In un precedente articolo, risalente all’anno scorso, il presidente ANMCO – Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri di Piemonte e Valle d’Aosta – Federico Nardi ci metteva in guardia dal rischio di cannibalizzare una buona fetta delle cardiologie di tutta Italia per farne, per lo più, delle succursali di terapia intensiva a uso esclusivo dei pazienti Covid, ricordandoci che lasciare senza assistenza ospedaliera i pazienti cardiovascolari si stava rivelando un grosso azzardo.
Si tratta di pazienti con un pericolo di morte superiore o uguale al 20% nei 5 anni dopo la prima manifestazione patologica: un dato noto in cardiologia e attestato dalla Carta del Rischio italiana e dalle Carte internazionali. Per questi pazienti, il pre-ricovero e il follow-up, ossia i controlli a distanza di tempo, sono imprescindibili.
Ora che stiamo conoscendo più a fondo i danni causati dal Covid in chi è affetto da comorbilità cardiovascolari, Nardi ci viene in soccorso per ricordarci che la pandemia rischia di aggravare l’incidenza delle patologie cardiovascolari in tutta la popolazione. La letteratura sull’argomento parla di sintomi correlabili a preesistente o sopraggiunta malattia cardiaca che si stanno evidenziando in molti pazienti che hanno avuto gravi segni di malattia Covid accompagnati da innalzamento dei marcatori di miocardiocitonecrosi, come la troponina. Questi pazienti possono sviluppare sintomatologia, tipo dolore toracico, dispnea e/o palpitazioni, anche alcuni mesi dopo la negativizzazione e dimissione a domicilio.
Del resto, sul versante dei decessi da Covid, le complicazioni cardiache non sono affatto estranee. Un buon numero di decessi per Covid è accompagnato da comorbilità cardiovascolari importanti. Secondo uno studio condotto negli Stati Uniti, l’ipertensione è presente nel 28,5% dei decessi per Covid dei casi analizzati, il diabete nel 28,6% e l’insufficienza cardiaca nel 25,5%.
Come accennato sopra, un recente studio pubblicato sullo «European Hearth Journal» ha dimostrato che circa il 50% dei pazienti ricoverati peruna forma grave di Covide che mostravano livelli elevati di troponina hanno poi riportato danni al cuore. Una complicanza che è stata rilevata tramite risonanza magnetica un mese circa dopo la dimissione. Nei casi analizzati si trattava di miocardite, cioè l’infiammazione del muscolo cardiaco, infarto, ischemia o combinazioni di tutti e tre i fattori insieme.
«È fondamentale la creazione di percorsi di sorveglianza per pazienti che hanno avuto il Covid per monitorare l’eventuale insorgenza di infiammazioni cardiache come miocarditi e pericarditi non preesistenti al contagio – ci ricorda Nardi – A questo scopo risulta ancora una volta centrale l’osservazione cardiologica del paziente, nell’ottica di una continuità clinico assistenziale del percorso di cura, dal pre-ricovero al follow up post dimissioni».
In questo senso risulta necessario un monitoraggio che deve sicuramente coinvolgere anche le persone a elevato rischio cardiovascolare. «Fra questi soggetti ci sono senz’altro i malati affetti da scompenso cardiaco che, in quanto sindrome e non semplice patologia, presenta in genere diverse comorbilità, che sono alla base della complessità clinica che rende questi pazienti particolarmente fragili».
Un altro insegnamento che ci sta arrivando dal Covid è che la nostra medicina del territorio non è sufficiente per la gestione delle emergenze come questa che stiamo vivendo da oltre un anno. E che a una maggior presenza di presidi medici spalmati in province e regioni vadano affiancati i dispositivi di ultima generazione per la raccolta dei dati anamnestici e la loro intellegibilità nei centri ad alta specializzazione, da cui partono le indicazioni di cura. In una parola, quello che è in predicato di fornirci e che siamo in grado di fare attraverso la telemedicina.
«Ad Alessandria abbiamo iniziato, organizzando una rete diffusa di elettrocardiograficollocati in ambulatori e case della salute afferenti alla ASL, che potrebbe essere utilizzata anche a questo scopo. Gli apparecchi sono collegati in rete con le cardiologie dei nostri Presidi Ospedalieri, dove i dati raccolti vengono analizzati dagli specialisti in servizio in tempo reale. Ad oggi sono stati posizionati 21 elettrocardiografi a copertura di tutta la provincia, che ha un territorio particolare, con molte zone isolate, lontane dagli ospedali. L’elettrocardiografo, rispetto a tecnologie più recenti e sofisticate, è considerato oggi come uno strumento di base, ma consente un uso diffuso che, soprattutto se affiancato dalla competenza specialistica del cardiologo, può salvare vite umane. Ma è necessario definire precisi percorsi terapeutici per inserire i pazienti post Covid in una rete di follow up cardiologico sul territorio».