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Si stima che il numero dei pazienti affetti da demenza senile aumenterà a livello mondiale dai 57,4 milioni del 2019 a 152,8 milioni del 2050. Fra le cause di questa crescita, i danni connessi dell’ipertensione, giocano un ruolo importante almeno quanto  l’invecchiamento della popolazione. La ricerca se ne sta accorgendo, al punto che la cura dell’ipertensione viene indicata oggi come un presidio irrinunciabile di prevenzione primaria a prescindere dall’età del soggetto. I riscontri lo dimostrano, l’ipertensione favorisce la demenza senile e il morbo di Alzheimer. I danni che provoca agendo sulla placca ateromasica quando questa si deposita nelle arterie carotidee e poi in quelle del cervello, vanno ben oltre le complicanze cardiovascolari e metaboliche, che già di per sé fanno scattare più di un campanello d’allarme per il rischio di ictus e di retinopatia diabetica, le patologie a cui tutti pensano quando si parla dei deficit da ipertensione a carico del cervello e degli altri organi della testa. L’ipertensione viene stratificata in tre livelli (lieve, media e grave), anche per i valori di pressione “normali” si distinguono tre categorie: si parla di pressione ottimale (al di sotto di 120/80), normale (120-129/80-84) e normale/alta (130-139/85-90).
Addirittura, alcune società scientifiche americane hanno proposto di abbassare il limite oltre il quale si comincia a parlare di ipertensione (attualmente fissato a 140/90) a 130/85, e di fatto già da ora si adottano limiti più restrittivi per pazienti in cui all’ipertensione si associno altri fattori di rischio cardiovascolare, primo fra tutti il diabete.

È il fatto stesso di invecchiare che causa un normale processo di deterioramento delle arterie. Con gli anni, la placca si deposita nelle arterie e nelle coronarie (che sono le arterie del cuore) causando un restringimento del lume a cui si affianca il concomitante processo di irrigidimento in ragione del quale le arterie perdono di elasticità e impediscono al sangue di scorrervi all’interno con regolarità. Facile intuire i danni dell’ipertensione in un contesto di debolezza tissutale e organica come questo. È come se il flusso sanguigno fosse troppo impetuoso e rischiasse di rompere gli argini delle arterie da un momento all’altro.

E se finora gli studi si limitavano ad evidenziare un rischio maggiore di ictus e retinopatia diabetica come concause dell’ipertensione trascurata, un nuovo, ampio studio cinese ha messo in evidenza e confermato che l’ipertensione rappresenta un rischio concreto di demenza per il cervello e di mortalità correlata. Il nuovo studio è stato presentato di recente a un importante congresso di cardiologia negli Stati Uniti, ottenendo un consenso pressoché unanime. Le sue conclusioni sono state riprese dalla prestigiosa rivista Lancet in un editoriale di punta, che nello specifico ha indicato che a oggi, a seguito dei risultati ottenuti dal nuovo studio,  la demenza senile può essere noverata tra le cause dirette dell’ipertensione. La demenza per tutte le cause era l’obbiettivo primario di questo studio di fase tre in doppio cieco che ha coinvolto complessivamente quasi 35 mila soggetti (33985) provenienti da 325 villaggi di un distretto rurale della Cina. I pazienti, d‘età superiore ai 40 anni, erano eleggibili se avevano una pressione arteriosa sistolica media non trattata > 140 mm Hg e/o una pressione diastolica > 90 mm Hg o una pressione media sistolica trattata > 130 e/o diastolica > 80 mm Hg. Inoltre, i pazienti potevano avere una storia di malattia cardiovascolare cronica, di malattia renale o diabete a patto di avere una pressione arteriosa sistolica media > 130 mm Hg e/o pressione diastolica > 80 mm Hg. Gli stessi sono stati arruolati in modo causale chi al gruppo d’intervento chi a quello di controllo. Per i primi, in virtù di un trattamento mirato, una terapia ad hoc e cicliche misurazioni e auto misurazioni della pressione, consigli utili sullo stile di vita e sulla dieta, sono stati l’essenza della cura. Per i secondi, il trattamento è stato standard. Obiettivo del primo gruppo rispetto al secondo era quello di abbassare rigorosamente la pressione sistolica da 157 a 127,6 nel gruppo d’intervento, da 155 a 147 in quello di controllo. Ovvero 22 mg Hg di differenza. In virtù di questo calo pressorio costante, nel gruppo d’intervento il rischio di demenza s’è ridotto del 15% rispetto a secondo, mentre il deterioramento cognitivo del 16%. Insomma, se curata coinvolgendo il paziente nel problema, anche la demenza senile rallenta sensibilmente. A riprova che un paziente informato può  fare tanto, innanzi tutto per la propria salute mentale.

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