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Stime alla mano, solo in Italia più di un milione di persone over 65 anni sono affette da demenza. Di queste, oltre 630 mila hanno una diagnosi di malattia di Alzheimer, e per più di 928 mila individui è stata fatta una diagnosi di Declino Cognitivo Lieve. Ad oggi, non è disponibile nessuna terapia farmacologica per la malattia di Alzheimer che permetta di intervenire sui processi di danno cerebrale e impedire la progressione del corteo sintomatologico.  La malattia di Alzheimer riconosce, relativamente al suo sviluppo, dei fattori di rischio non modificabili, sui quali non si può agire in nessun modo, e fattori modificabili, sui quali è possibile intervenire ottenendo risultati significativi sul piano clinico.

Fattori di rischio non modificabili
Fra i fattori di rischio non modificabili si novera l’età: la maggior parte delle persone sviluppa Alzheimer dopo i 65anni e, da quel momento, l’incidenza di malattia incrementa in modo esponenziale fino a 80 anni circa. Un secondo fattore di rischio è la genetica: alcune forme di demenza sono definite sporadiche, poiché si manifestano senza ereditarietà tra le generazioni di una famiglia. Altre forme, invece, sono dette familiari, perché si manifestano in due o più persone appartenenti allo stesso nucleo parentale; quest’ultime possono essere indotte da una mutazione genetica che può essere trasmessa dal genitore al figlio con una probabilità del 50%. Un altro fattore genetico di rischio è legato al gene APOE: una specifica variante di questo gene aumenta le probabilità di sviluppare Alzheimer.

Fattori di rischio modificabili
I principali fattori di rischio modificabili relativamente allo sviluppo di Alzheimer sono associati allo stile di vita e comprendono il fumo di sigaretta, l’assunzione di alcol, la carenza di vitamine, la scarsa attività fisica e la mancanza di altre attività di svago, mentali e sociali. Essere affetti da condizioni patologiche tipo diabete, ipercolesterolemia, ipertensione, obesità e dislipidemia, aumenta ugualmente il rischio di sviluppare Alzheimer; così come una storia positiva per traumi cerebrali, patologie cerebrovascolari e vasculopatie. A tale proposito, di recente uno studio condotto su larga scala dalle università di Oxford ed Exeter, Inghilterra, pubblicato sulla rivista «Lancet Healthy Longevity» ha evidenziato che i pazienti con una storia di ictus, diabete o infarto sono tre volte più a rischio, persino delle persone con predisposizione genetica, di sviluppare demenza. Gli autori dello studio sono arrivati a queste conclusioni dopo aver esaminato i dati relativi a più di 200 mila persone con più di 60 anni di origini europee. Il gruppo di ricerca si è concentrato sulle persone con diagnosi di diabete, che avevano patito un ictus o un infarto o con alle spalle una qualsiasi combinazione tra queste tre condizioni, e sono andati a valutare come cambiava il loro rischio di demenza. In questo modo hanno visto che più queste tre condizioni gravano sul paziente, maggiore è il rischio di sviluppare demenza. Le persone con diagnosi di diabete e che hanno patito un infarto e un ictus nello specifico, hanno mostrato anche il triplo delle probabilità di sviluppare demenza rispetto alle persone con alto rischio genetico.
Secondo i ricercatori, quindi, anche le persone con un elevato rischio genetico di demenza, se si prendono cura della loro salute cardiometabolica, possono abbassare la loro soglia di rischio, sensibilmente.
A questo proposito, i ricercatori dell’University of Mississippi Medical Center hanno condotto uno studio su oltre 10 mila persone seguite per trent’anni per capire quanto impattano le Life’s Simple Seven, le sette regole per abbassare il rischio demenza anche in chi è geneticamente predisposto. Il lavoro di ricerca è stato pubblicato su «Neurology», rivista dell’American Academy of Neurology.
Le sette regole individuate dall’American Heart Association e valutate in questo studio sono state:

  • essere attivi,
  • mangiare meglio,
  • perdere peso, al fine di essere normopeso,
  • non fumare,
  • mantenere una pressione sanguigna nella norma,
  • tenere sotto controllo il colesterolo,
  • monitorare e mantenere nella norma la glicemia.

I ricercatori hanno esaminato i dati relativi a 8˙800 persone di origine europea e di 2˙700 di origine africana per tre decenni. All’inizio dello studio i partecipanti avevano un’età media di 54 anni: tutti si sono impegnati a fornire informazioni sul loro stile di vita rispondendo a questionari specifici sulle sette sane abitudini. I ricercatori hanno assegnato un punteggio da 0 a 14 per valutare quanto le persone fossero ligie alle regole: a zero corrispondeva il punteggio meno salutare, a 14 quello più salutare. Il gruppo di origine europea ha riportato un punteggio medio di 8,3, mentre il gruppo africano si è fermato a 6,6. All’interno dello studio è stato assegnato un punteggio anche al rischio genetico dei partecipanti di sviluppare demenza. I partecipanti a maggior rischio genetico si sono rivelati quelli con almeno una copia della variante del gene APOE associata all’Alzheimer, APOE e4. A convivere con questa variante si sono rivelati il 27,9 % del gruppo di origine europea e il 40,4% del gruppo di origine africana. A fine studio, a sviluppare demenza sono stati 1˙603 partecipanti di origini europee e 631 di origini africane. Le persone con i punteggi più alti nei sette fattori chiave dello stile di vita si sono rivelate quelle con la probabilità più bassa di sviluppare demenza anche se avevano un rischio genetico elevato. Ad ogni punto in più nel punteggio delle abitudini salutari, è corrisposto un rischio più basso del 9% di sviluppare demenza. Rispetto ai partecipanti con il punteggio più basso, chi ha potuto contare su punteggio medio o alto ha evidenziato, rispettivamente, un rischio inferiore di demenza del 30 e del 43%.

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