I pazienti con colite ulcerosa convivono con sintomi imprevedibili e spesso dolorosi che influenzano negativamente la loro qualità di vita, anche dal punto di vista emotivo, sociale ed economico. Lo ha ricordato di recente il Prof. Alessandro Armuzzi, responsabile dell’Unità Operativa IBD all’IRCSS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, Milano, in occasione del via libera che la Commissione Europea ha appena dato a un farmaco (Upadacitinib) dimostratosi in grado di migliorare i parametri cruciali della malattia «come la remissione clinica duratura e la guarigione mucosale». La colite ulcerosa appartiene alla famiglia delle MICI (Malattie Infiammatorie Cronico Intestinali). Le MICI più comuni sono la Colite Ulcerosa (CU) e la malattia di Crohn (MC). Le MICI possono colpire entrambi i sessi, ma la CU è più frequente negli uomini e la MC fra le donne. Tutte le malattie autoimmuni colpiscono le persone nella loro fase più attiva della vita e sono molto invalidanti, lo ricorda un grande studio osservazionale, pubblicato sulla rivista Heart qualche anno fa. Da ciò ne consegue che l’individuazione precoce è fondamentale perché c’è un periodo all’inizio della malattia in cui danni permanenti ad altri organi possono ancora essere evitati.
Si stima che in Italia l’incidenza di queste patologie sia circa il 9-12%, una percentuale in aumento. Nonostante siano noti alcuni fattori di rischio quali una predisposizione genetica e la presenza di un microbiota intestinale in grado di innescare una violenta risposta immunitaria, le cause della patologia sono perlopiù ignote. Non così le conseguenze. Secondo i risultati del grande studio appena menzionato, le malattie autoimmuni come le MICI aumentano il rischio cardiovascolare e la mortalità complessiva. Dalla ricerca emerge che la presenza di malattie infiammatorie intestinali, come il Crohn o la colite ulcerosa, aumenta il rischio di ictus e morte per qualsiasi causa. I ricercatori che vi hanno messo mano hanno monitorato per sei anni una coorte di quasi 1 milione di persone di età compresa tra 35 e 85 anni. L’ampia dimensione del campione ha permesso di stimare l’incidenza di eventi cardiovascolari e la mortalità in persone con diagnosi di tutte le malattie autoimmuni.
Sembra evidente che una migliore comprensione della relazione tra malattie infiammatorie e la morbilità cardiovascolare possa facilitare la valutazione della diagnosi precoce e gestire al meglio i fattori di rischio cardiovascolare, migliorando l’esito a lungo termine delle malattie cardiache per i pazienti che soffrono di MICI. Il farmaco appena approvato in sede europea s’inserisce in questa tradizione. Anche in fatto di sicurezza. Negli studi clinici di induzione e mantenimento sulla colite ulcerosa, controllati con placebo, i dati complessivi sulla sicurezza sono stati generalmente coerenti con il profilo di sicurezza noto di Upadacitinib, è scritto nel comunicato stampa redatto dalla AbbVie, la multinazionale che ha promosso il farmaco.
«Upadacitinib è indicato nel trattamento di pazienti adulti affetti da colite ulcerosa attiva da moderata a severa che hanno avuto una risposta inadeguata, hanno perso la risposta o sono risultati intolleranti alla terapia convenzionale o a un agente biologico», è riferito nello stesso comunicato stampa, in cui si evidenzia pure che il farmaco è indicato anche nel trattamento dell’artrite reumatoide, nel trattamento dell’artrite psoriasica attiva, nel trattamento della spondilite anchilosante e della dermatite atopica da moderata a severa negli adulti e negli adolescenti di età pari o superiore a 12 anni eleggibili alla terapia sistemica.
Come ricorda ancora lo studio dedicato, sebbene le MICI possano essere diagnosticate a qualsiasi età, la maggior parte delle diagnosi avvengono in persone tra i 14 ed i 24 anni d’età, con solo pochi casi diagnosticati tra i 50 ed i 70 anni. In età pediatrica queste patologie possono essere caratterizzate, oltre che dai sintomi gastrointestinali, anche da ritardo nella crescita e nello sviluppo. Inoltre, coloro nei quali le MICI vengono diagnosticate in giovane età, presentano un rischio aumentato di sviluppare nel corso della vita il carcinoma del colon.