Il 44% di tutti i decessi che ogni anno avvengono in Italia sono riferibili a eventi cardiovascolari e circa il 7-8% della popolazione generale va incontro a complicazioni ed eventi cardiovascolari gravi, come infarto miocardico e ictus non fatale. Questi ultimi sono i cosiddetti pazienti ad elevato rischio cardiovascolare residuo, una condizione a rischio elevato in chi soffre di una malattia cardiovascolare anche se in trattamento con terapie standard. «Per rischio cardiovascolare residuo si intende la probabilità di sviluppare un evento cardiovascolare maggiore nonostante il paziente sia sottoposto al trattamento con le terapie standard raccomandate– spiega Giuseppe Ambrosio, Professore e Direttore di Cardiologia, Azienda Ospedaliera Università di Perugia–in grado di tenere efficacemente sotto controllo alcuni parametri, quali ad esempio ipertensione, colesterolo e glicemia». Si aggiungono ulteriori fattori che concorrono ad aumentare il rischio residuo quali ad esempio l’utilizzo di farmaci non particolarmente potenti, la scelta di dosi non sufficientemente elevate, la scarsa compliance da parte del paziente e, non da ultimo, altre patologie collaterali. «Si stima che la percentuale di rischio residuo in pazienti con precedenti eventi sia di circa il 30% maggiore rispetto ai soggetti sani». Inoltre, le indagini epidemiologiche suggeriscono che nei pazienti che hanno già avuto un evento cardiovascolare il tasso di recidiva è del 50% al primo anno, mentre in caso di evento ricorrente questo si alza raggiungendo il 75% nell’arco dei tre anni successivi.
Svariati sono i fattori influenzanti il rischio cardiovascolare residuo, oltre ai fattori noti ma non modificabili quali età, sesso e predisposizione genetica, sono da tenere in considerazione adiposità addominale, pressione arteriosa, insulino-resistenza e fumo. Anche le dislipidemie giocano un ruolo importante nella probabilità di sviluppare un evento cardiovascolare, in particolar modo gli alti livelli di LDL (il colesterolo cattivo), ma anche alcune lipoproteine, tra cui la lipoproteina a, e i trigliceridi, che sono microparticelle di grassi circolanti nel sangue.
Negli ultimi anni si è compreso che, nonostante i trattamenti in grado di tenere sotto controllo il colesterolo LDL, rimane una elevata probabilità da parte del paziente, di incorrere in un nuovo evento cardiovascolare. La placca aterosclerotica, principale causa dell’infarto, subisce delle modifiche per via di altri fattori concomitanti, quali i trigliceridi. Al pari del colesterolo, infatti, i trigliceridi contribuiscono a indurre una risposta infiammatoria nelle pareti delle arterie, favorendo la formazione delle placche aterosclerotiche, le quali provocano un restringimento dei vasi sanguigni limitando l’afflusso di sangue.
«Ad oggi sono diverse le misure terapeutiche efficaci per tenere sotto controllo il rischio lipidico – spiega Furio Colivicchi, Presidente dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) – tra cui le statine, ezetimibe e i farmaci biologici, ma nonostante questi trattamenti una buona percentuale di pazienti continua ad essere esposta ad un rilevante rischio residuo, legato ad una serie di componenti che non siamo ancora in grado di gestire al meglio come il rischio residuo infiammatorio, l’elevata concentrazione sierica di acido urico (iperuricemia) e infine la problematica molto diffusa dei trigliceridi».
È in questo scenario che si inserisce icosapent etile: un composto chimico altamente purificato dell’acido eicosapentaenoico (EPA) che ha dimostrato, nell’ambito dello studio REDUCE-IT, come il suo utilizzo si associ ad un miglioramento sostanziale della prognosi clinica in pazienti con rischio cardiovascolare molto elevato ed elevati livelli di trigliceridi (≥ 150 mg/dL).
«Icosapent etile, grazie alla sua formulazione altamente purificata di EPA– chiosa il Prof.Colivicchi –ha dimostrato di avere un effetto significativo, in termini di sicurezzaed efficacia, non solo nella riduzione dei livelli di trigliceridi, ma anche su una serie di altre componenti clinicamente rilevanti, come il rischio aritmico. L’aspetto interessante è che il suo effetto sembra essere in qualche misura indipendente dai trigliceridi. Infatti, altri trattamenti farmacologici in grado di abbassare i livelli dei trigliceridi non hanno avuto un impatto favorevole sulla prognosi clinica dei pazienti. Icosapent etile è efficace nel ridurre i trigliceridi e ha dimostrato un beneficio clinico significativo».
Oggi icosapent etile rappresenta una nuova arma terapeutica nelle mani del curante.
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