di Alberto Ferrari
La medicina online è una realtà. Solo in Italia, sono 15 milioni le persone che ricorrono alla rete per avere informazioni mediche, per prenotare un esame diagnostico o ricevere un consulto specialistico, oppure per localizzare un ospedale o una casa di cura. Cifra destinata a salire, di pari passo con le evoluzioni tecnologiche per piattaforme come smartphone e tablet
Con lo smartphone o l’iPad puoi fare di tutto. Rifugiarti su fb alla fermata dell’autobus. Parlare via sms agli amici virtuali all’ora dell’aperitivo, visto che quelli reali, seduti vicino a te, stanno facendo la stessa cosa da almeno mezz’ora. In fondo, questi microprocessori sembrano pensati apposta per riempire dei vuoti imbarazzanti, dei buchi che tutti abbiamo, da qualche parte, nel cervello. Certo, sono aggeggi anche utili. Se appartieni a quelli che vogliono vedere il bicchiere mezzo pieno, che sanno che questi piccoli computer dalle grandi prestazioni sono ottimi strumenti con cui, ci puoi fare anche dell’altro, bene, allora, forse, sei interessato a continuare nella lettura di questo articolo, con l’avvertenza che l’ambito di interesse è ristretto al settore sanitario. Un indagine sull’offerta di medicina online condotta con l’aiuto di un esperto di chiara fama, il dottor Eugenio Santoro, responsabile del laboratorio di Informatica Medica dell’IRCSS – Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, e autore dei volumi Web 2.0 e social media in medicina e Facebook, Twitter e la Medicina. Quindi, veniamo alle cose serie. Veniamo alla prima domanda.
Applicazioni per tablet e smartphone si sono appropriati degli standard di prevenzione ottimali per più di una patologia. Oppure app meno audaci ma comunque in grado, in teoria, di correggere gli stili di vita con una dieta calibrata e un’attività motoria ideale. Non solo Internet, ma anche le nuove frontiere tecnologiche dei telefoni di ultima generazione sembrano prospettare un futuro di tutto rispetto per queste app. Qual è la sua opinione in proposito? Il futuro delle app per telefoni e tablet è davvero così mirabolante come dicono gli analisti, quando prospettano, di qui al 2017, quasi quattro miliardi di persone con un tablet o uno smartphone in mano, di cui almeno la metà che si interesserà di app sulla salute?
“Smartphone e tablet, grazie al fatto che non sono semplici dispositivi telefoni ma dei veri e propri computer, hanno delle enormi potenzialità che possono essere sfruttate in ambito medico sanitario. Non solo per informare i cittadini/pazienti o fornire loro servizi basati sulla geolocalizzazione (dove cioè trovare asl, farmacie, ospedali, strutture sanitarie per specifiche patologie che siano le più vicine a noi), ma soprattutto per attivare programmi di promozione della salute o per gestire patologie croniche. Sono infatti già disponibili (anche in Italia) applicazioni che permettono di tenere sotto controllo il nostro peso modificando i nostri stili di vita attraverso programmi dietetici e sessioni di esercizio fisico, e applicazioni che, attraverso l’impiego di appositi dispositivi da collegare allo smartphone o al tablet, permettono di tenere sotto controllo la glicemia nei pazienti diabetici. Penso inoltre che tali strumenti possano dare un prezioso supporto alla lotta al fumo, alle droghe, all’abuso di alcol e nella prevenzione delle principali malattie ad elevato impatto sociale, tra cui quelle cardiovascolari. Perché siano effettivamente sicure, prima ancora che utili, occorre però, almeno per le applicazioni più delicate, che siano in qualche modo certificate. Negli Stati Uniti, per esempio, sono ormai numerose le app certificate dalla Food and Drug Administration, mentre da noi il problema è ancora poco sentito”.
