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Quello dei fruitori della bicicletta è uno dei pochi numeri in crescita nello scenario socioeconomico attuale, ancora dominato dal pericolo covid. Merito dell’incentivo per l’acquisto inserito in uno dei primi DPCM del precedente governo Conte (+60% di bici in più da inizio pandemia), inteso a favorire il distanziamento sociale. E merito dell’idea sempre più diffusa che andare in bicicletta sia un esercizio fisico dalle ottime ripercussioni sulla salute. La scienza manda sempre più conferme a questo proposito, per lo sport in generale e per il ciclismo in particolare. Anche per la cura delle malattie autoimmuni come il diabete di tipo 1, che quest’anno festeggia il centenario della scoperta dell’insulina. Si tratta dell’ormone che il diabetico di tipo 1 deve assumere regolarmente, in quanto il suo pancreas ha smesso di produrlo in maniera autonoma. Senza insulina il livello di glucosio nel sangue scende oppure sale troppo, causando ipoglicemia nel primo caso e iperglicemia nel secondo. A livelli parossistici, sia l’uno che l’altro valore possono portare al coma e alla morte improvvisa. In tutti gli altri casi, c’è il rischio concreto che causino danni al sistema cardiovascolare, alla vista e al funzionamento dei reni. Orbene, uno sport aerobico al pari del ciclismo è perfetto per affiancare la terapia a base d’insulina. Nel senso che produce benefici compatibili sia con la malattia sia la terapia farmacologica.

A credere al connubio fra ciclismo e diabete è, fra gli altri, la casa farmaceutica Novo Nordisk, da sempre impegnata in prima linea nella cura del diabete e di altre malattie croniche. Per sensibilizzare l’opinione pubblica sui risultati crescenti dell’insulina, che consentono agli atleti che si scoprono affetti dal diabete-1 di continuare a gareggiare ai massimi livelli, la ditta danese con filiali in tutti il mondo sponsorizza da anni una squadra di professionisti, la Novo Nordisk appunto, i cui membri sono tutti ciclisti con diabete-1. Nel roster di 17 professionisti figurano due italiani.  Si tratta del veterano Andrea Peron, classe 1971, e di Umberto Poli, classe 1996. Entrambi hanno scoperto la malattia all’età di 16 anni.

La rivelazione della malattia durante l’infanzia o l’adolescenza è tipica del diabete di tipo 1, mentre il tipo 2, riconducibile a stili di vita sbagliati, si manifesta di solito in età matura. Ebbene, pedalare ha effetti benefici anche contro il diabete di tipo 2 e contro tutti i fattori di rischio inquadrabili nella cosiddetta sindrome metabolica: dove la presenza di almeno tre fattori di rischio per cuore e arterie fanno di chiunque un paziente a rischio cardiovascolare. Perché pedalare convenga? Come per tutti gli sport aerobici, alla base vi è un’azione diretta nella riduzione dell’ipertensione e dei trigliceridi. I trigliceridi sono i grassi riscontrabili nel sangue, che il nostro organismo produce in eccesso a causa di un’alimentazione troppo ricca di zuccheri. I cibi che ne favoriscono l’aumento vanno dai dolci alla pasta, dalla frutta ad alto indice glicemico ad ogni tipo di bevanda zuccherata. Non a caso, il tipo 2 è detto anche diabete alimentare. Inoltre, l’utilizzo della biciletta, sia come mezzo di locomozione che come strumento di attività sportiva favorisce un miglioramento di tutti i valori ematici che, al pari dei trigliceridi, vengono monitorati come profilo lipidico di un individuo. Si tratta di quei valori che la dicono lunga sullo stato di salute delle nostre arterie. Tra questi il più noto è il colesterolo. È un dato di fatto che lo sport, specie se aerobico come il ciclismo, aiuta ad abbassare il colesterolo “cattivo” (LDL), quello che porta all’ostruzione e all’irrigidimento delle arterie e che favorisce le formazioni dei trombi.

Non ci resta che aggiungere che andare in bicicletta fa perdere peso. Un fatto questo che va ben oltre le pur importanti implicazioni estetiche. Infatti, insieme al calo ponderale, calano i valori di trigliceridi e di colesterolo.

Ciò che piuttosto rappresenta una minaccia per il ciclismo è, paradossalmente, la perdita di peso se questa diventa eccessiva, tanto che per taluni atleti, specie per i più giovani, si parla di bulimia e di anoressia. È risaputo che oltre alle grane del doping il ciclismo è alle prese con il problema della magrezza estrema degli atleti. Competizioni e allenamenti intensi, che provocano una perdita di non meno dieci mila calorie alla volta, favoriscono di per sé una perdita di peso importante. Ma molti addetti non si accontentano. Dopo aver alleggerito il mezzo, ricorrendo a telai ultraleggeri, dopo aver centellinato i grammi nella scelta dei tessuti delle divise, il risparmio in termini di chili, se non di pochi etti, si concentra tutto sul fisico dei corridori. Ecco perché nessuno, fra protagonisti e osservatori, è bene che abbassi la guardia. Se è vero, per dirla con Paracelso – il medico vissuto all’epoca del Rinascimento, famoso per un celebre trattato – che tutto è veleno e che è la dose che rende più o meno tossico ogni preparato, è bene che contro il calo ponderale si agisca caso per caso, rimarcando il confine fra ciò che è lecito e ciò che, di là del guado, diventa pericoloso.

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