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di Alberto Ferrari
Per un grande scrittoreè d’obbligo un rapportodi verità con la materiapiù sfruttata, rappresentata dalla propria biografia.È ciò che sembra suggerirela recente autobiografiadi Oliver Sacks,pubblicata all’indomanidella scomparsadel famoso neurologo.In quest’operal’abile narratoredi casi clinicipassa in rassegna le tappedella propria esistenzafacendo brillare lucimai così crudesulle ragioni di alcunisuoi malesseri,senza dimenticaredi cogliere il lato buonoe positivo che è possibile fareemergere sempre,anche dal male peggioreQuando il 18 ottobre del 2003 lo scrittore catalano Manuel Vázquez Montalbán muore stroncato da un infarto all’aeroporto internazionale di Bangkok, sono parecchi i giornali italiani che, nel dare notizia del decesso, non mancano di rilevare come quella morte abbia assunto il sapore di una coincidenza beffarda. Tredici anni prima Montalbán aveva dato alle stampe Gli uccelli di Bangkok, forse il primo romanzo noir della serie “Pepe Carvalho” che lo ha accreditato seriamente presso il pubblico di casa nostra. Fu anche il primo lavoro pubblicato da Feltrinelli, che in seguito diventerà il suo principale editore italiano.

Una biografia in movimento passa in rassegna necessariamente più luoghi. Nel caso di specie, trattandosi della vita o, meglio, dell’autobiografia In
movimento
di Oliver Sacks, neurologo e scrittore di fama mondiale, i luoghi sono sia fisici sia mentali. Venendo ai primi, i luoghi in cui la sua esistenza ha segnato delle tappe importanti sono almeno quattro. Londra e l’Inghilterra in cui è nato e ha studiato, laureandosi brillantemente in medicina a Oxford, nella metà degli anni Cinquanta. San Francisco e la West Coast americana in cui vive dal 1960 al 1965. Nella città resa famosa dal Golden Gate muove i primi passi professionali e sperimenta il primo, massiccio incontro con la droga. Amsterdam, in cui il giovane Sacks si reca in pellegrinaggio laico, avendo letto e intuito che nella capitale olandese, unica nel suo genere di “città aperta”, si può sperimentare di tutto. È il posto giusto per chi come lui sta per fare i conti con una sessualità eterodossa. Infine New York, in cui si trasferisce stabilmente dalla metà degli anni Sessanta fino alla fine dei suoi giorni. Sacks è morto per un tumore al cervello nel 2015. A NY Sacks ottiene il primo incarico stabile come neurologo, in un cronicario affiliato all’Albert Einstein College of Medicine. In questo ospedale mette a punto la cura che gli permette di risvegliare dal sonno ventennale alcuni pazienti post-encefalici. Si tratta di persone, per lo più di mezza età, affette di una rara forma di encefalite letargica di origine virale che li rende del tutto catatonici, simili ai parkinsoniani. L’esperienza di quella vicenda clinica gli frutterà un libro che qualche anno dopo sortì nel film omonimo. Stiamo parlando di “Risvegli”, interpretato tra gli altri da Robert De Niro e Robin Williams.

Sembra di capire che i luoghi fisici in cui Sacks ha vissuto si sono intrecciati in maniera molto forte con quelli mentali. Le città in cui ha abitato, non meno dei luoghi in cui si è recato per svago o lavoro si sono intrecciati in maniera molto forte con le esperienze sentimentali, umane e professionali che il nostro dottore con la vocazione per la letteratura ha messo nero su bianco in questo ultimo libro testamentario. Apriamo una parentesi per dire che in questa autobiografia Sacks è di un candore e di un’onestà etica e intellettuale a dir poco disarmanti. Sacks sembra intenzionato a non nasconderci nulla, a cominciare dalle esperienze professionali deludenti. Sappiamo che fu un medico precario fino ai quarant’anni. Sappiamo che per quasi tutta la sua lunga vita patì l’incapacità di vivere appieno la sua sessualità differente: fu un gay che seppe abbandonarsi pochissimo ai sentimenti. Sappiamo che per molti anni è stato un tossico. Sacks è arrivato a fare esperienza delle droghe misconoscendo al se stesso medico i danni cardiaci, vascolari e cerebrali che la droga avrebbe potuto provocare al suo pur forte organismo. Il dottore è stato per anni un cultore della forma fisica e un motociclista instancabile. Si è cimentato con il sollevamento pesi e aveva la passione per il nuoto e le immersioni. Non è chiaro fino a che punto la droga combinati con lo sport e la motocicletta siano state un bene. All’apice del vizio e della giovinezza riferisce che nessuno, lui compreso, avrebbe scommesso che sarebbe arrivato all’età di 35 anni.