Seguendola su Twitter, ho appena letto del ruolo sempre più importante che stanno assumendo alcuni forum di discussione in cui i pazienti, divisi per malattia, si confrontano a livello planetario su terapie, farmaci e quant’altro, fornendo preziose indicazioni anche agli enti di tutela della salute pubblica e alle case farmaceutiche, oltre che ai medici curanti. Possiamo ipotizzare che gli investitori metteranno soldi per accaparrarsi questo tipo di business, che sembra partire dal basso, ovvero dall’iniziativa individuale, come nella migliore tradizione di Internet, mi riferisco a iniziative come Facebook?
“Questo genere di strumenti, a cui aggiungerei le online communities (cioè i social network dedicati ai pazienti), hanno il pregio di aggregare numerosi pazienti che soffrono di specifiche patologie. I quali non solo si scambiano pareri, consigli, suggerimenti, ma, in certi casi, anche dati da loro stessi raccolti. È innegabile che ciò alimenta gli interessi dei centri di ricerca (che possono così indirizzare i propri studi su un target ben preciso e magari elaborare dati già raccolti dagli stessi utenti) e delle aziende farmaceutiche (interessate a conoscere le opinioni dei pazienti sui loro farmaci o a stabilire contatti diretti con loro per ragioni di marketing) come testimoniano alcune esperienze di collaborazione in corso soprattutto negli Stati Uniti.
I modelli di business sono tuttavia ancora poco definibili, soprattutto per la differente legislazione vigente nei vari paesi che regolamenta questi aspetti”.
Il “Mario Negri”, attraverso lei e altri ricercatori, è attento ai fenomeni di interazione e contatto fra medicina e nuove frontiere tecnologiche. In una precedente intervista lei ha accennato a uno studio in fieri. Ci può spiegare di cosa si tratta, sia pur a grandi linee? E con che tempistica state lavorando?
“Si tratta di tre ricerche. Le prime due, in corso, hanno l’obiettivo di descrivere come blog, forum, online communities, Facebook, Twitter, Youtube e altri social media sono usati dalle strutture sanitarie italiane (pubbliche e private) per comunicare con i cittadini e dai medici per aggiornarsi e per collaborare tra loro.
La terza, in fase di progettazione, mira invece a misurare, attraverso uno studio randomizzato, l’efficacia di una online community tra medici e pazienti nel migliorare la gestione del paziente diabetico.
Per i primi due studi i risultati saranno disponibili a breve, mentre per il terzo bisognerà aspettare almeno un anno dal suo inizio”.
Tornando all’oggi. A suo giudizio, quale deve essere il grado di informatizzazione ottimale di un medico, di base o ospedaliero, tenuto conto che il medico ha comunque il suo da fare quotidiano in reparto o in ambulatorio?
“Computer con collegamento a Internet e software per la gestione della cartella clinica elettronica sono ormai indispensabili per qualunque medico o specialista. In molte regioni italiane sono poi disponibili sistemi informatici che i medici sono obbligati a utilizzare per le proprie attività. Inoltre, sui computer non dovrebbero mancare software per interrogare database pubblici come Medline (il più importante database della letteratura scientifica) e per ottenere documenti di sintesi delle evidenze scientifiche (per esempio UpToDate) su cui basare le proprie decisioni. Al fine di un continuo aggiornamento sarebbe auspicabile l’uso di social media, in particolare Facebook e Twitter, attraverso cui ormai riviste mediche, società scientifiche e istituzioni sanitarie diffondono i contenuti da esse prodotte”.
E qual è il livello di conoscenza tra medici e operatori sanitari italiani degli strumenti del web 2.0 e dei social media?
“Nonostante le loro potenzialità, web 2.0 e social media sono ancora poco conosciuti (e usati) dai professionisti della salute. Alcuni strumenti, sebbene ampiamente impiegati dai portali delle riviste mediche o da quelli delle società scientifiche, rimangono inesplorati per via di un certo timore verso simboli grafici e funzionalità di non immediata fruibilità (come nel caso dei feed RSS) o perché ritenuti (erroneamente) strumenti poco adatti a utenti non più giovanissimi (come nel caso dei podcast).
