultati di uno studio scientifico nel quale questa distinzione non solo non viene avvallata, ma nemmeno evidenziata.
Volontà eterodiretta da chi? La risposta è piuttosto facile, per chi frequenta il blog di Marion Nestle. Si tratta dell’industria americana del fast food, delle merendine e dei soft drink. In altre parole del cartello di Big Food, nel quale talora ci si imbatte come sponsor di manifestazioni sportive ad alto livello, una scelta, questa, che Big Food fa, verosimilmente, per darsi una veste di rispettabilità, suggerendo che la salute, la magrezza e i muscoli si costruiscono grazie alle attività sportive e solo tangenzialmente sono il risultato di quello che si mangia e che si beve. Piuttosto, se proprio l’accostamento deve cascare sul cibo, ecco che allora le bevande a “zero calorie” e le merendine ipocaloriche sono chiamate a reggere il confronto purché calate in uno scenario di pubblicità che il marketing ha saputo confezionare meglio di un bignè di pasticceria, con giovani che fluttuano come onde su spiagge con vedute caraibiche. Oppure, appunto, grazie a un giornalismo acquisente, più preoccupato a blandire questi inserzionisti, allo scopo di assicurarsi i loro finanziamenti, che non a entrare nel merito di quanto la scienza va dimostrando.
Eppure, più di uno studio scientifico ci ha edotti sul fatto che l’importanza delle porzioni è fondamentale nella lotta al sovrappeso e all’obesità, tanto quanto la presenza al loro interno dei “cibi ultra-processati”, vale a dire lavorati e conservati con ogni tipo di “chimica” ammessa dai protocolli alimentari per far durare il cibo più a lungo nel tempo. Per non parlare del pieno di glucosio (di zuccheri) che ci assicuriamo bevendo i succitati soft drink, così come i succhi di frutta confezionati.
Certo, l’attività fisica non passa sotto silenzio. Almeno 300 minuti a settimana fra attività aerobica e potenziamento muscolare sono sempre raccomandati da tutte le linee guida, ma nessun ricercatore, se mosso da onestà professionale, potrà mai dire che il calo ponderale risieda tutto nell’attività fisica, per quanto brucia grassi, anzi “fat killer”, questa attività venga venduta.  Viene in mente di quel tale che da uno era passato a due allenamenti giornalieri nell’intento specifico di far diminuire la pancia e rientrare così nelle camicie dell’armadio. Peccato che l’alto dispendio energetico giornaliero lo spingesse a mangiare di più, porzioni sempre più grosse per reintegrare gli zuccheri e le energie che aveva bruciato a furia di correre e di pedalare, di nuotare e sollevare pesi in palestra, con il risultato che ogni qual volta saliva sulla bilancia ne scendeva sempre più sconsolato.
Invece, per perdere peso bisogna ridurre le fonti di alto apporto calorico come i dolci e tutti gli alimenti ultra-processati, ridurre le bevande gassate e limitare l’apporto di carboidrati e di alcol. Soprattutto di alcol, che contiene un sacco di calorie vuote, ovvero che non apportano nessun senso di sazietà ma predispongono a un consumo maggiore di cibo. Si stima che a togliere fino a due bicchieri di vino al giorno, nel giro di un anno si giunga a un calo di peso nell’ordine di 6-7 kg mantenendo inalterato tutto il resto. Se poi si interviene anche sul resto, con una dieta equilibrata, controbilanciata con un’adeguata attività fisica, i chili da smaltire possono arrivare fino a 10, sempre nell’arco di un anno solare.
Ciò detto, una dieta equilibrata, finalizzata al calo ponderale, non può prescindere da una netta riduzione di pasta e pane a non più di due volte la settimana. Il tutto condito con un’attività fisica adeguata ma senza forzature, che tanto l’età per le performance sportive di livello passa per tutti, campioni compresi. Anche perché le articolazioni e la schiena invecchiano e ci mettono poco a farsi sentire attraverso disturbi tanto fastidiosi quanto difficili da guarire.

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