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Ancora un terzo dei pazienti non ha accesso alla TAVI, l’impianto transcatetere (di stent) della valvola aortica. Le ragioni sono diverse: si va dalla mancata applicazione delle raccomandazioni internazionali alle disparità territoriali fra centri urbani e periferie e alla differente velocità in cui viaggia il Sistema Sanitario Nazionale nelle regioni italiane per qualità e quantità dei servizi erogati. La questione è stata dibattuta ai primi di aprile a Napoli, durante la tavola rotonda “TAVI è Vita”. Fra gli organizzatori, la Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE), la Società Italiana di Cardiologia (SIC), e la Società Italiana di Chirurgia Cardiaca (SICCH). Da ricordare che la TAVI è l’unica tecnica interventistica percutanea mininvasiva per il trattamento della stenosi valvolare aortica (AS), grazie alla quale l’offerta di cura per i pazienti affetti da questa patologia si è ampliata sensibilmente.
«La TAVI rappresenta una modalità di scelta per il trattamento di un’ampia fetta di pazienti con stenosi aortica severaha sottolineato Giovanni Esposito, Presidente GISE si caratterizza per la minore invasività, l’ospedalizzazione più breve e un più rapido recupero e ritorno alle normali attività quotidiane rispetto all’intervento di chirurgia tradizionale».
I dati dicono che, attualmente, il 3,4% della popolazione italiana con età ≥75 anni è affetto da stenosi valvolare aortica severa. Nonostante la crescita esponenziale della domanda, in Italia la TAVI è ancora sottoutilizzata. Infatti, la media nazionale si attesta solo al 40% con differenze regionali rilevanti. Nel 2021 in Italia sono stati eseguiti 9˙911 interventi TAVI. Tra le regioni con maggior utilizzo delle tecniche mininvasive troviamo la Campania – insieme a Lombardia (1˙975), Veneto (984) e Emilia-Romagna (941).
I dati confermano che si è avviato un processo di ampliamento dell’utilizzo della procedura, ma allo stesso tempo sottolineano come rimanga ancora molto da fare per raggiungere standard uniformi e ottimizzati su tutto il territorio nazionale. I punti critici riguardano gli aspetti relativi alle capacità organizzative delle strutture specializzate (gli hub) e territoriali (spoke), gli sprechi e le inefficienze presenti nel percorso di cura del paziente e la mancanza di reti standardizzate che, insieme, rappresentano un freno verso un maggior utilizzo della TAVI.
«Il 50% dei pazienti con stenosi aortica severa sintomatica se non trattati muore dopo 2 anni. Le Linee Guida ESC 2021 hanno evidenziato come la TAVI sia efficace e debba costituire uno standard di cura, eppure persistono grandi diseguaglianze di trattamento tra pazienti di diverse regioni italiane – ha chiosato Ciro Indolfi, Past President SIC e Presidente della Federazione Italiana di Cardiologia – Sciogliere il nodo dei percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali è cruciale per garantire un equo e adeguato accesso a questa procedura».
Nelle linee guida europee è specificato che l’utilizzo della TAVI debba prevedere il coinvolgimento di una squadra multidisciplinare, l’Heart Team, presente all’interno degli Heart Valve Center, strutture di riferimento con le competenze necessarie per il trattamento di pazienti con patologia valvolare.
«Lo svolgimento della procedura all’interno delle strutture dotate di cardiochirurgia e la presa in carico da parte dell’Heart Team sono fondamentali per indirizzare il paziente verso il trattamento migliore per le sue specifiche condizioni fisiche e cliniche – ha chiosato Francesco Musumeci, Past President SICCH – Tuttavia, per permettere agli Heart Valve Center di rispondere in maniera adeguata alle richieste di accesso alla TAVI, bisogna lavorare sull’intero ‘circuito’ territoriale e risolvere la mancanza di reti strutturate per la gestione integrata del paziente tra specialisti, centri periferici e hub».
Il vantaggio di un iter diagnostico-terapeutico ben definito permette di valutare il paziente sin dalle prime fasi indirizzandolo correttamente verso il percorso di cura più indicato, consentendogli di beneficiare di una riduzione della degenza ospedaliera. Un aspetto, quest’ultimo, che ha un impatto positivo anche sulla sostenibilità del SSN, con un minore impiego di risorse pubbliche.
Con reti standardizzate, un’ottimizzazione dei percorsi terapeutici e di gestione dei pazienti, si potrebbe arginare anche il fenomeno della mobilità passiva (e dei relativi costi associati), ovvero la “fuga” di cittadini residenti finalizzata a ricevere prestazioni sanitarie in altre regioni. In Italia, la mobilità sanitaria vale oltre 3˙330 milioni di euro e la Campania risulta tra le regioni con più alta mobilità passiva, risultando al terzo posto, in termini economico-finanziari, per debito da ripagare. Tra le prestazioni sanitarie più erogate fuori regione, gli interventi su valvole cardiache.
«Questa è una sfida che può essere affrontata solo grazie alla collaborazione strategica e operativa tra clinici, istituzioni, rappresentanti amministrativi delle strutture ospedaliere e tutti gli stakeholder coinvolti in questo percorso» la conclusione di Giovanni Esposito.

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