E anche laddove gli strumenti sono noti (come nel caso di Facebook) sono impiegati per fini personali, e quasi mai con finalità formative e di aggiornamento. Ciò che mancano, in questo momento, sono programmi formativi capaci di illustrare le potenzialità di questi strumenti dal punto di vista (almeno) della formazione e dell’aggiornamento professionale. È in quest’ottica, per esempio, che l’Istituto “Mario Negri” è impegnato da 5 anni in iniziative formative ECM proprio su queste tematiche, sia presso la propria sede di Milano, sia presso altre sedi in collaborazione con Aziende Sanitarie e società scientifiche. Un famoso articolo di qualche anno fa di Richard Smith, storico editor del ‹‹British Medical Journal››, apparso sul blog della nota rivista inglese, titolava “Get with web 2.0 or become yesterday’s person”. L’auspicio è che anche in Italia, come accade già da tempo nei paesi anglosassoni, possa esserci una maggiore consapevolezza nelle potenzialità di questi strumenti”.
Una notizia, tratta dalla ‹‹Stampa›› di Torino, che lei ha postato su Twitter dice che Facebook è a caccia della stessa rapidità di Twitter nel dare una notizia, avendo già in proprio la tecnologia giusta per surclassare il rivale nell’approfondimento tematico. Lei come s’immagina la lotta di qui in poi fra i due colossi social per ciò che riguarda la capacità di fare proseliti sulle questioni della salute?
“Non credo che Facebook e Twitter abbiano come primo obiettivo quello di usare i loro strumenti per la salute. Sono altri gli interessi in questo momento sui quali puntano, perché più redditizi. È più facile che i protagonisti della comunicazione in sanità possano sfruttare anche su Facebook quegli strumenti (a cominciare dagli hashtag) che garantiscono la rapidità della diffusione dei loro contenuti e che hanno fatto (e stanno facendo) la fortuna di Twitter. Applicazioni in ambito sanitario, come la sorveglianza delle malattie epidemiche e il monitoraggio dei farmaci, potrebbero sicuramente beneficiarne”.
Sempre seguendo i suoi tweet, ho appreso che sui social vige l’effetto emulazione anche per le questioni della salute. Per esempio, in una data città negli Stati uniti si è raggiunto il boom di adesioni alla donazione di organi a seguito di una campagna mirata sui social. Effetto emulazione, per così dire. Che cosa possiamo ragionevolmente aspettarci noi in Italia, di questo passo?
“Quella della promozione della salute è certamente l’area più promettente dell᾽applicazione dei social media in medicina.
L’esperimento negli USA dimostra che tali strumenti, se usati correttamente, sono in grado di favorire le “giuste cause” e modificare (in meglio) il comportamento delle persone. Gli stili di vita sono quelli che più facilmente è possibile modificare, come diversi studi stanno dimostrando, e migliorare così la prevenzione delle cosiddette malattie “sociali”. Sono convinto che questo approccio possa essere seguito anche in Italia, promosso anche dalle istituzioni, a partire dal Ministero della Salute e dal Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (CCM)”.
Di recente, sui quotidiani italiani, hanno avuto risalto i portali di medicina dove l’utente può interagire online per prenotare visite, per fare domande agli specialisti e per altro ancora. Che cosa ne pensa?
“Siti come MedicItalia, iDoctors e l’ultimo arrivato, web medicine, coprono uno spazio rimasto finora abbastanza inesplorato sul web: quello della relazione tra medico e paziente. Chi ha un problema di salute può contattare uno di questi siti che, gratuitamente o a pagamento, forniscono un consulto medico più o meno approfondito. Occorre tuttavia fare attenzione al fatto che questi siti web, a parte alcune eccezioni, forniscono un primo incontro con il medico specialista che, sulla base di ciò che viene chiesto dal paziente, può orientarlo verso una possibile diagnosi, che tuttavia deve essere confermata da una specifica visita medica e da esami che solo il proprio medico curante può richiedere”.
di Alberto Ferrari