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Pastiglia per la pressione, meglio la sera o la mattina? Finora la letteratura sull’argomento è sembrato suggerire che la terapia della sera fosse più efficace della somministrazione mattutina. Ma stando a uno studio di recente pubblicazione pare che la disputa debba risolversi in un pareggio. Lo studio si chiama TIME (Treatment In Morning vs Evening). Si tratta di un’indagine prospettica che ha reclutato in Gran Bretagna oltre 21 mila adulti in cura con almeno un farmaco antipertensivo al giorno. I partecipanti sono stati suddivisi in due gruppi in maniera del tutto casuale: c’era il gruppo di chi doveva assumere tutti i farmaci della terapia antipertensiva al mattino e chi alla sera (1:1). Per capire le differenze di risultato, i partecipanti sono stati indagati negli esiti di morte vascolare o ospedalizzazione per infarto miocardico non fatale o ictus non fatale. Così fra il 17 dicembre 2011 e il 5 giugno 2018, 24˙610 individui sono stati sottoposti a screening e 21˙104 di loro, risultati idonei a partecipare allo studio, sono stati assegnati in modo casuale ai due gruppi di somministrazione: quello serale (10˙503) o quello mattutino (10˙601). L’età media all’inizio era di 65,1 anni. Il 57,5% dei partecipanti erano uomini, il 42,5% donne. Di tutti, il 90,5% (19.101) erano bianchi. Le conclusioni sono venute a seguito di un follow-up mediano di 5,2 anni. Risultati alla mano, s’è visto che la somministrazione serale non differiva da quella mattutina nei termini degli esiti cardiovascolari maggiori di cui sopra. Pertanto, da questo punto di vista, i pazienti possono assumere i loro normali farmaci antipertensivi nel momento della giornata che reputano migliore per le loro abitudini e per il loro stile di vita. Diverso il discorso della misurazione della pressione. Chi ha registrato i normali cali pressori durante le ore notturne è risultato meno esposto ai risultati avversi di chi non ha presentato variazioni di valori fra il giorno e la notte.
Stando a un precedente studio sullo stesso argomento (Harmony) non vi sono differenze tra il momento di somministrazione mattutina e quello serale. Il dato è stato appurato in base alle misurazioni di pressione arteriosa ambulatoriale eseguite nell’arco delle 24 ore e in base ad altre misurazioni eseguite in ambito clinico. Invece, a detta dello studio MAPEC9 e del successivo e più ampio Hygia Chronotherapy Trial, condotti dallo stesso gruppo di ricerca, viene riportata una riduzione di tutti i principali eventi cardiovascolari nel gruppo che si è sottoposto al trattamento serale, riduzione che ha portato i ricercatori a concludere che la comodità della somministrazione serale potrebbe migliorare l’aderenza in molti pazienti. Ora è intervenuto lo studio TIME a suggerire che l’assegnazione alla somministrazione serale del farmaco antipertensivo non migliora il risultato primario di morte vascolare o ospedalizzazione per infarto miocardico non fatale o ictus non fatale rispetto alla somministrazione mattutina. L’assunzione di farmaci la sera non è dannosa, ma non dà alcun beneficio aggiuntivo rispetto alla somministrazione mattutina. Non essendo emerse differenze di sostanza per quanto riguarda i risultati cardiovascolari, ciascun può assumere il farmaco antipertensivo nel momento della giornata che ritiene più opportuno. I limiti riconosciuti di questo studio sono che i partecipanti sapevano in partenza a quale dei due gruppi di misurazione erano stati assegnati, cosa che può aver influito tanto sulla qualità della misurazione pressoria quanto sulle relative segnalazioni, inviate manualmente al portale del sito web dello studio. Come se, quando di uno studio conoscono troppo dettagliatamente i meccanismi di funzionamento, la tendenza col tempo sia quella di farsi vincere dalla pigrizia e dalla svogliatezza, specie se le auto misurazioni diventano la routine di tutti i giorni.
L’ipertensione arteriosa viene definita una “sindrome clinica”, ca­ratterizzata da un aumento stabile dei valori pressori oltre un valore soglia. In Italia, circa 20 milioni di persone soffrono di ipertensione e l’80 % di costoro non si cura in modo ottimale, o perché non segue adeguatamente le terapie o perché non sa di essere ammalato. È questa la parte più corposa dell’iceberg a cui talora il problema dell’iper­tensione viene paragonato: la parte che non appare. Stando alla parte emersa, invece, l’ipertensione è causa ogni anno di 226 mila casi di ictus, 184 mila di scompenso cardiaco e 90 mila di infarti, senza ag­giungere altri problemi a carico dell’organismo.

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