Gentile Professore, sono nativo di Pescara, ho 47 anni. All’età 27 anni mi sono ammalato e, da allora, sono stato seguito dal Polo cardiologico di Trieste fino a qualche anno fa. In seguito all’impianto del defibrillatore e dopo aver constatato la stabilità del quadro clinico, ho chiesto di poter fare i controlli periodici in una struttura delle mie parti in Abruzzo. Nell’ospedale di Chieti, durante uno dei controlli del defibrillatore (che non c’è mai stato bisogno che intervenisse) sono apparsi diversi episodi di brevi tachicardie asintomatiche. Sicché il cardiologo mi ha prescritto l’Amiodarone, un farmaco che dopo 2 anni mi ha causato improvvisamente l’ipertiroidismo. Non so se ci sono alternative all’Amiodarone. Il cardiologo mi ha detto che prendo una dose massiccia di Carvedilolo e che ho una pressione arteriosa bassa (60 di minima e 90 di massima) e che quindi non è possibile aumentare il Ramipril. Per questo motivo sto cercando in Internet una soluzione alternativa all’Amiodarone. Mi sembrava di aver trovato una valida alternativa nella fitoterapia, segnatamente nella pianta di biancospino. Lei ha un consiglio da darmi, che magari potrei sottoporre al mio cardiologo? La ringrazio comunque della sua disponibilità e la saluto cordialmente.
Caro lettore, lo schema terapeutico che lei sta seguendo è corretto, semmai si tratta di equilibrare le dosi dei farmaci per ottenere l’obiettivo desiderato. A parte la questione dell’efficacia del biancospino, sulla quale preferisco non addentrarmi, l’Amiodarone non è un farmaco sostituibile per la cura delle tachiaritmie come la fibrillazione atriale e nella prevenzione delle tachicardie ventricolari ricorrenti. Comunque sia, il Carvedilolo ha effetto antiaritmico e anche ipotensivo, mentre il Ramipril solo ipotensivo. Infine, l’effetto di tenere bassi, sotto la soglia di rischio, i suoi valori pressori, è molto importante per ridurre il carico di lavoro del cuore, in ispecie del ventricolo sinistro, che ne ha proprio bisogno. Tuttavia, agire per limitare al massimo la extrasistolia, vuol dire anche agire sulla stessa capacità contrattile del muscolo cardiaco in senso inibitorio, e questo non va bene. Per ritornare al concetto fondamentale, nelle malattie gravi e multifattoriali che necessitano di farmaci impegnativi è necessario mantenere il giusto equilibrio fra il rapporto dose e funzione, in modo da ottenere il miglior risultato possibile fra rischio e beneficio.