Sappiamo anche che quando ha deciso di dare un taglio con la droga ha avuto delle allucinazioni terribili provocate dalle crisi d’astinenza. Fortuna sua che l’esperienza con le droghe, specie LSD, era paragonabile a quella che andava sperimentando tra i pazienti sotto le sue cure di clinico. Fu quando si accorse che le voci e le allucinazioni che gli riferivano alcuni suoi pazienti schizofrenici e altri curati con la L-dopa non erano del tutto estranee a quelle che avvertiva lui nei momenti più cupi della sua tossicodipendenza. Se come neurologo fece tesoro di quell’esperienza diretta, come uomo sperimentò i confini della follia uscendone parecchio provato. La sua vittoria contro la droga la costruì giorno dopo giorno in seguito al suo ingresso in analisi, una pratica che non abbandonò fino alla fine. Alla bontà dell’analisi, l’uomo ritrovato aggiungerà quelle derivanti da una valida cerchia di amici e dalla fortuna di fare un lavoro gratificante. Nessun riferimento al trionfo dei sentimenti, purtroppo.

Sacks ci ha confidato che tra i motivi che l’hanno spinto a mettersi sovente “in movimento” fino a emigrare e a spingersi a sperimentare droghe e alcol per farsi coraggio e sentirsi accettato c’era la condizione di omosessuale. Pur avendo chiaro a se stesso quali fossero i suoi gusti, Sacks dapprincipio avvertì un certo disagio a renderli pubblici. Non che si sentisse in dovere di farlo per partito preso, piuttosto aveva fame di incontri con persone del suo stesso sesso ma nel contempo aveva difficoltà ad accettarsi in famiglia e in società per queste sue inclinazioni sessuali. Pare che l’anatema pronunciato dalla madre quando seppe di avere un figlio gay lo perseguitò a lungo, anche quando non ce n’era più motivo apparente, vuoi perché, negli anni a seguire, la madre era venuta a più miti consigli con l’omosessualità del figlio, vuoi perché i tempi erano cambiati. La puritana Inghilterra, per esempio, dal 1967 non era più lo Stato in cui l’omosessualità era considerata un reato, in cui un giovane medico come Sacks avrebbe potuto finire nell’occhio del ciclone ed essere accusato e processato per le peggiori nefandezze e perdere così quel po’ di reputazione che sarebbe stato in grado di costruirsi nel frattempo. Ma a quell’epoca Sacks viveva a San Francisco, sede di uno dei più importanti movimenti che si sono battuti per i diritti dei gay. In quella città s’era a suo modo emancipato. Viveva la propria sessualità senza tabù ma le carenze vere, a quanto lui stesso lamenterà, derivavano da una vita sentimentale deludente. Deludente a tal punto che un certo momento opterà per un lungo periodo di astinenza. Se per lui non era possibile abbinare il sesso con l’amore, tanto valeva darci un taglio con il sesso, così come aveva fatto con la droga.

Passano 35 anni, mica sei mesi o un anno. Trentacinque. Arrivato alla soglia degli Ottanta, Sacks conosce uno scrittore più giovane con il quale inizia una relazione sentimentale. Non ci nasconde che agli esordi di quella relazione trascorre giorni e giorni in trepidante attesa accanto al telefono, e che quando l’apparecchio finalmente squilla perché è la persona amata che lo cerca, lui non riesce a trattenere l’emozione, così singhiozza e balbetta per almeno un paio d’ore peggio di una liceale alla prima cotta.

Tutto questo per dire che dietro un grande uomo ci può stare di tutto. Ma dietro un grande scrittore sembra d’obbligo un rapporto di verità con la materia d’elezione che è la propria biografia.

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